Pino Lavarra e il delivery di lusso di Doha

20 Mag 2020, 16:28 | a cura di
Lockdown sì, ma dorato. A Doha un superalbergo propone delivery di lusso e diventa hotel per quarantene dorate. Ecco come si vive l'emergenza coronavirus in Qatar. Lo chef a capo di tutto è italiano

Mentre il resto del mondo fa il conto alla rovescia per la fine del lockdown, nel deserto dorato di Doha si affrontano proprio in queste ore le misure più restrittive. “Fino a ora i locali erano chiusi, ma il lockdown era parziale” racconta Pino Lavarra che da un paio di anni è alla guida di tutta la ristorazione del Al Messila Resort & Spa della Luxury Collection che offre ai suoi ospiti una manciata di ristoranti dedicati a diverse cucine del mondo. Un'offerta da circa 200 dipendenti, ora ridotti quasi alla metà “circa il 40% del personale, tra sala e cucina, ora è in ferie”.

pino lavarra

Pino Lavarra

I ristoranti, tra cui il Veritas guidato da Stefano Ciotti, sono chiusi, e per i prossimi 15 giorni, Doha si fermerà completamente. E poi? “ancora non sappiamo niente: abbiamo protocolli aggiornati ogni tre giorni, anche sulle scorte di quanto avviene nel resto del mondo” continua “ma non possiamo prevedere quale sarà quello definitivo”. Non si ferma però l'attività: “Al Messila è un hotel quarantena: qui si ferma chi rientra in Qatar dall'estero”, in un isolamento che più dorato non si può: chiusi in una delle stanze dell'albergo a 25 minuti dall'aeroporto di Hamad. “Noi siamo completamente separati da loro, che passano la quarantena nelle camere”. E lì consumano anche i loro pasti: colazione, pranzo, cena. Room service d'autore nel verde rigoglioso dell'oasi di Doha, con un menu che cambia ogni giorno, e una proposta decisamente più semplificata rispetto a un fine dining.

Cucina italiana in Qatar: Veritas a Doha nell'hotel Al Messila Resort & Spa della Luxury Collection

Al Messila Resort & Spa della Luxury Collection

Coronavirus a Doha. Delivery deluxe

“Anche da noi, come in Italia, è nato un nuovo trend, quello del delivery, fino a ieri facevamo anche take away, ma da oggi non è consentito” racconta Pino. Anche nei ricchi Emirati chi non può andare al ristorante, fa arrivare il ristorante a casa propria. L'offerta è ampia e ricalca quella dei ristoranti: cucina italiana, araba, asiatica. Quale piace di più? “L'italiana, ovvio!” e sciorina una sequenza di piatti che fanno tanto casa ma strizzano l'occhio al gusto internazionale e alle esigenze locali: tortelloni di zucca con burro salvia e polvere di liquirizia, focaccia, fagottelli di lasagna alla bolognese, gnocchi alla carbonara (senza maiale: qui con le regole alimentari non si scherza) e poi pizza oltre ovviamente ai classici esotici, tom yam, pollo biryani, tandoori, sushi, dim sum. Il cibo più richiesto? “Burrata, paste e poi” conclude “il tiramisù”. Per la consegna a domicilio la proposta è stata semplificata: “è un concetto più avvicinabile, piatti piacioni, che possono accontentare tutti. E poi” continua “non possiamo contare sulla presentazione, il cliente non vedrà lo scatto tecnico nel piatto, si deve puntare all'essenziale”.

delivery al messila doha

Box, packaging & delivery

La proposta è pensata per le famiglie, ci sono dei pacchetti per l'italian dinner o la serata araba e così via, che spesso vengono personalizzati assecondando le richieste del cliente. Un'offerta che sta ricevendo consensi: “riceviamo 10 - 15 richieste al giorno”. La spesa? “Tra gli 80 e i 250 euro”. Naturalmente per un albergo come Al Messila è ben poca cosa. Ma è qualcosa. Che dopo le iniziali difficoltà tutto è andato a regime. “All'inizio trovare il materiale per il packaging che cercavamo, il più possibile riciclabile, sembrava impossibile: Doha è una città stato da 2milioni e 800 mila abitanti con moltissimi grandi alberghi, siamo entrati tutti nello stesso momento in questo segmento di mercato, trovare i contenitori i primi tempi era complicato”. Il delivery, negli Emirati, ha un sapore particolare, ci sono le piattaforme di consegna, Uber Eats, Talabat, ma non solo: “usiamo una compagnia di limousine”.

Stefano Ciotti chef in Qatar

Il caso di Doha

Ora il blocco totale è mirato a limitare la diffusione del Covid-19: “i contagi sono in crescita. 1000 casi in più al giorno” racconta Lavarra “ma abbiamo pochissimi decessi”. La sanità ha il turbo, “anche in albergo c'è un'equipe medica che controlla la quarantena, tutto funziona bene”. Ma c'è anche un'altra ragione: “per venire a lavorare qui devi superare una selezione medica molto accurata”. Insomma: non è un paese per vecchi e malati. E neanche per poveri: “gli stipendi sono mediamente alti, quasi tutti gli stranieri qui possono anche sopravvivere qualche tempo a casa, in ferie non retribuite”. Non sono previsti, però, ammortizzatori sociali, “non c'è lo Stato, qui, che aiuta i dipendenti: il governo pensa alle imprese, che spesso sostengono costi molto alti come quello per reperire l'acqua, ma poi le attività devono essere autosufficienti”. Che significa prendersi carico dei propri dipendenti, ma prima ancora della sopravvivenza dell'azienda. “Ci sarà un riassestamento, fino a che siamo così c'è il lavoro, ma a lungo termine non è sostenibile, non c'è nulla che ce lo garantisce. Se non ne usciamo fuori presto sarà improponibile”.

www.marriott.com/hotels/travel/dohla-al-messila-a-luxury-collection-resort-and-spa-doha/

a cura di Antonella De Santis

linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram