Andrea Berton, si era incrinato irrimediabilmente. Ad amici, collaboratori, giornalisti Berton già confessava che probabilmente "non avrebbe superato l'estate alla guida del Trussardi alla Scala". La situazione è precipitata poi a fine giugno quando con una lettera assai amara Berton annunciava un divorzio poco consensuale. La svolta qualche giorno dopo: un comunicato stampa su carta intestata della fashion maison milanese annunciava l'arrivo nelle cucine di casa di Carlo Cracco e di Luigi Taglienti. Era l'inizio di luglio, oggi, qui, la prima intervista in assoluto ai due.
Quando comincerà in modo effettivo la collaborazione con Trussardi? Quali saranno i termini? Come collaborerete?
C. C. Effettivamente è cominciata l’altro giorno perché Luigi ha cominciato a prender possesso della cucina lunedì per cui diciamo che in questa fase stiamo approntando e organizzando il tutto. Abbiamo davanti un mese abbastanza in discesa per cui è un buon momento per approntare una nuova linea di cucina che sarà espressione di Luigi. Il mio ruolo è quello di accompagnarlo e fargli un po’ da fratello maggiore, anche perché Luigi ha già lavorato con me nel 2004, poi ha lavorato presso il ristorante Trussardi con Andrea Berton come sous chef sei mesi. La scelta di Luigi è stata dettata da una parte dalla volontà della Famiglia Trussardi di dare una svolta rispetto alla gestione precedente, dall’altra avere una persona in grado di portare avanti un discorso di qualità ed eccellenza e di avere col sottoscritto una visione più ampia con cui sviluppare questo progetto.
Insomma: mission?
C. C. Portare il ristorante a un livello forse ancora più alto e poi portare avanti tutto un discorso di sviluppo che non sia legato esclusivamente alla ristorazione di Piazza della Scala, che sia un po’ più ampio...
Questa è una notizia. Dunque ampliarsi come e dove?
C.C. Può essere l’estero, può essere l’Italia: ci sono un sacco di progetti in corso d’opera. Però il mio focus al momento resta l’inserimento di Luigi e l'organizzazione del ristorante e del caffè.
Quale sarà il tono della cucina?
L. T. La cucina esprime le emozioni personali e quelle del gruppo, perché quello che si vuol fare è creare un gruppo di lavoro che sia unito e pronto per sviluppare questo grande progetto insieme. Ci baseremo sulla tradizione del territorio e quella italiana, proiettata nell’eccellenza e cercando di dare un’impronta.
C.C. Uno dei problemi che abbiamo avuto nella gestione precedente era il personale: una gestione incentrata forse un po’ troppo su un’unica persona e con metodi non replicabili. Nella scelta di Luigi ha pesato anche molto il fattore di voler ripristinare un po’ quello che vuol essere una squadra e creare un gruppo. Nel progetto c’è anche insegnare e creare una scuola legata alla cucina, al modo di fare e allo stile di Trussardi.
Quindi c’è una volontà di crescere giovani chef che potranno aiutarvi ad ampliavi?
C.C. Esattamente, un po’ quello che succede negli altri campi, ad esempio nell’arte, Trussardi ha fatto un lavoro bellissimo e importantissimo, quello di lanciare giovani artisti cercando di anticipare un po’ i tempi e di dettare determinate mode. Vogliamo cercare di ricreare un concetto di mecenatismo all’interno del gruppo, attraverso una scuola.
Al menu verranno apportate modifiche radicali?
L.T. Sì, chiaramente sono due cucine molto diverse. Questo periodo sarà transitorio perché come, diceva Carlo Cracco, questo mese ci serve per inserirci e per metter mano alla cucina e non solo, e nello stesso tempo mettere in atto i piatti che andranno a svilupparsi da settembre. Lo abbiamo già fatto, abbiamo cominciato ieri, già dal secondo giorno c’è voglia di cambiamento, c’è voglia di novità sia come aspetto gestionale, che proprio come cucina. Una cucina fresca, una cucina continuamente in movimento che ha voglia di far crescere tutti, una cucina che nasce da un pensiero creato da tutti, tutti hanno la possibilità di esprimersi contribuendo a loro modo. Ovvio che poi va valutata, ma l’aspetto gruppo è fondamentale.
Cracco, quale direzione crede stia prendendo l’alta cucina?
C.C. La valorizzazione e lo scambio dei prodotti del territorio: una volta il ristorante era espressione di quella tradizione, faceva due o tre cose cose, perché il territorio era molto più piccolo e delimitato, non c’erano i “vasi comunicanti”. Poi con il progresso il mondo si è collegato in rete e per forza di cose si è alimentato uno scambio di culture e di tradizioni. L’importante è sempre riuscire a mantenere unito il filo conduttore della qualità, del territorio inteso come unicità, non come bontà. Perché la bontà può essere ovunque, ma l’unicità del nostro territorio che ha una conformazione incredibile, basti pensare alla Lombardia dove magari il cibo non è così tenuto in considerazione come in Piemonte, dove entrambi abbiamo lavorato, dove c’è una consapevolezza maggiore. Là non essendoci moda e design, come a Milano, il food rappresenta una delle prime risorse. Qui non è la prima è una delle prime, e lega moltissimo con tutte le altre: non a caso Trussardi ha un ristorante e un caffè.
Come fare un ristorante di successo in un momento economico simile...
C.C. In un periodo come questo non esiste la ricetta, esiste la professionalità, esiste la capacità e l’intelligenza di capire e leggere il momento e di farlo proprio. Oggi come oggi ci sono molte più opportunità rispetto a due anni fa, dove tutto andava bene, e nel calderone tutti si viveva molto bene. Oggi c’è la selezione naturale, c’è una difficoltà maggiore a catturare quello che potrebbe essere un ideale cliente, e lo puoi conquistare solo attraverso dei fondamentali, solo attraverso l’onestà intellettuale che non è quella di vendere un pasto per mantenersi, ma vendere un’esperienza, un valore aggiunto che solo tu puoi dare e lo fai attraverso un locale, in questo caso una vetrina eccezionale per tutti. L’esperienza non è solo mettersi alla finestra e guardare fuori ma anche poter godere di un percorso multisensoriale, attraverso i piatti, le tradizioni, la tecnica. Tutti questi elementi messi insieme fanno la differenza.
Cosa succederà a Milano in campo gastronomico? Qual è la vostra percezione?
C.C. Per me Milano rimane uno dei centri più importanti e avanzati per quanto riguarda la ristorazione e le novità sono sempre arrivate da qui, che ne dicano, nel bene e nel male. Ci sono stati anche esempi che non hanno saputo tenere il passo e che hanno dovuto migrare, però sicuramente Milano rappresenta la punta più contemporanea della cucina del panorama italiano. Solitamente Milano assorbe molto dall’estero perché c’è una grande internazionalità della città, dal design alla moda portano persone da tutto il mondo. Spesso in maniera anche molto diversa, qui c’è molta apertura e disponibilità ma allo stesso tempo nei nostri ristoranti il discorso è molto diverso. È un concetto di ristorazione molto più alto, molto più profondo e dove non si seguono le mode, dove si cerca di avere un progetto più ampio e legato a quello che sono i fondamentali della cucina.

Intervista di Giulia Marelli
12/07/2012