Cheese/Le forme del latte

15 Set 2009, 10:00 | a cura di

A Bra, in Piemonte, torna Cheese, l’evento biennale di Slow Food che presenta le mille anime del formaggi.

Raccontare storie: di persone, animali, territori, tradizioni. Ma anche e soprattutto contribuire a mantenerle in vita.

È questo l’obiettivo di Cheese – a Bra dal 18 al 21 sett

embre – l’evento che nella sua storia ultradecennale ha cambiato la percezione del mondo caseario da parte dei consumatori, accendendo i riflettori sulla variegata produzione artigianale: un settore ricco di opportunità ma anche di problematiche e contraddizioni.

Anche quest’anno sarà un grande laboratorio di idee, dibattiti, degustazioni, attività didattiche e mercato, partendo da una delle battaglie vinte: quella che ha riabilitato il latte crudo nella percezione dei consumatori, affermandolo come elemento imprescindibile di radicamento territoriale e di qualità organolettica nei formaggi.

Oggi – spiegano a Slow Food – l’impegno continua, per far capire che il latte non è una commodity sempre uguale, ma che esistono tanti tipi di latte diversi, a seconda delle razze animali, di come vengono alimentate, dell’ambiente in cui vivono, dei ritmi produttivi a cui sono sottoposte: presupposti importanti che influiscono sulla qualità finale, di cui il consumatore può diventare protagonista con le sue scelte.

Di notevole attualità sono le problematiche legate alla presenza di ogm nei mangimi. Non tutti sanno che attualmente il 90% degli organismi geneticamente modificati importati in Europa è destinato proprio ai mangimi.

Vale a dire che ogni anno entrano nella nostra catena alimentare 20 milioni di tonnellate di ogm, senza che il consumatore ne sia informato né possa scegliere.
Anche i metodi di allevamento vanno capiti per la loro importanza nei confronti del risultato finale,
in particolare l’alpeggio, la pastorizia nei parchi e la transumanza.

Quella del pastore è una figura che sta rischiando di scomparire (meno 90% negli ultimi trent’anni in Italia) a causa delle condizioni di vita dure e della scarsa remunerazione, ma soprattutto per l’assenza di norme e regolamentazioni a tutela del mestiere.

L’abbandono del pascolo ha ripercussioni decisamente negative per l’ambiente e l’economia montana con il conseguente degrado territoriale; viene così a mancare un prodotto dalle spiccate qualità organolettiche, non replicabili dall’industria zootecnica.

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