“Vorrei un evento leggero ma decisamente invitante che possa coniugare la voglia di comunicare e le nuove tecnologie”. E l'asteroide stavolta è atterrato - letteralmente atterrato - su Roma, alla Casa del Cinema di Villa Borghese, dove sta andando in scena (11-15 settembre) la quarta edizione della Social Media Week. Tra gli sponsor, per l'appunto, anche Motta, con la sua merendina Buondì e con tanto di asteroide all'entrata dell'edificio, reduce del recente (in)successo in rete e testimone diretta di cosa significhi diventare virali.
Language and the Machine è stato, infatti, il fil rouge di questa edizione romana di SMWI, che si è svolta in contemporanea alle altre internazionali. Motta a parte, “colpisce” l'alto tasso di concentrazione di food&wine presente nei cinque giorni della kermesse, a dimostrazione di come chef, pizzaioli e vignaioli ormai non possano più sfuggire alle nuove tecnologie.
I social portano nuovi clienti?
Momento clou dedicato alla ristorazione è stato l'incontro Chef sapiens: social e tecnologie nel piatto,che ha visto schierata sul campo della SMWI una formazione tutta giallorossa di nove professionisti della gastronomia, con un arbitro d'eccezione, Nerina di Nunzio, direttrice di Ied Romae fondatrice di Food Confidential. Fischio d'inizio: “I Social servono a portare nuovi clienti”?
A toccare per primo la palla un viralissimo Arcangelo Dandini (L'Arcangelo), 4955 amici su fb: “I Social ci aiutano a diffondere il nostro lavoro. Se dovessi dare dei numeri, non credo di sbagliarmi, dicendo che il 10% dei nuovi clienti vengono da là. Poi, bisogna distinguere tra i diversi format di ristorazione, ad esempio posso dire che Supplizio (la proposta street food di Dandini; ndr) è figlio soprattutto di questo tipo di comunicazione, quasi auto prodotta dagli stessi consumatori. Per il resto, sono io stesso a postare e curare il mio profilo”.
Altro autodidatta-social è Claudio Gargioli (Armando al Pantheon), 1435 amici su fb: “Se la cucina si evolve da dentro, è giusto che lo faccia anche da fuori. In questo senso i social ti fanno espandere, uscire dalla tana e far conoscere in tutto il mondo”. Completa la triangolazione un vero centravanti della comunicazione digital, Roy Salomon Caceres (Metamorfosi), 4852 amici: “Postare è un modo per far vedere a un ampio pubblico ciò che faccio dentro la cucina. Mi sento di alzare la percentuale di Arcangelo: credo che la nuova clientela che viene a trovarci dopo averci conosciuto sui social sia del 15-20%. Ma spesso capita che i clienti storici ritornino dopo aver visto i nuovi piatti online”.
Coglie l'assist di Caceres, Alba Esteve Ruiz (Marzapane), 2843 amici e unica presenza femminile in un team di soli uomini: “Non solo ai clienti:capita anche a me di aver voglia di ritornare nel ristorante di un collega per provare i piatti nuovi visti in rete”. “D'altronde” continua il palleggio Alessandro Narducci (Acquolina), 4575 amici “una volta si strillava nei mercati, ed era un modo di fare marketing. Poi è arrivato Carosello. Oggi ci si adatta ai tempi e si posta. Personalmente non sono quel che si dice un attivista, ma l'importanza dei social è innegabile”.
Blocca il gioco Massimo Viglietti (Achilli al Parlamento): “A me sembra un mondo di gente che ha voglia di farsi i fatti degli altri, per questo ho deciso di uscirne: la sera preferisco leggere un libro e starmene tranquillo”.
Meglio fare da sé o affidarsi a degli esperti?
Quando si parla di comunicazione social bisogna, però fare un distinguo tra profili personali e profili del locale. Quasi tutti gli chef più famosi, infatti, hanno l'uno e l'altro. Ma non basta. Il secondo step è quello di decidere tra il fare da soli o l'affidarsi a chi lo fa di mestiere. Su questo la “squadra della cucina” presente alla Social Media Week sembra avere le idee chiare: “La riposta è semplicissima” dice subito Giulio Terrinoni (Per me): “Èmeglio che cucini chi lo fa di mestiere o chi vuole improvvisarsi? Ecco, i termini della questione sono identici. Personalmente non ho dubbi e ogni anno metto a budget le varie voci: carne, pesce, vino e, comunicazione, affidandomi per quest'ultima a degli esperti. Ovviamente, poi, ogni cosa dovrà passare dalla mia supervisione, come è normale che sia”. Stessa ottica di gioco per Alba Esteve Ruiz che, però, pone l'accento sulla fiducia nel proprio team: “Di sicuro gli esperti sanno gestire la comunicazione social molto meglio di noi, ma il feeling che si instaura è fondamentale, al pari di quello che deve crearsi in cucina. A loro tocca, infatti, portare il nostro lavoro al di fuori e saperlo raccontare”.
