Il Governo approva la norma salva centri storici: ai Comuni la possibilità di vietare kebabberie e fast food

29 Nov 2016, 13:30 | a cura di

Approvata nell’ambito della riforma Madia della pubblica amministrazione, la norma affida ai sindaci il compito di vietare l’esercizio di attività commerciali non compatibili con la tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. È la fine di minimarket e fast food nei nostri centri storici? 


La nuova norma salva centri storici

Libera concorrenza o tutela del patrimonio? Il giusto compromesso deve pur esserci, e l’ultimo decreto legislativo del governo Renzi prova a dirimere la questione. È già stata ribattezzata norma “salva centri storici” (o se preferite “decreto anti fast food”) il passaggio inserito nel cosiddetto dlg Scia 2 presentato dal ministro Madia nell’ambito della riforma della Pubblica Amministrazione. E non a caso, visto che - recita il testo di questa “Segnalazione certificato di inizio attività bis” - d’ora in avanti i sindaci avranno facoltà di vietare l’esercizio delle attività commerciali “non compatibili con le esigenze di tutela e di valorizzazione del patrimonio culturale”, quando in presenza di aree “di particolare valore storico, archeologico, artistico e paesaggistico”. Come i centri storici, per l’appunto.

Il precedente. Firenze e il sindaco Nardella

Pioniere di una battaglia che ora si giocherà su scala nazionale, seppur a discrezione dei singoli Comuni, era stato proprio un sindaco particolarmente determinato a ripulire da attività di dubbio gusto, kebabbari e negozi di souvenir made in China una delle città più rispondenti ai requisiti di cui sopra, ma non per questo meno martoriata dal fenomeno. Anzi. E infatti, all’indomani del Consiglio dei Ministri, esulta Dario Nardella, primo cittadino di Firenze che la sua lotta al commercio indiscriminato l’aveva ingaggiata mesi fa, costituendo un precedente importante per altre città italiane, ma pure cacciandosi in uno scomodo duello a singolar tenzone con Mc Donald’s, che ha fatto il giro del mondo. All’inizio dell’estate scorsa e dopo l’approvazione della normativa comunale che stabiliva parametri e requisiti qualitativi per aprire un’attività alimentare o di somministrazione nel centro del capoluogo toscano, infatti, esplodeva lo scandalo sull’eventuale apertura di un grande fast food della celebre catena americana proprio in piazza Duomo, dirimpetto alla cupola del Brunelleschi. Da un lato i difensori della patria al grido di Save Firenze, dall’altro la nuova strategia commerciale dei vertici di Mc Donald’s, disponibili al confronto. In mezzo, fra dichiarazioni e ripensamenti, il Comune e il sindaco Nardella, prima a favore, poi schierati nettamente contro il “nemico”, con appello al regolamento Unesco in materia di qualità e decoro urbano. Risultato: nulla di fatto (ma l’eco della polemica ha continuato a propagarsi nel tempo, fino a manifestarsi nuovamente a Roma solo un paio di mesi fa, per l’annunciata apertura di una sede della catena a Borgo Pio, nel perimetro di San Pietro).

Cosa cambia ora. La parola ai sindaci

Ma se guardiamo oltre il caso di scuola, la situazione attuale di molti centri storici italiani, Firenze compresa, lascia ben poco spazio all’ottimismo, di fronte a un panorama confuso di licenze indecifrabili, minimarket, ristoranti acchiappaturisti che di tipico spesso hanno solo il tricolore sul menu plastificato. E guai a parlare di tracciabilità della filiera o tutela del lavoro. Ora la nuova disposizione di legge recupera il pronunciamento Unesco a favore delle botteghe artigiane e delle tradizioni locali e fa proprie le istanze de sindaco Nardella per frenare l’apertura di attività commerciali di bassa qualità. E proprio ai sindaci, in accordo con le soprintendenze, spetterà adottare regolamenti in merito, sull’esempio di quanto il Codice dei Beni Culturali già stabilisce in materia di ambulanti, che dovrebbero (in teoria, ma nella pratica non è sempre così) vedersi inibita la possibilità di vendere su suolo pubblico nelle aree storiche. Certo, bisognerà vedere come le amministrazioni interpreteranno la fin troppo generica dicitura di “non compatibilità”: fast food sì o no? E quando è il caso di scendere più a fondo oltre le riduttive etichette imposte dal mercato? Oggi non sono pochi gli esempi di esercizi che somministrano fast food, ma alla qualità dimostrano di tenerci eccome. E al contrario tanti ristoranti pseudo-tradizionali nascondono un bel po' di magagne, tra conti non in regola, lavoro in nero ed evasione fiscale. 

Come andrà a finire? La norma è già operativa e in gazzetta ufficiale, ma si comincia da un triste dato di fatto: il provvedimento non è retroattivo, e solo nel prossimo futuro comincerà ad avere efficacia. Speriamo. A Roma, per esempio, si è detta pronta a intervenire con tempestività la presidente del I Municipio Sabrina Alfonsi. E il primo a farne le spese sarà proprio il sopracitato Mc Donald’s di Borgo Pio, che rischia di diventare il capro espiatorio del caso: “Con queste norme il fast food in questione non potrà assolutamente aprire, mentre con le regole attuali non avremmo potuto impedirlo”. Tutti contenti?

 

 

a cura di Livia Montagnoli

linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram