Il caso carbone vegetale. Fa bene o male? E si può usare nel pane? Davide Longoni dice la sua

7 Gen 2016, 13:00 | a cura di

Dodici indagati in Puglia, una frode che aggira una normativa poco chiara che vieta l'utilizzo di additivi e coloranti nella panificazione, ma ammette l'utilizzo di E153 purché il prodotto finale non si chiami pane. Ma poi, il carbone vegetale fa bene davvero? Da Milano il parere di Longoni, che festeggia il successo del Mercato del Suffragio. 


La moda del pane nero

Non ci è voluto molto perché il carbone vegetale diventasse una moda in tutta Italia. Dietro al dilagare del pane nero che fa capolino tra i banchi di molte panetterie ci sono le presunte proprietà benefiche assicurate dal colorante (perché di questo si tratta!) E153, meglio conosciuto come carbone vegetale o carbone attivo, ma più spesso questi panini neri come la pece sono un vezzo da portare in tavola per stupire con effetti speciali. Una moda inarrestabile che non ha risparmiato pizza e cornetti (e questo Natale abbiamo assaggiato persino il panettone al carbone vegetale), ma oggi fa discutere dopo il caso sollevato dalla Forestale del Comando Regionale per la Puglia, proprio nella terra del celeberrimo pane di Altamura.

Il caso pugliese: 12 indagati

Perché se in tutta la Penisola si contano a centinaia le tipologie di pani tradizionali tramandati dall'arte bianca, è pur vero che negli ultimi tempi molti panificatori si sono fatti prendere la mano dalla moda del momento; dodici di loro, tutti pugliesi, sono finiti nel mirino dell'operazione che ha denunciato la produzione e commercializzazione di pane, focaccia, bruschette al carbone vegetale, con l'aggiunta alle ricette classiche del famigerato colorante E153. Qual è il motivo del contendere che ha portato al sequestro di molti prodotti da forno? La legislazione nazionale e quella europea vietano espressamente l'utilizzo di colorante nella produzione di pane. E ben pochi lo sanno. Questo significa che, qualora un panettiere volesse usare carbone vegetale, il prodotto finale non può essere definito pane, pena la violazione di legge.

Carbone vegetale: vizi e virtù

Quindi l'utilizzo dell'E153 in panificazione è consentito – almeno in Europa, mentre gli Stati Uniti continuano a vietarlo – ma il caso pugliese scoperchia un vaso di Pandora che è destinato a infiammare il dibattito, e ha già portato alla richiesta di un'interrogazione parlamentare: il carbone vegetale fa bene all'organismo o, al contrario, è dannoso per la nostra salute? È l'Unione Nazionale dei Consumatori a denunciare i rischi della sostanza ottenuta dal processo di combustione incompleta del legno: Agostino Macrì, responsabile dell'area sicurezza alimentare dell'associazione, punta il dito proprio sulla combustione, quando è possibile la formazione di sostanze pericolose come gli idrocarburi policiclici aromatici. I cosiddetti IPA sono tollerati in misura molto ridotta dalla normativa europea, che quindi detta i parametri per l'utilizzo corretto del carbone vegetale in erboristeria, farmaceutica e a scopo alimentare.

D'altro canto è noto l'effetto farmacologico del carbone vegetale, che favorisce l'assorbimento a livello intestinale di gas potenzialmente nocivi, ed è quindi indicato in casi di aerofagia e cattiva digestione. Anche se “questo effetto assorbente potrebbe interferire con l'assunzione di farmaci come la pillola anticoncezionale” prosegue Macrì. Ecco perché l'attenzione non è mai troppa, anche se, solitamente, i panettieri utilizzano carbone vegetale in polvere in piccolissime quantità.

