Home Restaurant, in Italia 7 mila cuochi segnano il trionfo del social eating

15 Ott 2015, 10:36 | a cura di

Una ricerca di Confesercenti svela i dettagli di un fenomeno in ascesa ma anche il profilo dei cuochi italiani. Nel 2014 organizzati 37 mila eventi social eating. Milano, Roma e Torino le città più attive. Intanto i ristoratori chiedono una regolamentazione.


Home restaurant. Una moda in crescita

Un piccolo esercito di 7 mila cuochi capaci di fatturare 7,2 milioni di euro nel 2014, sfamando 300 mila persone, tra turisti, avventori e conoscenti in ben 37 mila eventi in cui sono proposte specialità tradizionali e creative. È la fotografia che emerge da uno studio CST – Centro studi turistici per Fiepet Confesercenti sull'universo degli home restaurant italiani, che rappresentano una moda in crescita anche nel 2015, con le case delle principali città che si trasformano in piccoli ristoranti, dove chi organizza una serata cosiddetta “social eating” arriva a incassare in media 194 euro.

La ricerca presentata a Cesena ha tracciato anche un profilo del cuoco social: età media 41 anni, 56,6% donne, 29,4% uomo, con un 53,8% presente su almeno uno dei principali social network e un 14,9% che svolge attività extra, correlate al settore food. Sono Gnammo.com, Le Cesarine, Peoplecooks.com, Eatwith.com, Vizeat.com e Kitchenparty.org le principali piattaforme italiane che consentono di fare incontrare domanda e offerta.

Le città più attive. Ecco dove mangiare diventa social

Milano, Roma e Torino sono le città dove maggiormente si registrano eventi. Mentre nel Mezzogiorno è Bari una delle città più attive. E così Lombardia (16,9%), Lazio (13,35) e Piemonte (11,8%) sono le regioni dove l'home restaurant è più diffuso. Nella sola Milano risiede l'8,4% dei cuochi e ha sede il Ma' hidden kitchen supper club, uno dei più importanti home restaurant d'Italia; così come a Roma c'è l'8,2% dell'offerta, con Ceneromane.com portale di riferimento. Torino, sede di Gnammo.com, è al terzo posto mentre Bari e il Salento sono i centri più attivi al sud.

Nella classifica dei fatturati e della spesa procapite, Confesercenti evidenzia una spesa media di 23,70 euro a testa, con la Lombardia che registra il 24,6% degli ospiti. Seguono Lazio (18,6%), Piemonte (15,8%) e Puglia (8,4%), mentre al sud le adesioni sono considerate marginali, in molti casi inferiori al 2%. Le regioni che incassano di più (sopra 200 euro) sono Lombardia, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Lazio, Puglia e Basilicata. Mentre Valle d’Aosta, Molise, Calabria e Sicilia non superano 150 euro.

Il profilo del cuoco social: amatore o professionista?

L'incasso medio dei cuochi è di 1.002 euro annui con la Lombardia al vertice (1.203 euro annui) seguita da Lazio (1.174 euro) e Piemonte (1.088 euro). Puglia e Basilicata sono in linea coi dati nazionali, mentre sotto la media troviamo Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Molise, Calabria e Sicilia, tutte sotto 600 euro.

Il confine tra hobby e attività economica è in questi casi labile e indefinito. Anche per questo motivo Fiepet Confesercenti, con il suo presidente Esmeralda Giampaoli, evidenzia come il fenomeno abbia “perso il suo carattere amatoriale assumendo sempre più un approccio imprenditoriale”. Secondo l'organizzazione, home restaurant e social eating “sono un legittimo fenomeno di mercato, ma occorre tracciare una linea di demarcazione chiara e netta tra ciò che definiamo sharing economy e ciò che invece è attività imprenditoriale a tutti gli effetti”. I ristoratori, secondo un sondaggio Swg per Fiepet citato da Giampaoli, chiedono più regole (9 imprenditori su 10), mentre 8 su 10 ritengono che allo stato attuale gli home restaurant siano una forma di concorrenza sleale per la ristorazione regolare, che investe tempo e denaro per avere requisiti e certificazioni richiesti per legge, a partire da quelle igienico-sanitarie, per tutelare la salute e la sicurezza del consumatore. “Le nuove tecnologie e il web rappresentano una straordinaria opportunità ma senza regole adeguate si corre il rischio di spianare la strada a una ristorazione parallela composta da un esercito di imprese irregolari che esercitano al di fuori di ogni norma e controllo. Per questo” conclude “troviamo preoccupante che ci siano anche amministrazioni locali che danno supporto al fenomeno prima che si arrivi a una regolamentazione chiara”.

 

a cura di Gianluca Atzeni

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