Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Diciottesima tappa: His Majesty the Coffee di Monza

16 Mar 2016, 09:32 | a cura di

Ha iniziato a lavorare con il caffè all’età di 11 anni e da allora non si è più fermato. Con Paolo Scimone percorriamo l’intera filiera del caffè, a partire dal lavoro nelle piantagioni. 

Un imprinting al caffè avvenuto per caso, da bambino, e senza tante pretese. Un percorso formativo scelto consapevolmente da adulto per porre le basi di un’attività solida. E ora un progetto futuro originale e impegnativo, ancora da definire ma con una certezza: non sarà in Italia. Perché “nel Belpaese siamo ancora troppo indietro, troppo fermi e ancorati a convinzioni infondate”. Questo è il punto di vista di Paolo Scimone (e tanti altri) sul caffè specialty in Italia. Ma per fortuna professionisti come lui ci sono ancora e sono le loro storie che vogliamo raccontarvi.

Come hai iniziato a lavorare nel settore del caffè?

Ho fatto il mio primo caffè quando avevo solo 11 anni. I miei genitori hanno gestito un hotel dal ‘94 al ‘98 e così mi sono inserito nel reparto caffè. Non avevo una formazione e non ricercavo ancora la qualità, ovviamente; l’ho fatto per provare, senza alcuna aspettativa. Dopo quei 5 anni in albergo ho smesso di lavorare con il caffè. Almeno fino al 2005, anno in cui ho iniziato a fare corsi di assaggio Iiac (Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè) a Londra. Ho continuato a studiare fino al 2009. Nel frattempo, nel 2007, ho aperto una mia caffetteria, attiva per due anni. Ho iniziato finalmente a tostare nel 2010 presso El Miguel di Luino. Per tre anni sono rimasto lì, appassionandomi sempre di più all’attività di roasting, tanto da frequentare i corsi SCAE tenuti da Marco Cremonese.

E quando hai aperto la tua torrefazione?

Nel 2013, dopo aver lasciato El Miguel. Ho aperto His Majesty the Coffee con l’obiettivo - come si evince dal nome - di valorizzare il caffè come protagonista assoluto.

Che tipologia di caffè utilizzi?

Uso solamente caffè specialty; propongo circa 3-4 monorigini che compro dall’estero, soprattutto Amburgo, Rotterdam e Londra, che hanno una selezione più ampia. Poi ne acquisto tanti altri per i blend, che secondo me sono la parte più bella del lavoro del torrefattore. Fare i blend significa creare nuove combinazioni di aromi, di equilibri e sapori e io trovo questa azione semplicemente affascinante.

Quali blend hai?

Ne ho due sempre fissi: il Modoetia, antico nome di Monza, e Londinium, antico nome di Londra. Quest’ultimo è molto più vicino alla linea della Third Wave Coffee, quindi sullo stile dei caffè europei acidi e agrumati, mentre il Modoetia strizza l’occhio al mercato italiano, ed è quindi adatto per chi ama le nuance di cioccolato, più rotonde e morbide.

Fai anche caffè oltre a tostare?

Li faccio per piacere, ma non nella torrefazione, che rimane incentrata semplicemente sulla tostatura e vendita del caffè. Noto, purtroppo, una tendenza a voler far tutto, dalla Latte Art alla tostatura al brewing, ma io ritengo che sia meglio specializzarsi su una singola attività. Questo non significa ignorare completamente gli altri campi, semplicemente lasciare a ogni professionista il suo spazio.

Hai anche il decaffeinato? Come lo trovi rispetto al caffè tradizionale?

Sì, il Mexico Mountain Water, decaffeinizzato con acqua di montagna. Io continuo a trovare il decaffeinato poco affidabile dal punto di vista gustativo. Un caffè tradizionale ha più sfumature e presenta un profilo aromatico più completo; inoltre, la shelf life (tempo di conservazione) di un decaffeinato è molto più breve.

Perché il decaffeinato si conserva meno? Ha qualcosa a che fare con la caffeina?

No, non si tratta della percentuale di caffeina. Credo che sia un motivo legato principalmente al fatto che il processo di decaffeinizzazione tiene i chicchi molto a contatto con l’acqua; questi poi vengono asciugati, subiscono diversi trattamenti e probabilmente è tutta questa serie di processi a rendere la shelf life più breve.

Come vendi il caffè e dove?

