Chi rimane a bocca asciutta dai ristori? Sguardo alla filiera agroalimentare

11 Nov 2020, 16:52 | a cura di
I fornitori rimangono a bocca asciutta: nessun aiuto dallo stato e nessun fatturato nessun guadagno. La filiera è in crisi e si scoprono nuove falle nella gestione degli aiuti per contrastare la crisi economica scatenata dal Covid.

Dei fondi per sostenere la ristorazione - fortemente penalizzata dalle regole imposte dal Dpcm - si parla già da un po', con il rebus dei codici Ateco e le attese (e le falle di un sistema di sostegni basato sul fatturato dichiarato ad aprile 2019, escludendo, quindi, di fatto le attività aperte nell'ultimo anno) del Decreto Ristori e Ristori Bis di cui lo stesso Giuseppe Conte ha discusso in diretta web con Massimo Bottura. L'aggiornamento dei codici pare infinito, e proprio in questi minuti continuano a essere presentati nuovi emendamenti, aprendo speranze (e delusioni) in molte categorie: il comparto dell'ospitalità coinvolge una filiera poliforme.

tavola fiori

Non solo alimentare: fiorai e lavanderie. I grandi dimenticati

Se da un lato ci sono i proprietari di bar e ristoranti, dall'altro c'è una rete di fornitori – di prodotti o di servizi - a loro volta colpiti dalle chiusure ma spesso dimenticati. “I fioristi sono lasciati fuori” dice Rosario Alfino, presidente di Federfiori. Considerati parte della filiera agricola, “eravamo presenti nell'articolo 7 del Decreto Ristori, poi eliminato”. Nessun obbligo di chiusura - “ma sarebbe meglio ci fosse: la nostra è una merce deperibile, quel che abbiamo in negozio viene buttato regolarmente”: con ristoranti ad attività ridotta ed eventi bloccati, la perdita è tra l'80 e il 90%. Discorso simile per le lavanderie che si occupano dell'Horeca. Fabrizio Di Palma, dell'omonima lavanderia romana: “a regime siamo 10-12 persone con 3 furgoni per le consegne, oggi siamo in 4 con un solo mezzo”. Il lavoro si concentra prima e dopo il fine settimana: “2-3 quintali due volte a settimana” nulla rispetto a prima quando tutti i giorni si muoveva tra 7 e 10 quintali. “Siamo al 70% di fatturato in meno, ora” conclude “cerco di capire se rientrerà anche il mio codice Ateco tra quelli inclusi nel Decreto”. Mentre per le lavanderie industriali pare essersi aperta una possibilità.

Gelato in mantecatura, Vivoli

Prodotti tecnici per gelaterie e pasticcerie

Qualcuno tenta di rimodulare il suo business cercando nuovi clienti tra i privati, per altri è pressoché impossibile. Come nel caso dei fornitori di prodotti tecnici, semilavorati, basi o ingredienti professionali, come quelli per la pasticceria e gelateria: un settore da 800 milioni di euro di fatturato, con oltre 65 imprese attive, 4.000 dipendenti (diretti o meno) e un export intorno al 60%. Un comparto in cui l'Italia è leader mondiale che si rivolge, per il 95%, all'Horeca e che incide sulla filiera agricola: le aziende di trasformazione acquistano circa 220mila tonnellate di latte, 1.800 tonnellate di nocciole piemontesi sgusciate, e 3.500 di altre origini.

Gelato al cioccolato e nocciole

La contrazione del mercato

Durante il primo lockdown la perdita è stata di oltre il 60% rispetto al 2019, ora - dopo un'estate favorevole e le nuove misure anti Covid – si prevede un calo complessivo attorno al 40%. E se con il Decreto Ristori Bis le gelaterie hanno diritto ai fondi a coefficiente 2 (il doppio rispetto alla primavera), nulla c'è per i fornitori dei prodotti specialistici, vera cerniera tra agricoltura e retail. Al netto di un colpo di coda nell'aggiornamento dei codici. "Peraltro, il Decreto Ristori Bis, emanato il 9 novembre, ha una formulazione non sufficientemente chiara e crea dei dubbi sull’individuazione puntuale della platea dei possibili destinatari del contributo incrementale previsto" afferma Roberto Leardini, Presidente del Gruppo Ingredienti per Gelateria e Pasticceria di Unione Italiana Food. " A questo aggiungiamo che le provvidenze indicate risulterebbero molto limitate nel caso di un coinvolgimento molto ampio di destinatari e qualora, quindi, il nostro comparto non riuscisse a beneficiarne, sarebbe l’unico anello della filiera – mondo agricolo, aziende di trasformazione, gelaterie e pasticcerie – a non ricevere contributi, con prospettive di futuro condizionamento negativo sia sul settore agricolo a monte sia su quello artigiano a valle.

“Le perdite che questo settore ha subito sono drammatiche per la loro dimensione rispetto al fatturato del settore. Il danno economico subito dall’industria dei preparati per gelato e per pasticceria si è concretizzato, fino ad ora, in circa 200 milioni di perdita di fatturato causata del lockdown e dai pesanti strascichi che lo stesso ha determinato anche nei mesi successivi. E a causa degli ultimi provvedimenti la situazione peggiorerà ulteriormente”. Fondamentale dunque illuminare velocemente anche queste realtà meno note, ma non meno importanti e non meno in difficoltà, pena il rischio di “un possibile default di molte aziende, che rischierebbero in alcuni casi di scomparire o essere acquistate a prezzo di saldo da imprese estere”.

farina

I piccoli produttori, dal campo alla cucina

Nelle molte spire della filiera – corta o breve – che dal campo porta alla tavola, ci sono tasselli scoperti, che cercano una soluzione. Alcuni – i piccoli produttori - alleandosi tra di loro, sfruttando il principio sempre valido che l'unione fa la forza - è nel caso di Pipolà - altri seguendo la strada segnata da ristoranti di riferimento o rispondendo alla chiamata di un selezionatore di rango, come per RetroDelivery o Dol Fish. Un percorso che dal produttore arriva al consumatore attraverso la mediazione del ristorante.

Molti i B2B diventati B2C per riempire il vuoto lasciato dai ristoranti. A rimboccarsi le maniche tutti gli storici fornitori. E se alcuni di questi sono ancora realtà familiari - pensiamo alla macelleria Varvara – fratelli di carne, che serve l'Olimpo dell'alta ristorazione ma non ha perso il contatto con le cucine di casa – altri sono partiti da zero come Longino & Cardenal specializzato in “cibi rari e preziosi”, Cicchinelli Ethical Food e molti altri.

Orme

I piccoli produttori e la distribuzione ai ristoranti, il caso di Orme

“Siamo equiparati ai distributori della Gdo” fa Federico Falchetti, creatore di Orme – Valori Agricoli, codice Ateco è 46.38.9: “commercio all'ingrosso di altri prodotti alimentari”. “Vediamo se con i prossimi decreti possiamo fare domanda”. “La situazione è tragica: è come se fossimo in lockdown, ma peggio”. I suoi clienti sono ristoranti, per lo più aperti solo a cena. “Normalmente abbiamo circa 200 clienti Horeca a settimana, ora sono una decina”, e in termini di fatturato conferma il dato del 5%. Di fermarsi non se ne parla: “se anche uno solo dei miei clienti lavora, lo faccio anche io, per fedeltà, correttezza e rispetto”, ma con questi volumi stare aperti è improduttivo anche con una struttura ai minimi termini.

Anche loro guardano ai consumers, “abbiamo un listino privati, e per fine mese partiamo con l'e-commerce, sfruttando gli stessi canali di logistica dei professionali”. Una soluzione? Non tanto: “al primo lockdown con i privati facevamo meno del 10%”. I produttori cercano una via d'uscita nella vendita diretta, “ma il problema è lo spreco. Verdure e ortaggi sono stati messi in campo mesi fa, con una programmazione fatta su uno storico” poi disatteso.

