Mauro Ricciardi lascia la Locanda dell’Angelo di Ameglia. Che ne sarà dell’eredità di Paracucchi?

16 Ott 2020, 11:59 | a cura di
Lo chef ligure è stato allievo di Angelo Paracucchi, e poi ne ha raccolto il testimone, nel 2013, prendendo la guida della mitica Locanda dell’Angelo di Ameglia. Ora lascia, verso nuovi progetti. Ci racconta del suo futuro e della sorte della Locanda.

Il legame tra Mauro Ricciardi e Angelo Paracucchi

Mauro Ricciardi, classe 1952, spezzino di Ceparana, è stato, nella sua prima vita in cucina, allievo e sodale di Angelo Paracucchi. Proprio l’incontro con il patron della Locanda dell’Angelo, esponente tra i più importanti di quella nuova cucina italiana che andava nascendo alla metà degli anni Settanta, avrebbe convinto Ricciardi a sposare con tutto se stesso la causa della ristorazione, portando un po’ dell’anima del maestro nella sua Locanda delle Tamerici, sempre ad Ameglia, all’interno del piccolo albergo sul mare che aveva avviato qualche anno prima. All’epoca, forse, Ricciardi ancora non sapeva che di Paracucchi, nella seconda parte della sua carriera, sarebbe diventato più che erede, persino custode della memoria di quella Locanda – e stavolta parliamo dell’Angelo – che per decenni era stata Mecca per gastronomi appassionati, in arrivo nel laboratorio-ristorante di Ameglia (Val di Magra) per apprezzare le invenzioni di Angelo Paracucchi.

La Locanda dell'Angelo

Foto di Lido Vannucchi

La storia della Locanda dell’Angelo

Nel 1974, la Locanda dell’Angelo inaugurava nell’edificio progettato su commissione dello stesso Paracucchi dall’architetto Vico Magistretti: una villa d’autore disegnata per ospitare bar, ristorante e camere per gli ospiti, con grandi vetrate al pian terreno, affacciate sul giardino. Fino agli anni Novanta, nelle sua locanda, il cuoco di origini umbre avrebbe fatto la storia della Nuova Cucina italiana, puntando sulla freschezza e l’eccellenza delle materie prime, spingendosi a superare il confine tra dolce e salato, avviando ricerche sulla struttura biochimica degli alimenti, persino scommettendo sulla collaborazione tra il mondo della cucina e del design (anche in questo pioniere, poi molto seguito), come quando disegnò per Alessi una speciale lampada per le cotture in sala (uno dei suoi marchi di fabbrica). Alla fine degli anni Settanta, la Locanda già conquistava la stella Michelin, mentre la fama di Paracucchi era destinata a superare i confini nazionali (nel 1984, il suo successo lo portò a inaugurare un ristorante di cucina italiana, Il Carpaccio, all’interno di un rinomato hotel parigino, il Royal Monceau: da pochi giorni il ristorante ha accolto due giovani talenti italiani). Nel 2004, Paracucchi, che fu anche appassionato maestro, morì. A raccogliere la sua eredità, nella gestione della Locanda, fu il figlio Stefano, che sarebbe scomparso una decina di anni più tardi, improvvisamente, nel 2015.

Mauro Ricciardi fa lezione a giovani cuochi

Mauro Ricciardi. Dalle Tamerici alla Locanda dell’Angelo

In parallelo, la carriera di Mauro Ricciardi era andata avanti, un traguardo dopo l’altro, regalando al cuoco grandi soddisfazioni. Forte degli insegnamenti del maestro e della sua curiosità, Ricciardi porta la Locanda delle Tamerici al successo: il ristorante diventa una meta gastronomica ambita, onorando, sull’esempio della Locanda dell’Angelo, il territorio della Val di Magra. Nel 1997 la prima stella arriva a consacrare la cucina di Ricciardi. E la storia continuerà fino al 2013, quando il cuoco decide di cedere l’attività per rispondere alla chiamata di Stefano Paracucchi, che lo vuole alla guida della cucina del padre: “Allora fu dura lasciare le Tamerici, ma il cuore ha diretto il traffico, a volte ci porta a fare scelte non razionali. Alla Locanda dell’Angelo la situazione era da rifondare, quando due anni più tardi è venuto a mancare Stefano ho accolto l’impegno sulle mie spalle, non è stato facile, non si trattava solo di stare in cucina. Ma io non ho mai avuto paura, ho voluto coltivare il legame speciale con la storia di quel posto, che porterò sempre nel cuore”. Il ristorante, dunque, ingloba il suo nome, è l’avventura di Mauro Ricciardi alla Locanda dell’Angelo va avanti – mentre il cuoco tiene vivo anche l’impegno di formare nuovi giovani chef – fino a qualche giorno fa.

È la fine della Locanda dell’Angelo?

Poi, l’annuncio, “il viaggio è giunto al termine”, ed è manifesta l’intenzione di navigare verso nuovi lidi: “Negli anni ho temuto più volte di non farcela, ma è stato bello riuscire a riportare clienti appassionati alla Locanda. Però gli anni passano, un progetto ha bisogno di evolvere, bisogna programmare un cambiamento. E su questo le idee della proprietà sono diverse: non c’entra il Covid in sé, che sicuramente ha accelerato il processo, ma in buoni rapporti abbiamo deciso di prendere strade diverse. Il mio progetto qui è finito molto bene, anche se un po’ mi piange il cuore, questo è un posto magico”. Di fatto, con l’addio di Ricciardi, la ristorazione alla Locanda dell’Angelo potrebbe essere arrivata al capolinea: “Hanno intenzione di investire su altro”, spiega laconico lo chef ligure. Lui, per conto suo, ha ancora molta voglia di mettersi in gioco: “Non sono stufo di fare il mio lavoro, ma voglio essere più sereno, dedicarmi solo alla cucina. Sono sorpreso perché ho già ricevuto molte offerte, ma mi serve un posto dove potermi esprimere senza incombenze. E mi piacerebbe restare sul territorio: mi hanno chiamato anche da Milano, se fosse stato vent’anni fa… Il nostro non è un territorio semplice, ma con un progetto serio si può fare bene, io posso spingere ancora per qualche anno, e intanto formare un ragazzo giovane, di talento. Ne ho trovato uno su cui mi piacerebbe investire, sarebbe un altro successo, dopo aver formato tanti giovani andati in giro per l’Italia e nel mondo. E nel frattempo si profila un progetto che se va in porto potrebbe dare grandi soddisfazioni, giocato sul territorio sì, ma non improvvisato, come rischia di fare oggi la ristorazione. Dovrebbe concretizzarsi entro marzo 2021. Se resto fermo più a lungo, mollerò, perché rischio di arrugginire. Nel frattempo, però, mi prendo un po’ di riposo, e raccolgo le mie olive”.

 

a cura di Livia Montagnoli

 

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