Vendo solamente in grani, perché dietro i chicchi c’è un lavoro di tostatura, studio e ricerca enorme; macinare il caffè significherebbe mortificare tutta la fatica fatta a monte, perché una volta ridotto in polvere, questo perde gran parte delle sue proprietà aromatiche. E vendo principalmente all’estero, circa il 90% del mio caffè è esportato, soprattutto in Kuwait, a Dubai, in Bulgaria e in Inghilterra.

Quali caffetterie all’estero suggerisci di visitare?

Secondo me la caffetteria più bella in assoluto è l’Ozone Coffee Roasters di Londra. Lì si possono provare caffè con tutti i metodi di estrazione e la macchina per l’espresso è favolosa. Inoltre, utilizzano una tostatrice Probat da 22 kg che è davvero eccezionale. Non manca poi l’offerta gastronomica, semplice ma buona, preparata nella bella cucina a vista.

Solo questo?

Anche The Sum of Us a Dubai, un locale bellissimo con un’ottima offerta ma soprattutto un servizio eccellente. Il personale è gentile e disponibile, una caratteristica fondamentale, probabilmente l’unica che manca nelle caffetterie inglesi e nordeuropee. Nei locali specialty di Londra, e non solo, quasi sempre il prodotto è squisito ma i baristi e i camerieri difficilmente sanno comunicarlo.

E invece in Italia?

Ci sono dei locali belli anche in Italia. Sicuramente Ditta Artigianale di Francesco Sanapo (ancora non ho avuto modo di vedere la seconda caffetteria aperta di recente), e poi Taglio a Milano, anche se quest’ultimo non è incentrato sul caffè come invece vorrei che fosse. C’è poi anche Pascucci di Monte Cerignone, un bel bar con dei monorigini buoni, ma dei blend più commerciali, e la torrefazione Griso di Seveso.

Cosa ne pensi delle caffetterie romane? Hai saputo dell’apertura di Roscioli Caffè?

Sì e ne sono felice. Non conosco molti indirizzi di qualità a Roma, ma so che Dario Fociani e Salvatore Cerasuolo sono molto preparati. Mi hanno contattato di recente perché hanno intenzione di inserire anche il mio caffè; sono dei ragazzi bravi con idee bellissime, purtroppo bloccati dalla cultura italiana che venera l’espresso come unico caffè possibile.

Pensi che riusciremo a sviluppare un nuovo modo di concepire e consumare il caffè?

Io purtroppo temo che un miglioramento, se ci sarà, avverrà fra molto tempo. Penso anche, come Francesco Sanapo, Rubens Gardelli e tanti altri colleghi, che il prezzo dell’espresso vada aumentato almeno a 1,50 euro, ma ritengo anche che se pure ci dovessimo riuscire, sarebbe ancora poco (questo per quanto riguarda gli specialty coffee). Nessuno in Italia può fare i soldi solamente con una caffetteria. Io lo so bene, perché sono socio di un bar a Lecco, Caffeina. L’offerta va necessariamente integrata con dolci, formule aperitivo e simili. Comunque, sulla media dei caffè commerciali in Italia siamo tra i primi al mondo, il probelma è legato agli specialty coffee.

E in questa caffetteria su cosa si basa l’offerta del caffè?

Abbiamo tutti i metodi di estrazione dal syphon al cold brew, dall’aeropress al v60. Ma come sempre, il prodotto di punta è l’espresso. In una settimana non facciamo che una 15ina di caffè filtro.

Organizzi corsi di assaggio per i consumatori?

No, però alle volte facciamo delle serate a tema presso la caffetteria, in cui parliamo anche di caffè. Il problema è che c’è ancora poco interesse per questo argomento.

E corsi per addetti al settore?

Sì, da circa un anno e mezzo insegno a tostare. Non sono un trainer autorizzato SCAE (AST), ma su richiesta mi fa piacere fare lezione.

Hai mai partecipato alle competizioni?

Sì, ho gareggiato per 2 anni ai campionati nazionali di roasting (tostatura), classificandomi entrambe le volte secondo dopo Rubens. Al momento ho smesso, perché le gare mi piacciono finché vengono affrontate con il giusto spirito di sana competizione. Alle volte ho notato partecipanti troppo agguerriti, con voglia di vincere e non di confrontarsi. Per me, le competizioni sono anche un momento importante di scambio di opinioni con colleghi che stimo.

Cosa pensi dell’apertura di Starbucks in Italia?

Sono molto entusiasta al riguardo perché secondo me Starbucks è la catena migliore per quello che riguarda lo stile di caffetteria. Non mi riferisco alla qualità del prodotto, che non mi piace, ma al concetto e alla filosofia che c’è dietro il locale, ovvero quello di un luogo dove potersi fermare a lavorare, leggere, passare del tempo libero, e non solo consumare un caffè frettolosamente al bancone. Inoltre, penso che possa aiutare i clienti italiani ad abituarsi a pagare un prezzo più elevato per il caffè.

Pensi che funzionerà?

Secondo me sì, alla grande, soprattutto fra turisti, giovani e studenti.

A maggio partirà Barista & Farmer 2016, l’evento che porta i baristi nelle piantagioni per far conoscere loro l’intera filiera del caffè. Parteciperai?

Non quest’anno, ma ho partecipato alla prima edizione nel 2013, un’esperienza indimenticabile. Eravamo in Portorico con un gruppo fantastico, fra cui Davide Cobelli (responsabile formazione SCAE Italia), Chiara Bergonzi (pluricampionessa di Latte Art), Angelo Segoni (campione barista 2016), Edoardo Quarta (alla guida del team vincente del campionato baristi 2016) e tanti altri professionisti che stimo particolarmente. Attraverso questa esperienza si vede una realtà diversa, quella di chi coltiva e raccoglie. Quell’anno ho visto una donna di 60 anni circa, magra, gobba, che ogni mattina trascinava sacchi di caffè da circa 50 kg, se non di più. Noi torrefattori e baristi ci vantiamo spesso del nostro prodotto, ma non dobbiamo dimenticare cosa c’è dietro la tazzina, la fatica e il sudore di questa gente.

Come funziona la filiera del caffè e com’è la paga di queste persone?

Il mio obiettivo nel 2017 è di andare in Etiopia ad approfondire meglio ancora il discorso della coltivazione. So che lì la paga mensile di chi raccoglie è di 33 dollari al mese. Purtroppo dietro il caffè c’è anche questo lato meno bello e affascinante, più doloroso, di cui di solito non si parla. Ma non dobbiamo dimenticarlo, anzi: bisogna tenere sempre a mente questo aspetto e ricordarcene soprattutto quando siamo tentati di gettare del caffè. Io sono categoricamente contro lo spreco.

Perché voi del settore non proponete delle soluzioni al riguardo?

Sarebbe bello organizzare dei progetti al riguardo, ma sinceramente io non credo molto nelle associazioni di questo genere, in cui spesso i buoni propositi iniziali vanno perduti. Certificare un caffè come fairtrade, ovvero appartenente al commercio Equo e Solidale, è solo un altro modo per mettere un bollino. Quello che noi torrefattori possiamo fare è acquistare chicchi direttamente dalle piantagioni, in questo modo siamo consapevoli di quanti soldi vengono dati ai coltivatori.

Progetti futuri?

Ho intenzione di aprire a Londra 2 tipi di locali insieme a 2 amici. Una torrefazione con focus sull’acqua e una caffetteria in cui il cliente può creare il suo blend personale scegliendo fra le varie tipologie di caffè disponibili.

Che tipo di sperimentazioni si possono fare con l’acqua?

L’acqua compone circa il 97% del caffè, per cui determina in maniera notevole il risultato finale. Attualmente utilizzo per il caffè filtro 3 diversi marchi commerciali, Sant’Anna, Lurisia e Levissima, mentre per l’espresso mi limito all’acqua di rubinetto filtrata. In generale, per l’espresso si può fare ben poco perché in un bar se ne fanno mediamente così tanti che affidarsi all’acqua in commercio sarebbe una spesa enorme. Comunque vorrei provare altri tipi di acque minerali, diverse fra loro per percentuale di residuo fisso, concentrazione di calcio, provenienza ecc.

Quando partiranno questi progetti?

Non lo so ancora, ma spero presto. Sono comunque sicuro di volermi spostare a Londra perché oramai qualsiasi moda, soprattutto in fatto di caffè, parte da lì. E poi è una città meravigliosa, in cui anche l’idea più pazza può funzionare. Il marchio rimarrà lo stesso, His Majesty the Coffee, cambierà solo la sede.

His Majesty the Coffee | www.facebook.com/hmcmonza

 

a cura di Michela Becchi

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