"Le guide di Veronelli non sono semplici elenchi, dobbiamo smettere di sfogliarle". Il ricordo di Alessandro Masnaghetti

29 Nov 2024, 07:51 | a cura di
Sono passati due decenni dalla scomparsa di Luigi Veronelli, il mondo del vino e dell’enogastronomia continua a cercare un erede che ne incarni l’energia rivoluzionaria, la profondità culturale e l’incredibile capacità di visione

«Sono un uomo dato alla gola e a tutti i piaceri sensuali e mondani», diceva di sé stesso Luigi Veronelli, riducendo in una frase quell’anima complessa e contraddittoria che lo rende ancora oggi il grande maestro dell’enogastronomia italiana. Nato nel 1926, è ricordato per essere uno dei primi a parlare del vino come patrimonio culturale, da proteggere e valorizzare, oltre ad essere il primo, in quegli anni, a difendere i contadini e i piccoli produttori, opponendosi a un’idea industriale e spersonalizzante del cibo e del vino. A venti anni dalla sua scomparsa, Alessandro Masnaghetti, fondatore di Enogea (definito il map man da Wine Spectator) e storico collaboratore di Veronelli, condivide con noi del Gambero Rosso ricordi che vanno oltre l’immagine ufficiale del maestro: «Con lui c’era sempre qualcosa da imparare, ma anche da discutere: non era mai banale, e la sua visione era avanti di decenni».

Luigi Veronelli

Filosofo, anarchico, innovatore

Ma anche caparbio e profondamente umano. Luigi Veronelli nasce a Milano il 2 febbraio 1926, in una famiglia benestante (Eigenmann&Veronelli è ancora oggi una grande impresa chimica). Fin da giovane è attratto dalla cultura: prima gli studi in ingegneria chimica (per volontà paterna di entrare nell’azienda di famiglia), dopo la filosofia, studiata sotto la guida di Lelio Basso, poi ancora il vino e la gastronomia, che lo trasformano in un intellettuale a tutto tondo. Negli anni Cinquanta, in pieno boom economico, inizia a scrivere sull’agricoltura e il turismo come chiavi per il futuro dell’Italia; idee pionieristiche per un’epoca che celebrava l’industria e il consumo, e che facevano di Veronelli una voce fuori dal coro. La sua militanza anarchica, mai nascosta, si rifletteva in ogni aspetto del suo lavoro: dalla lotta per la dignità dei contadini alla promozione della qualità alimentare, fino all’incessante ricerca di cibi e vini che raccontassero il territorio: «Veronelli intendeva il suo ruolo di giornalista: non commentatore e giudice di un prodotto ma creatore di un mondo universo», scrivono Gian Arturo Rota e Nichi Stefi nel volume Luigi Veronelli – La vita è troppo corta per bere vini cattivi (Slow Food e Giunti editori).

Ha portato concetti come “cru”, “giacimenti gastronomici” e “vino contadino” al centro del dibattito pubblico, rivoluzionando il modo di raccontare il vino. Le sue guide, da quelle dei vini ai Cataloghi Bolaffi, hanno anticipato le moderne pubblicazioni del settore, offrendo un approccio critico e narrativo - che ancora oggi non ha eguali - poi le sue pubblicazioni e riviste (Panorama, Espresso, Capital, Domenica del Corriere, Il vino, L’Etichetta, Ex Vinis, ecc.), collane di libri come I Semi, dedicata ai grandi vignaioli. Non meno importanti sono le sue apparizioni in televisione: tra il 1971 e il 1976 conduce A tavola alle 7 su Rai1 (ne avevamo parlato qui), rendendo la cultura del vino e della gastronomia accessibile a un vasto pubblico, molto prima di Masterchef. Ma anche programmi come Viaggio sentimentale nell’Italia dei vini su Rai3 sono ancora pietre miliari per chi cerca di comprendere il rapporto tra cibo, vino e territorio.

a tavola alle 7 - rai

Veronelli con Piero Sattanino che vinse nel 1971 il titolo mondiale di sommelier dell'anno