Per Andrea Fassi (Gelateria Fassi) “l'importante, quando ci si affida agli altri, è dare gli input giusti, senza dimenticare di capire il proprio target: non sempre dare un'immagine troppo professionalmente perfetta funziona. Nel nostro caso - ma probabilmente per una tradizione familiare - le foto amatoriali scattate in casa, hanno più seguito di quelle dei fotografi professionisti. In base a questo si fanno delle scelte precise. Ma ogni caso fa storia a sé”.
Dal virtuale al reale. L'esempio di Taste
Ci sono poi e - per fortuna - ancora le piazze reali. Che ormai, però, finiscono per comunicare con quelle virtuali in un circolo vizioso/virtuoso di cui è difficile fare a meno. Taste (l'evento che da qui a pochi giorni - dal 21 al 24 settembre - animerà la scena enogastronomica della Capitale) ne è un esempio calzante. Il parallelismo con i social è presto fatto: assaggi in formato ridotto di quel che la ristorazione offre nei propri locali. “Ma” interviene Angelo Troiani (Il Convivio Troiani) “Taste lo mangi, i social no”.
“Taste è un social diretto” spiega Alba Esteve Ruiz “faccia a faccia e con commenti in tempo reale. Senza contare il riscontro che ne deriva, con foto e video che rimbalzano da un profilo ad un altro”.
“Attenzione, però, a distinguere tra collezionista virtuale e appassionato di gastronomia” rientra in gioco Troiani “I social fanno diventare gli appassionati anche un po' collezionisti virtuali, ma questi ultimi non diventeranno mai dei veri appassionati di cucina”.
Poi, Nerina rimanda tutti nelle proprie cucine, con un'ultima raccomandazione per il pubblico social e non: “Mangiate di più, postate di meno”.
Internet of things in vigna. Le opportunità della rete per vigne e vino
Ma la ristorazione non è stata l'unica protagonista della Social Media Week romana. Anche il mondo del vino, infatti, si è ritagliato il suo spazio nell'incontro Internet of things in vigna. In questo caso non si è parlato di social network, ma di applicazioni pratiche delle tecnologia in cantina, in vigna e perfino sugli scaffali.
Tra i principali ambiti di applicazione” ha spiegato la moderatrice dell'incontro Slawka G. Scarso (autrice, con Luciana Squadrilli e Rita Lauretti, del libro Prodotti Enogastronomici all’Estero. Guida completa per l’export delle eccellenze italiane) “quello della previsione meteorologica è sicuramente uno dei più interessanti, considerati soprattutto i cambiamenti climatici degli ultimi anni. Monitorare è infatti un modo per prevedere”. Tra i risultati più evidenti c'è, invece, il risparmio in termini di tempo, di interventi in vigna e anche di soldi: “Usato in modo intelligente” ha concluso Scarso “l'Iot significa anche fare sostenibilità ambientale in modo altrettanto sostenibile per le aziende”. Lo sanno bene il consorzio di tutela dei Vini di Montefalco e la cantina cooperativa Vignaioli del Morellino di Scansano intervenuti all'incontro.
“Da anni”spiega il produttore di Montefalco Marco Caprai “grazie ai fondi Psr, abbiamo sviluppato un sistema di gestione che consente alle cantine del Consorzio di avere indicazioni precise, tramite smartphone, su eventi meteorologici, presenze di malattie in vigna e momenti opportuni per intervenire”. Il modello utilizzato si chiama Grape Assistence ed è stato progettato dalla startup Leaf srl.
Anche i Vignaioli del Morellino hanno introdotto un sistema simile di monitoraggio. Si chiama Terrasystem e permette alle cantine di dare degli input da remoto: “Un esempio?” dice il direttore Sergio Bucci “Un produttore comodamente da casa può dare il via al lavaggio dell'impianto di imbottigliamento e trovarselo già pronto non appena arriva in cantina. O ancora, può valutare su quali filari intervenire con l'irrigazione di soccorso, senza sprecare acqua in tutto il vigneto”. Fare praticamente e con gli strumenti giusti quella che si chiama agricoltura di precisione. Risultati sul campo? “Lo scorso anno” risponde Bucci “il sistema consigliava per alcune zone il trattamento contro la peronospora già nella prima parte di marzo. Un periodo in cui è comunemente ritenuto prematuro farlo, così solo un produttore su tre ha seguito il consiglio. Ebbene, chi ha trattato si è salvato”.
Ma l'Iot applicato al vino, non fa bene solo alla vigna. È anche un modo per avvicinare i più giovani al mondo del lavoro, come ricorda Caprai: “Il futuro del nostro settore non può essere riposto solo nel produttore settantenne che fa un certo tipo di viticoltura tradizionale. Noi crediamo nelle potenzialità enormi delle nuove tecnologie e soprattutto delle nuove generazioni. Tant'è che abbiamo da sempre collaborato con Università e Its-Istituti tecnici superiori per introdurre i giovani nelle imprese. Oggi otto di loro fanno parte del nostro team”.
a cura di Loredana Sottile