Bistecche di manzo

Tra produzione e distribuzione. Il caso HQF

Per chi si muove tra produzione e distribuzione, la situazione è diversa e ancor più complicata: “ho una attività che ha come holding una grande azienda agricola e di trasformazione” spiega Simone Cozzi di High Quality Food,produciamo il 70% di quel che vendiamo, siamo una agroindustria in cui le aziende vendono tutte a HQF che trasforma per l'Horeca. Quindi” conclude “non abbiamo avuto accesso nemmeno ai fondi dell'agricoltura né primo lockdown né adesso. E neanche al 60% di credito di imposta per l'affitto dei locali, perché la distribuzione non ha contratti commerciali ma industriali. L'unico strumento di cui abbiamo beneficiato è la cassa integrazione. In questo momento” continua “il governo approccia in maniera tattica e non strategica, coprendo le falle man mano che si creano”. Ma in queste ore qualcosa pare muoversi.

Il cambio di business

In primavera si sono rivolti ai privati “fino al sabato di Pasqua è andata bene, abbiamo raggiunto più di 6mila famiglie in 3 mesi, arrivando a 40-50mila euro al giorno, 15-20mila euro in meno di prima, ma comunque tanto”. Dopo le cose sono cambiate “siano scesi a 4mila euro al giorno, una cifra importante perché non avevamo mai guardato a questo mercato”. Da cui oggi non può prescindere, “ho cercato di adattarmi”, doppio binario, online-offline: da una parte un nuovo portale, www.buongusterai.it dall'altra una decina di negozi “da aprire, spero, entro gennaio 2021”: alimentari di quartiere a filiera corta, sbocco per HQF Agricola. “Abbiamo un problema economico - siamo al 70% in meno di 20 giorni fa - ma non finanziario; possiamo trasformare il modello di business. Mi auguro” conclude “che così riusciamo a mantenere in piedi la baracca”.

Le Caves de pyrene logo-institutional

E il vino?

Il mondo del vino fa i conti con il blocco delle attività, pochi gli ordini a 5 zeri, il mercato cambia veste e si muove a passo d'uomo. “Non ricordo quale sia il nostro codice Ateco” fa Christian Bucci “qualsiasi sia, non è contemplato dal Decreto Ristori”. Con Le Caves de Pyrene si occupa di distribuzione di vini; grafica inconfondibile, come la selezione di piccoli produttori artigianali, marchio di fabbrica di una azienda da sempre orientata all'Horeca. Il primo lockdown è stato complicato: “abbiamo anticipato la cassa integrazione ai dipendenti e ancora dobbiamo rientrare di quella di maggio e giugno. Non avendo nulla dallo Stato, a marzo abbiamo chiesto dei prestiti che sono arrivati a settembre. Ma la cosa più difficile, è stata con i produttori: stavano imbottigliando e sostenevano molte spese, e noi eravamo in difficoltà perché i ristoranti chiusi non pagavano. Una cosa psicologicamente durissima”.

le caves de pyrene

L'e-Commerce che tutela la filiera

Il fatturato, che nel 2019 sfiorava gli 8 milioni di euro, a oggi è sotto del 25%, con un post lockdown in crescita e la previsione di chiudere l'anno a meno 30-35%. Intanto ha deciso di rivolgersi ai consumers, “in un modo forse complicato, ma che tutela la filiera: apriremo un sito apposito, da dove il privato non può comprare direttamente, ma deve passare attraverso un rivenditore, enoteca o ristorante, così genera un cashback per il locale e una provvigione per il l'agente”. Una cosa risolutiva? “Il nostro business è l'Horeca, non penso che questo risolleverà la situazione, ma credo che sia importante far vedere a clienti e produttori che ci siamo”. Come credi che finirà? “Il nostro settore ne uscirà, ma con le nostre forze”.

 

a cura di Antonella De santis

linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram