Pollo fritto e Bourgogne. Lo stupore della normalità

15 Dic 2008, 15:05 | a cura di

Se per arrivare a destinazione doveste mai affidarvi a un navigatore satellitare, sappiate che potrebbe non guidarvi per la strada più diretta. Ma condurvi per i sentieri più tortuosi dei colli Euganei in una natura segnata da boschi, ma anche da tante villette (a schiera e non a schiera), ex case contadine che negli anni hanno mon

tato di sopra e di sotto a destra e a sinistra appendici di cemento, anodizzati, cancellate e garage. Insomma, siamo in pieno Nord Est, ma non quello dei capannoni e delle fabbrichette che incontri a valle. No, siamo nel Nord Est del “fuori porta” padovano e vicentino dove padovani e vicentini, ma pure i veneziani, scappano d’estate perché quando giù c’è afa qui si sta una meraviglia. Si viene sui colli la sera a mangiare un boccone e a santificare le domeniche o gli eventi familiari (matrimoni cresime battesimi). Non è un caso che ad ogni tornante che percorri, lì sull’angolo spunta un’insegna al neon della trattoria di turno, duecento o anche trecento coperti per stare anche in tanti freschi in pace e in allegria.

La Trattoria del Sasso è immune – ora, ma non nel passato – dal virus banchettistico. Lucio, che questa epopea l’ha vissuta (un nonno masciaro ovvero norcino, cuoco di matrimoni) ne è stato vaccinato anche se oggi sta meditando sui sani anticorpi sviluppati dai colleghi intorno… Perciò, per scelta (o punizione?) niente saloni per adunate rumorose, solo sale e salette con tocchi di raffinato antiquariato e un formidabile dehors per gruppi più riflessivi e appassionati.

«Ma lo stesso, si amareggia l’oste, la gente è distratta, sviata, disorientata, non sa quello che vuole, proponi una cosa e ne vorrebbe un’altra».

Fare l’oste è una fatica, un combattimento quotidiano, un corpo a corpo con clienti insoddisfatti capricciosi abitudinari e conformisti che tuttavia viaggiano e quando tornano gli prende la voglia dell’esotico e così non si accontentano e vorrebbero e però non vorrebbero. E tu lì in mezzo a gestire le contraddizioni, le umoralità, le insipienze («faccia lei e poi non sono mai contenti; però se gli dai le cose classiche sono felici»).

Per questo serve mano ferma, proposte certe come platani inamovibili a subire la tempesta. Cosicché quando arriva in tavola il vassoio con i salumi tutto si placa, si torna nella pancia di mamma, si riassapora il vecchio, quello che ha accompagnato l’infanzia, con il salame dall’irresistibile sentore di muffetta che fa tanto salume d’antan, il prosciutto di montagna, l’ossocollo. Mettici il panbiscotto e un vino “volutamente” del contadino e fai un tuffo nella memoria. Lucio ne è consapevole ed evita le deviazioni: soppressa, grissini, pane fatto in casa, bigoli, pollo alla brace, pollo fritto... Guai a cambiare, qui si viene per questo. Si capisce che fare il guardiano del faro pesa, ma la routine non disturba invece gli ospiti i quali la griglia con la brace di legna con i polletti o i funghi che grigliano sopra, continuano e continueranno a volerla. Una brace impegnativa visto che la legna costa e soprattutto costa il rotisseur e magari dopo che hai fatto andare per tre ore il fuoco non ci rosoli sopra neanche un tocco di polenta.

