È negli Emirati Arabi la fattoria che produce biocombustibili e risorse alimentari. Contemporaneamente

15 Mar 2016, 14:02 | a cura di

Il progetto di Abi Dhabi, propone una soluzione all’annoso dilemma della produzione di carburante verde, che mentre fa bene all’ambiente, mette a repentaglio la sicurezza alimentare. Sottraendo terreno e risorse all’agricoltura tradizionale.  


Biocombustibili pro e contro

Il dato di fatto è che negli ultimi anni qualcosa comincia a muoversi in fatto di produzione di energia alternativa a basso impatto ambientale. La notizia recente (una conferma di quanto si temeva), pubblicata sulla rivista Scientific Reports, è che non sempre è tutto oro quel che luccica. Lo studio in questione è frutto di una ricerca italiana condotta dal Politecnico di Milano che ha analizzato l'andamento della produzione di biocombustibili nel corso del 2013. Per entrare nel merito con più cognizione di causa, parliamo di biocarburanti (di prima generazione) in riferimento a quel settore della chimica “verde” che sviluppa benzine biologiche per ridurre il ricorso al petrolio. Ma è opportuno operare un distinguo con i carburanti ecocompatibili di seconda generazione, quelli che usano colture marginali o residui agricoli e quindi non impattano sulla produzione alimentare, a differenza dei fratelli più obsoleti, che per essere prodotti necessitano di materie prime alimentari. Ecco, proprio sui biocarburanti di prima generazione si concentra l'analisi dei ricercatori milanesi, che ora conferma il risvolto della medaglia dell'uso di mais, grano, soia e canna da zucchero per alimentare le auto (il bioetanolo si ottiene tramite fermentazione di canna da zucchero, mais, grano, barbabietola da zucchero e sorgo; il biodiesel si ricava da olio di palma, soia e colza).

Sicurezza alimentare vs impatto ambientale

In poche parole, se gli stessi prodotti fossero destinati a uso alimentare potrebbero sfamare un terzo delle persone denutrite nel mondo. In termini ancora più semplici (e allarmanti), a lungo andare, le benzine bio rischiano di avere un impatto deleterio sulla sicurezza alimentare. Tradotto in numeri questo “spreco” di risorse si concretizza in un 4% di terre agricole e in un 3% di acqua dolce impiegate per produrre biocombustibili, invece che cibo per 280 milioni di persone. E l'Italia è quinto consumatore al mondo di biodiesel, che peraltro produce insieme al bioetanolo, a cui destina 39mila ettari di campi e 229 milioni di metri cubici d'acqua. Ecco perché è importante sviluppare tecniche di produzione più sostenibili, che non confliggano con le esigenze alimentari della popolazione mondiale, come l'utilizzo di alghe per i biocombustibili di terza generazione. Oppure scegliere la strada intrapresa da una fattoria degli Emirati Arabi, che, per la prima volta, ha scelto di coltivare contemporaneamente cibo e biocombustibile.

La fattoria innovativa di Abu Dhabi

L'azienda, localizzata ad Abu Dhabi, è innovativa sotto diversi punti di vista: circondata dal deserto, utilizza acqua di mare per irrigare e “coltivare” pesci e gamberetti, ma produce contemporaneamente alghe e piante acquatiche destinate alla creazione di biocombustibile. L'idea, peraltro, è frutto della collaborazione tra l'università di Masdar e le compagnie aeree Boeing ed Etihad, con il supporto di un grande gruppo petrolifero come UOP Honeywell. E il principio che regola la sinergia tra acquacoltura e produzione di combustibili è semplice: poiché la coltivazione ittica produce moltissimi scarti e inquina le acque del mare stimolando la crescita di alghe tossiche, perché non utilizzare questi scarti come concime per le alghe da trasformare in biocombustibile? L’industria dell’aviazione sembra finalmente aver compreso l’importanza di investire nella ricerca, perché in un futuro non troppo lontano il biocombustibile possa alimentare il motore di un aereo. Intanto, la soluzione messa in atto ad Abu Dhabi sembra mettere d’accordo tutti: meno inquinamento ambientale, più risorse alimentari a disposizione e biocombustibile di terza generazione.

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