Il made in Italy in etichetta. Via libera per latte e formaggi, ora imperversa la battaglia del riso

19 Apr 2017, 15:30 | a cura di

Entra in vigore oggi il decreto che sancisce l'indicazione d'origine, condizionamento e trasformazione in etichetta per tutti i prodotti lattiero caseari. Una normativa che privilegia la tracciabilità e la filiera nazionale, anche se non del tutto risolutiva. Intanto anche la risicoltura italiana potrebbe seguire l'esempio, per difendersi dall'invasione orientale. 


Etichetta trasparente per latte e formaggi

Origine, luogo di pastorizzazione e di trasformazione. Della nuova normativa che avrebbe regolamentato le etichette del latte sul territorio nazionale si parlava da tempo, da quando all'inizio di dicembre scorso i ministri Martina e Calenda approvavano il decreto risolutivo. Da oggi il provvedimento entra in vigore per tutti i prodotti lattiero caseari – latte, burro, yogurt, latticini e formaggi - che dovranno riportare in etichetta l'indicazione d'origine della materia prima secondo quanto disposto dal decreto 15/2017 del ministero delle Politiche Agricole in attuazione del regolamento UE 1169/2011. Soddisfazione unanime che accomuna il ministro Maurizio Martina e il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti, come tanti produttori italiani che da tempo si appellavano al diritto alla trasparenza per il consumatore, in difesa del made in Italy sul territorio nazionale, ancor prima che sui mercati esteri. Certo, bisogna sottolinearlo, un'etichetta che distingue il latte vaccino, ovicaprino, bufalino e di altra origine animale (UHT compreso) in tre diverse categorie – Italia, Paesi Ue, Paesi non Ue – è solo un primo passo verso la responsabilizzazione della filiera casearia.

Si può fare di più

E questo perché, inevitabilmente, un cappello così ampio come “Italia”, sotto cui canalizzare tutta la produzione (mungitura, condizionamento e confezionamento) di latte entro i confini della Penisola, è piuttosto generica, finisce per comunicare poco la reale origine della materia prima, e ancor meno dirime la questione qualitativa, finendo per appiattire differenze e peculiarità, considerando che la fotografia dell'Italia lattiero casearia può nascondere situazioni anche molto diverse tra loro, per serietà e bontà del lavoro. Salvo quanto già prevede il disciplinare dei prodotti a marchio Dop, Igp e Stg, tutelati da un regime specifico di tracciabilità. E fermo restando il traguardo importante sancito dal decreto, e rimarcato da Coldiretti, che parla di “momento storico”, a fronte di una situazione finora indecifrabile, “con tre confezioni di latte su quattro a lunga conservazione straniere, senza che nessuno lo sappia”. Mentre da oggi, secondo i dati Ismea, il consumatore disporrà di informazioni in più sull'origine delle materie prime di oltre 500mila formaggi non Dop. Un verdetto non scontato, visto che attualmente l'Italia è il più grande importatore mondiale di latte, con l'equivalente di 24 milioni di litri che ogni giorno varcano la frontiera nazionale, tra cisterne, semilavorati, formaggi, cagliate e polveri di caseina. Il prossimo passo auspicabile? Per esempio informare il consumatore sulle modalità di allevamento e nutrizione degli animali, proprio per segnalare dove sta davvero di casa la qualità.

 

La battaglia del riso

Intanto -  sotto a chi tocca - tiene banco proprio negli ultimi giorni, l'ultima puntata di una battaglia per la trasparenza della filiera che i risicoltori italiani hanno ingaggiato da tempo. Il settore è in crisi, e nonostante l'Italia resti il principale produttore di riso in Europa con 15 milioni di quintali ogni anno (8 milioni solo in Piemonte) da Oriente – Vietnam e Thailandia principalmente - nel 2016 sono confluiti sul mercato nazionale 244 milioni di chili di riso a basso costo, che mettono in ginocchio i produttori italiani. La situazione odierna, fa presente il dossier #SosRisoItaliano di Coldiretti, è conseguenza dell'azzeramento dei dazi per i Paesi che operano in regime Eba disposto dall'Ue, che ha determinato un'impennata delle importazione, dal 35% del 2008/2009 al 68% del 2015/2016. Il 13 aprile scorso, la protesta è arrivata a Roma e Maurizio Martina non si è fatto trovare impreparato, anticipando l'imminente approvazione di un decreto per la sperimentazione dell'obbligo di indicazione d'origine in etichetta per il riso italiano (dal luogo di coltivazione del risone allo stabilimento di trasformazione). E promettendo al contempo di perorare la causa dei risicoltori davanti al Parlamento europeo, chiamato a introdurre clausole di salvaguardia per frenare l'invasione del riso extra Ue e tutelare i ricavi dei produttori.

 

Tracciabilità e promozione

Molti, intanto, invocano che al settore – una delle filiere di qualità dell'agroalimentare italiano – sia dato il respiro che merita, con una campagna di promozione che sensibilizzi i consumatori su una materia ancora poco conosciuta come il riso, le peculiarità della filiera e le realtà d'eccellenza (perché anche nel “calderone” risicolo nazionale, sono 4263 le aziende registrate su un territorio di 237mila ettari, bisogna rimarcare le debite differenze) che tramandano una tradizione radicata in diverse regioni della Penisola, dal triangolo d'oro piemontese Vercelli-Novara-Biella (qui, per esempio, parlavamo degli Aironi) alle risaie sarde dell'Oristanese, alle distese di arborio, carnaroli, vialone di Pavia. La speranza, insomma, è che l'Ente Risi, oggi a detta di molti spogliato di autorevolezza e strumenti di valorizzazione del settore, torni a essere trait d'union e ambasciatore di un comparto “da primato, per qualità, tipicità e sostenibilità”.  

 

a cura di Livia Montagnoli

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