Il ricordo di Alessandro Masnaghetti

Con una carriera iniziata accanto a Luigi Veronelli - per gli amici Gino - alla fine degli anni Ottanta, Alessandro Masnaghetti ha condiviso con noi alcuni ricordi personali e l’eredità del maestro. «Grazie a Veronelli ho conosciuto mia moglie», racconta Masnaghetti. «Facevo il militare a Sabaudia e, nel tempo libero, visitavo ristoranti compilando schede che spedivo all’editore. Dopo dieci giorni, ricevetti una risposta firmata proprio da lui: voleva incontrarmi. Durante il nostro primo incontro, ho conosciuto anche mia moglie...Gino si vantò per anni di essere stato lui a presentarci», o perlomeno, «Glielo lasciavamo credere», dice ridendo Alessandro. «Fu tutto casuale, durante una degustazione a Bergamo sui vini dolci. L’aula era deserta quel giorno: eravamo in tre, e una di quelle persone sarebbe diventata mia moglie».

Un altro episodio, che Masnaghetti ricorda oggi con un gran sorriso, riguarda la prima mappa del Barbaresco creata da lui stesso agli inizi degli anni Novanta, per la newsletter di Veronelli Ex Vinis: «Lui si entusiasmava sempre per queste idee. Decise di stamparne tantissime e di allegarle a Ex Vinis, ma fu un fiasco clamoroso». Masnaghetti ricorda ancora il silenzio attorno allo stand di Veronelli Editore al Vinitaly di quell’anno, era il 1994: la gente guardava la mappa senza capire. «Per anni non ne parlammo più, quasi fosse diventato un argomento tabù». Eppure, quella visione si sarebbe rivelata profetica: oggi le mappe di Masnaghetti sono una risorsa imprescindibile per il mondo del vino. «Era una dimensione contadina, chiusa, ma autentica. Al tempo nessuno era pronto all'idea di Alessandro, ma Veronelli riusciva a guardare oltre, senza mai perdere il rispetto per quelle radici. Venti anni dopo, il mondo del vino è cambiato radicalmente. Le Langhe contadine, dove Veronelli vedeva l’autenticità, hanno lasciato spazio a una realtà più globalizzata e competitiva. Eppure, il suo messaggio resta attuale: valorizzare il territorio, dare voce ai piccoli, resistere alla banalizzazione del gusto. «Rimpiango quel mondo antico, fatto di tanti sbagli ma anche di grande passione», conclude Masnaghetti.

Il Veronelli - studio

Il Veronelli - studio - Bariano (Bergamo)

Un’eredità difficile da raccogliere

Ma cosa ha lasciato Veronelli? «Tanto, eppure nessuno sembra davvero coglierlo», osserva Masnaghetti con un velo di amarezza. «Oggi per molti leggere il Veronelli è una cosa naif, tanto per. In realtà, c’era un metodo preciso dietro ogni sua guida, ogni catalogo. Le sue frasi, che potevano sembrare sbrigative – e sempre le stesse – erano in realtà pensate per lasciare un segno». Ad esempio, ci confessa: «Detestava i ristoranti che facevano banchetti e scriveva ogni volta in guida la stessa frase: “Fa banchetti. Telefoni. Ci sono? Non ci vieni”. Potevano sembrare battute monotone, ma c’era una logica: offrire un’informazione chiara e utile». Ma nella memoria di Masnaghetti, oltre ad emergere un Veronelli catalogatore, preciso e schietto, c'era anche uno scrittore ermetico, quasi mistico nelle sue ultime opere (ma mai privo di immediatezza). «Le sue guide non sono semplici elenchi: sono libri da leggere. Oggi, purtroppo, molti si limitano a sfogliarle senza comprenderne la profondità». Veronelli ci ha lasciato un’eredità immensa. Forse, più che cercare di imitarlo, dovremmo imparare a leggerlo davvero. E che, come lui stesso amava ripetere, «sono una quercia spinosa che ha dato buone ghiande».

Quest'anno, a Bariano, nel bergamasco, per ricordarlo, è stato inaugurato un museo dedicato a Veronelli (ne avevamo parlato qui). Ospitato nell’ex convento dei Neveri, il museo include la ricostruzione del suo studio e della sua cantina, una biblioteca con oltre 6.500 volumi e una ricostruzione fedele della sua cantina nella casa a Bergamo Alta, con 12mila bottiglie, e ancora, una sala per degustazioni che invita ad «ascoltare i vini».

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