No Passport Required. La serie statunitense sulla cucina degli immigrati d'America

15 Lug 2018, 08:41 | a cura di

Un nuovo show, fortemente voluto da Eater, la rivista online americana dedicata alla gastronomia, e PBS, azienda statunitense no-profit di radiodiffusione pubblica, che fa luce sulla diversità in cucina, le tradizioni degli immigrati in America, con la guida dello chef Marcus Samuelsson. 


 

Il programma

Difficile, di questi tempi, commentare una trasmissione televisiva che abbia come tema principale l'immigrazione, la cultura delle popolazioni giunte in una nuova terra per cambiare vita, voltare pagina e garantirsi un futuro migliore. Un tema quanto mai attuale e delicato, complesso da trattare soprattutto in Italia, dopo gli infelici recenti fatti di cronaca legati al Governo che da poco ha faticosamente preso forma. Ma pure negli Stati Uniti di Donald Trump, dove è stata lanciata una nuova serie televisiva che ha già raccolto le critiche della stampa e dei telespettatori. No Passport Required è lo show realizzato da Eater, sito specializzato in cibo e cucina, e PBS, azienda di radiodiffusione pubblica, presentato per la prima volta lo scorso 10 luglio, giorno della messa in onda della prima puntata. I protagonisti? Donne, uomini, ragazzi immigrati che propongono le specialità delle tradizioni gastronomiche dei loro Paesi, alcune antiche, autentiche, dal forte carattere identitario, altre frutto di una serie di contaminazioni diverse che ha dato vita a una cucina sui generis, con la complicità dello chef americano Marcus Samuelsson del Red Rooster di Harlem, New York.

 

Il progetto

Ogni episodio (di un'ora ciascuno) si focalizza su una singola comunità di immigrati in una determinata città: la gastronomia mediorientale a Detroit e Dearborn, quella vietnamita nel New Orleans, il cibo messicano a Chicago, l'ino-guyanese nel Queens, l'haitiano a Miami e l'etiope a Washington D.C. Un'ora per scoprire quanto e in quale misura un gruppo di immigrati abbia influenzato l'area che oggi chiama casa. Un progetto maturato in due anni, lanciato proprio poco dopo la festa della liberazione del 4 luglio, per volontà precisa degli autori, come spiega il sito di Eater: “Il 4 luglio è un giorno in cui molti di noi si interrogano circa i propri sentimenti verso il Paese. Se a questo uniamo i tanti dibattiti recenti sul tema dell'immigrazione, capite bene che un momento del genere si è rivelato propizio per presentare il nuovo show”. Un programma che si propone di indagare culture diverse ma quanto mai profondamente intrecciate con quella statunitense. “Ogni settimana, il pubblico ha la possibilità di imparare qualcosa di nuovo sulle comunità locali, e capire come i membri della seconda e terza generazione cerchino di aggrapparsi a un senso di familiarità con il Paese”. Un'occasione unica per osservare la resistenza delle tradizioni gastronomiche “e la loro evoluzione”. Perché una cultura culinaria non è fatta solo di ricette e pasti, “ma di artisti, imprenditori, musicisti, storici”, personaggi presentati di volta in volta durante lo show.

 

Il presentatore

Un percorso complesso, guidato con empatia e delicatezza da Samuelsson, che in ogni episodio si ferma a scambiare qualche battuta con i protagonisti delle comunità, riconoscendo in loro parte della sua vita (anche lui è immigrato, di origine etiope, seppur in tempi, condizioni economiche e sociali diverse). Un itinerario per gli States per estirpare luoghi comuni e scardinare, uno per volta, tutti gli stereotipi che sono stati costruiti negli anni, attraverso una lettura intima, sincera, aperta e sensibile delle altre tradizioni. Senza un vero taglio politico, ma solo con l'autentica curiosità di riscoprire un mondo che esiste da sempre. Con il rispetto profondo di chi ha fatto del cibo la sua ragione di vita e sa che nelle cucine dei diversi Paesi, dietro i profumi speziati e i gusti intensi, si cela molto di più di una semplice ricetta.

 

a cura di Michela Becchi

 

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