La scommessa del vino italiano? Rosati e bollicine, ma occhio a interpretare i segnali

30 Lug 2021, 16:58 | a cura di
Entro la fine dell'anno previsti 11 miliardi di fatturato per un balzo del 9%. Nel Forum Cia in collaborazione con Uiv, il settore si è interrogato sul futuro. E se l’Italia è ormai la sparkling land, il rischio commodity è ancora troppo alto. Scanavino: “La viticoltura sia una guida per tutto il settore primario”.

Il mondo vitivinicolo ha cinque mesi di tempo per dimostrare di riuscire a correre più veloce della pandemia e chiudere il 2021 con un giro d’affari di 11 miliardi di euro e un balzo del 9%, mantenendo così intatto il secondo posto nella classifica globale dei maggiori Paesi esportatori, dopo la Francia, e lasciarsi alle spalle il crollo medio dei fatturati del 15%. Ci riuscirà? È questa la previsione emersa nel corso del Forum Nazionale Vitivinicolo 2021, promosso da Cia-Agricoltori Italiani in collaborazione con Unione Italiana Vini. I segnali di ripartenza ci sono tutti: dalle riaperture al nuovo equilibrio nel rapporto di forza tra off e on-trade. Nella situazione attuale, infatti, escluso il rischio di nuovi stop legati alle varianti del virus, si stima che i consumi legati al canale Horeca cresceranno del 19% sul 2020, anche se il saldo resterà ancora passivo rispetto al 2019 (-26% pari a 4,6 miliardi), mentre nella Gdo l’aumento si attesterà al +8%.

convegno vino

La viticoltura modello da seguire

“Quello che stiamo vivendo è uno dei momenti più stimolanti degli ultimi 40 anni: la ripresa dopo una crisi del genere” ha sottolineato il padrone di casa Dino Scanavino, presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani. “L’Italia” ha continuato “essendo il più grande percettore dei fondi per la ripartenza ha le carte in regola per farlo con potenza straordinaria, ma non bisogna sprecare denaro ed energie. Dal canto suo, la viticoltura, in quanto uno dei settori più dinamici dell’agricoltura, può essere una guida, oltre che un banco di prova per le capacità dell’imprenditoria agroalimentare”.

Il difficile equilibrio tra Do e vini comuni e il rischio commodity

Secondo l’analisi “Un nuovo potenziale per il vino italiano”, presentata nel corso del Forum ci sono ancora ampi i margini di crescita del Made in Italy enologico, ma con un potenziale produttivo in aumento, l’offerta del vino italiano rischia una tendenza verso il basso. Nello specifico, infatti, nell’evoluzione del potenziale in vigneto si sta ritornando ai livelli precedenti alla prima Ocm del 2009, che finanziò i coltivatori per estirpare (è del 2016 la ripartenza con il sistema delle autorizzazioni).

Tuttavia, questo ritorno al passato, non interessa le principali Doc e Docg, per cui gli albi sono ormai chiusi, ma va ad alimentare il serbatoio dei vini comuni. Il potenziale produttivo è, quindi, di medio-basso livello. Tra il 2021 e il 2025 si prevede di arrivare ad una media produttiva di 50 milioni di ettolitri. Insomma, riassume il responsabile dell’Osservatorio Carlo Flamini: “Ci sono un potenziale tendente all’aumento, una nuova offerta vincolata verso il basso e una quota contoterzismo molto alta, vicina solo a quella spagnola”. Un rischio commodity da evitare lavorando sull’offerta di qualità specie su alcune tipologie della domanda globale in forte crescita.

Rosati: offerta italiana ancora troppo parcellizzata

E a proposito di tipologie in crescita, la risposta non può che essere doppia: rosati e spumanti. Oggi complessivamente il rosato in Italia riguarda 120 milioni di bottiglie nel 2020 per un valore di 450 milioni di euro. Per i rosati fermi ci si assesta su circa 68 milioni di pezzi. Ma attenzione: di solo il 2% dei rosati fermi supera quota 5milioni di bottiglie; il 74% resta sotto le 100 mila bottiglie. Una risposta ancora poco efficace al trend di crescita dei rosati nel mondo. In definitiva, quindi, quella italiana è ancora “un’offerta parcellizzata, inadeguata alla domanda, che poi finisce in surplus produttivi da svendere”.

Bollicine: come far durare il miracolo italiano

Se quello dei vini rosati è un fenomeno recente, quello delle bollicine è, invece, ormai un sistema consolidato, tanto da far diventare l’Italia una vera e propria “sparkling land”: niente è cresciuto come lo spumante, con 750 milioni di bottiglie italiane, che rappresentano quasi un quarto dell’export vinicolo nazionale, per un valore di circa 2 miliardi di euro, per il 70% grazie al sistema Prosecco. Un trend in crescita costante, tanto che si stima il raggiungimento di 1 miliardo di bottiglie di bollicine entro il 2024. Il punto è capire come far durare questo miracolo e soprattutto come evitare degli errori poco furbi, che rischiano di farci del male. Tra questi Flamini cita i casi di auto-concorrenza, con spumanti comuni e varietali italiani che in Germania hanno messo il bastone tra le ruote all’ascesa incontrastata del Prosecco. “Un caso di cannibalismo italiano sui propri prodotti, che francamente si vede poco nelle altre parti del mondo e che sarebbe meglio evitare. Così come bisogna assolutamente sfuggire all’improvvisazione. Bene che la produzione dello spumante abbia superato la linea del Po, cogliendo i segnali che vengono dal mercato, ma bisogna crederci veramente”.

Il ruolo della promozione

Accanto ai segnali di cui tener conto, c’è poi uno strumento che deve affiancare i produttori nella fase finale, ovvero la promozione. Ed è a questa che hanno fatto riferimento i partecipanti al forum. “La lunga crisi pandemica ha segnato un punto di rottura nel settore che, per un rilancio vero, ha bisogno di uscire dalla logica emergenziale dei ristori” ha spiegato Luca Brunelli, responsabile Cia-Agricoltori Italiani Area Politiche Vitivinicole “Per superare l’impasse, è necessario puntare sulla promozione, utilizzando tutti i fondi e le risorse a disposizione, a livello nazionale e Ue, con l’obiettivo di competere sempre meglio sui mercati esteri”. Per il ministro delle Politiche Agricole Stefano Patuanelli “L’obiettivo è non sprecare risorse e il vino” ha proseguito “ha dimostrato di essere, nel primario, il settore che più di tutti sostenuto il Made in Italy, perché in grado di creare valore aggiunto e ripartirlo con tutta la filiera”.

A lui ha rivolto il suo appello il presidente Uiv Ernesto Abbona: “Al Ministro” ha detto “proponiamo di farsi promotore per l’avvio di una campagna istituzionale per il rilancio dell’immagine del nostro Paese attraverso la narrativa dei suoi territori vitivinicoli e delle sue tipicità agroalimentari”. Intanto, però, ha aggiunto lo stesso Abbona: “Chiediamo fortemente che lo strumento della promozione Ue sia difeso a livello europeo, nell’ambito della riforma a cui sta lavorando in questi mesi Bruxelles, in quanto le politiche proibizioniste della Commissione potrebbero escludere il vino e altri settori del nostro agroalimentare dai finanziamenti a favore della promozione dei prodotti agricoli”. Il riferimento è al piano anticancro che, avrebbe puntato il dito, anche contro il vino, mettendo a rischio proprio l’inserimento nei piani di promozione. “È fondamentale” ha continuato Abbona “far fronte comune per impedire questo disegno, facendo leva sul ruolo insostituibile del vino e delle sue Dop e Igp sullo sviluppo e sostenibilità dei territori”.

a cura di Loredana Sottile

Questo articolo è tratto dal settimanale Tre Bicchieri del 22 luglio 2021 – Gambero Rosso 

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