La nota del Ministero della Salute: non chiamatelo pane

Resta fermo il fatto che il pane, per definirsi tale, ammette esclusivamente l'utilizzo di acqua, farina, sale, zucchero, burro e latte dosati secondo ricetta ed esigenza. E infatti una nota del Ministero della Salute emanata già alla fine di dicembre cerca di far chiarezza sull'argomento: il carbone vegetale è classificato come additivo, pertanto incompatibile con la produzione di pane (e questo è il capo di imputazione per i panificatori denunciati per frode in Puglia), ma può essere impiegato nei prodotti alimentari come colorante o come sostanza con specifica indicazione sugli effetti benefici. Il regolamento a cui si fa riferimento per condizioni di impiego e dosi è quello della Comunità Europea n. 1333/2008, mentre un altro regolamento (231/2012) legifera sui requisiti di purezza del carbone stesso. Quando si può parlare di benefici per la salute (nello specifico riduzione dell'eccessiva flatulenza post-prandiale)? “Solo per un alimento che contiene 1 g di carbone attivo per porzione quantificata. L'indicazione va accompagnata dall'informazione al consumatore che l'effetto benefico si ottiene con l'assunzione di 1 g almeno 30 minuti prima del pasto e di 1 g subito dopo il pasto”. E per tornare all'affaire pane al carbone vegetale, nello specifico, la nota del ministro Lorenzin ricorda: “È ammissibile la produzione di un 'prodotto della panetteria fine' denominato come tale, che aggiunga agli ingredienti base (acqua, lievito e farina), tra gli altri, anche il carbone vegetale come additivo colorante e nelle quantità ammesse dalla regolamentazione europea in materia (Reg. CE 1333/08 All. II Parte E)”. Per contro, non è ammissibile etichettare il prodotto di cui sopra come “pane”, né tanto meno fare riferimento ai suoi effetti benefici. Che peraltro – denuncia ancora l'UNC - ci vengono fatti pagare a caro (ingiustificato) prezzo: fino a 7 euro al kg a fronte di una spesa di 15 centesimi per 15 grammi di carbone necessario per un chilo di farina.

Il parere di Davide Longoni: puntate sulla biodiversità, alla larga dalle mode

E a ricordarci che l'Italia può contare su un patrimonio che va ben oltre le mode passeggere ci pensa un panificatore del calibro di Davide Longoni:Nel nostro Paese c'è tanta di quella materia prima di qualità che dovremmo concentrarci per valorizzare questa biodiversità. Solo in Sicilia si contano 52 varietà di grani duri, e poi ci sono la segale, il farro e tutto un patrimonio di cereali poco esplorato. Quindi perché andare a panificare con il carbone vegetale?”. Certo è che “negli ultimi anni si assiste a un ritorno di interesse per i pani scuri”, di tutt'altra pasta però, visto che parliamo delle farine integrali che il panificatore milanese sa usare con tanta maestria: “Nel Dopoguerra il pane bianco era l'emblema del benessere; oggi il pane scuro è tornato a incuriosire il consumatore, dapprima per esigenze dietetiche, fino alla deriva del carbone vegetale”. Che secondo Longoni si può inquadrare anche nel filone della richiesta di pani arricchiti, come quello allo spirulina, con bacche di goji e chi più ne ha più ne metta. Intanto il panificatore festeggia il successo del Mercato del Suffragio, di cui dirige le attività: “La risposta di Milano è stata molto positiva, tutta la città è passata di qua durante le feste. Il mercato va molto bene a pranzo e cena, ma stiamo lavorando per incrementare anche la vendita al dettaglio”. Mentre si programma un ricco calendario di attività culturali, non solo a tema gastronomico, tra teatro e residenze per giovani artisti locali.

Beppe Concordia e il Panificio Adriatico: io ho smesso di usarlo

Mentre a Sud, in Puglia, l'aria che si respira è mesta. Raggiungiamo al telefono Giuseppe Concordia, del Panificio Adriatico di Bari. Anche lui, uno dei grandi maestri dell'arte bianca pugliese, di farine biologiche e biodiversità se ne intende. E fino a qualche tempo fa produceva pane e taralli al carbone vegetale. Oggi, dopo la visita di un certificatore in tempi non sospetti, non c'è più traccia di pane nero, “perché mi hanno spiegato che l'utilizzo del colorante E153 non è consentito e potrebbe essere dannoso. Eppure le aziende continuano a venderlo alla luce del giorno, e anche la Asl, quando l'ho contattata, mi è sembrata impreparata sull'argomento. Quindi fino a quando non sarà fatta chiarezza, io preferisco farne a meno”. Ma un maestro come lui perché aveva scelto di usare il carbone vegetale? “Non solo per motivi estetici. Io associavo l'utilizzo del carbone a grani di qualità, kamut, farro, prevalentemente per motivi nutrizionali. E il beneficio era confermato anche dai clienti che lo acquistavano regolarmente. Però resta il dubbio sui problemi di compatibilità con alcuni farmaci e sui rischi dovuti alla combustione. Spesso i panificatori ne sono ignari, è necessario informarli, prima di accusarli”. E ci lascia con un ultimo interrogativo: “Se il problema è la combustione, come ci regoliamo con il grano arso, tanto usato in panificazione e ristorazione?”.

 

A cura di Livia Montagnoli

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