«La fedeltà alla tradizione ha un bel costo». Ma quando il solco è segnato, difficile ribellarsi. Il “solco” è stato scavato negli anni 40 proprio accanto a una cava di trachite, la pietra locale con cui è stata costruita anche Venezia e dove l’osteria prese a quei tempi a funzionare. Al timone in cucina la signora Amelia che, nonostante i suoi 83 anni e qualche acciacco, del tutto non disarma. La soppressa c’era anche allora, come c’erano le frittate preparate con quello che il verde intorno garantiva, con le erbe e fiori spontanei che a primavera trionfano. Per esempio gli inebrianti fiori di sambuco o quelli di acacia, che vengono fritti e poi messi in frittata per creare – certo in anticipo sui tempi – l’effetto morbido croccante. E poi i polli: che anche il fornitore ha i suoi anni, ma continua a garantire un ottimo prodotto. Dagli anni 50 del resto il pollo fritto è quasi l’insegna del locale. Ma poi ogni tanto Lucio si prende una licenza di superqualità accaparrandosi galline anatre e faraone da Agnese, un “monumento” di contadina, vispezza d’altri tempi, una forza della natura che con la natura è impastata. E quando il ragù per le tagliatelle viene preparato con le carni di quelle anatre o di quelle faraone l’auspicio è che finiscano in palati all’altezza, insomma a clienti non troppo svogliati. Ma per quanto distratti, non potrà a quei palati sfuggire l’impareggiabile dolcezza del risi e bisi. E tuttavia non si pensi che tutto sia frutto di una ricerca esasperata sulle materie prime. No, il gioco sta nel bilanciamento.

«Purtroppo le cose “vere” non le puoi avere sempre, non sono programmabili, non c’è continuità. C’è il giorno che hai tre cassette di funghi prataioli di collina e ti auguri di avere anche il cliente speciale in grado di capirli».

È un ping-pong fatto di esaltazione e di frustrazione per prodotti che hai e per clienti che vorresti o viceversa. È l’arte del possibile dati i prezzi (si sta sui 35-40 euro bevande escluse che comunque per la zona non è poco). Con il disappunto però di sapere che questa tipologia di ristorazione (non abbastanza hard per essere trattoria e non abbastanza in tiro per essere alta cucina) non ha in fondo il placet della critica: «Purtroppo chi si tiene sul classico sembra non avere la stessa dignità di chi fa ricerca».

Così le cose si fanno prevalentemente per sé, coltivandole soprattutto per proprio interesse o per avventori avveduti. Non avrebbe senso altrimenti una cantina come quella messa su da Lucio, un piccolo prezioso caveau nella cava di trachite dove sin dagli anni Ottanta cominciò a collezionare vini francesi tra cui etichette letteralmente esplose negli anni Novanta (come alcuni Borgogna: Armand Rousseau, Clos de Tart, Trapet o Bordeaux Domaine de l’Eglise o della Loira come il mitico Nicolas Jolie). Troppo per una trattoria, sì, davvero troppo. Ma nulla di esibito, è un tesoro personale per buoni intenditori («Beh, devo dire che tanti me li sono bevuti io»). Un tesoro finito tutto in competenza che Lucio mette oggi al servizio di alcuni giovani produttori biodinamici della zona (e non solo dei Colli), veri e propri Talebani della vigna che molto si fidano dei suoi consigli e se ne lasciano anzi guidare. Alfonso Soranzo per esempio gli consegna in toto la sua produzione di un Cabernet Sauvignon non filtrato con tappo a corona: strepitoso nella sua “normalità”. Non si può pensare a un vino più azzeccato per accompagnare una merenda a base di panbiscotto e salumi.

«Nel vino – dice Lucio – c’è da riscoprire il concetto di terroir. Oggi si fanno vini aggiustabili in cantina, vini di superficie. Quando avremo sposato il concetto di profondità, solo allora potremo fare il confronto con i francesi».

Dove profondità significa soprattutto duro lavoro in vigna. Alfonso Soranzo è il giovane vigneron “adottato” da Lucio. Faccia e muscoli da rocciatore, ci accompagna nei suoi vigneti mostrandoci gli strati di marna su cui poggiano queste vigne coltivate con tisane di ortica ed equiseto nel rispetto totale dei ritmi della natura. Assaggiamo poi in cantina il suo moscato naturale dolce, la garganega, il moscato secco… Sembra di aver seguito una lezione di profondità!

Al Sasso
Teolo (Padova)
fraz. Castelnuovo
tel. 0499 925 073

Raffaella Prandi

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