Anton Börner: Ecco perché ho scelto il Lazio per Omina Romana

22 Apr 2015, 11:30 | a cura di
Non solo Langhe o Chianti. Gli stranieri puntano anche su zone meno blasonate. Ecco la storia della cantina Omina Romana che, dopo 10 anni nel Lazio, adesso è pronta per il debutto internazionale. Burocrazia italiana permettendo.

Che nelle campagne e dai terreni vulcanici di Velletri potessero nascere dei grandi vini, non è certo una novità. Sinora, però, non ci sono stati né gli imprenditori né gli investimenti in grado di valorizzare al meglio questa antica vocazione alla qualità. Ora forse, il vuoto potrebbe essere colmato grazie ad Anton Börner, imprenditore tedesco con le idee molto chiare che nel 2004 ha acquistato 80 ettari in località La Parata Favignano, nell’agro velletrano. Poi un lungo periodo di studi e di sperimentazioni che hanno portato all’impianto di oltre 60 ettari di vigneto. Adesso l’obiettivo di Omina Romana, che attualmente sta costruendo la sua rete commerciale, è di arrivare a competere nell’ambito del mercato del vino di alta gamma del mondo. Per questo Börner ha già messo sul piatto oltre 10 milioni di euro, ma altri investimenti sono annunciati.

Omina Romana

I vigneti si estendono per 60 ettari su terreni collinari a circa 250 metri s.l.m. I suoli, di origine vulcanica, in superficie sono prevalentemente argillosi, con alcune zone a tessitura sabbiosa. Gli impianti sono a Viognier e Chardonnay, tra le tipologie a bacca bianca, e Merlot, Syrah, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc, fra quelle a bacca rossa. Tra le varietà locali sono presenti Cesanese, Montepulciano e Incrocio Manzoni, Moscato e Bellone. Tra i prodotti di punta lo Chardonnay IGP Lazio e i rossi Diana Nemorensis, Janus Geminus e Ceres Anesidora. Due i consulenti che collaborano con Anton Börner e sua figlia Katharina: l’enologo Claudio Gori e l’agronoma Paula Pacheco. In cantina Simone Sarnà.

Sig. Börner, quali sono gli obiettivi di Omina Romana e come ci vuole arrivare?
Il nostro obiettivo è di produrre vini di altissimo livello in un terroir in grado di supportare la qualità di cui abbiamo bisogno per competere al top del vino mondiale. La nostra filosofia è questa ed è la stessa che vogliamo portare nel mondo, con il nostro marchio e con il nostro prodotto. È un messaggio che vuol dire vini frutto di creatività e di altissima qualità, di livello europeo, dei quali nel mondo c’è una grandissima richiesta.

Dice di amare molto la Borgogna, però a Omina Romana più che altro avete piantato Bordeaux?
Io ho scelto il terroir di Velletri dove sarebbe stato inutile piantare del Pinot nero. Ho voluto rispettare la caratteristiche del terroir e per questo ho piantato i vitigni più adatti a questa realtà. Prima però abbiamo fatto una ricerca molto approfondita, chiedendo la collaborazione delle Università di Firenze e di Geisenheim che ci hanno aiutato a scegliere le migliori varietà in relazione alla situazione pedoclimatica locale.

Infatti. Negli ultimi anni la concorrenza è molto cresciuta e in tanti si vogliono collocare nella nicchia dei prodotti di lusso, che tutto sommato non è così ampia…
Il prodotto non arriva da solo. Ci vogliono gli uomini che hanno le motivazioni per creare vini di questo livello. Per questo abbiamo deciso di avere tutto personale della zona e da tre anni lo stiamo continuamente formando, anche con l’aiuto delle Università, in modo che sia in campagna che in cantina, il loro livello sia adeguato al progetto e al vino che vogliamo produrre. Un grande vino non è solo il risultato di un grande terroir e di un grande enologo, ma si deve a tanti piccoli gesti compiuti da tutte le persone che ci lavorano. Inoltre nella nostra filosofia aziendale non c’è posto per le star, noi siamo una squadra che lavora ad alto livello. Ed è proprio ciò che stiamo realizzando.

Ad Omina Romana i vigneti sono ormai una realtà consolidata mentre l’attuale cantina è una soluzione di passaggio. A quando una struttura all’altezza del suo progetto?
Abbiamo iniziato nell’annata 2011 e per ora abbiamo potuto solo costruire una cantina provvisoria perché siamo entrati nei meandri della burocrazia italiana. In pratica ci hanno detto che l’attuale la potevamo costruire subito, mentre per quella di cui avremmo bisogno, c’è da aspettare per licenze, permessi, autorizzazioni, ecc. Si tratta di almeno due anni, oltre ai tempi di costruzione. Restiamo in attesa, intanto andiamo avanti con quello che abbiamo.

Molti imprenditori tedeschi per i loro investimenti hanno scelto le Langhe oppure il Chianti Classico. Il Lazio, sinora, non è mai stato considerato un territorio interessante. Qual è stato il percorso che vi ha fatto arrivare nella campagna di Velletri?
Abbiamo riflettuto molto prima di scegliere. Il mio ragionamento è stato che, se avessi investito nelle Langhe o in Toscana, sarei rimasto uno dei tanti tra un mondo di marchi già molto affermati. Invece, se io trovo un territorio sconosciuto che mi dà la possibilità di ottenere un grande vino, dipende solo da me arrivare. Nel nostro caso, non ho altri concorrenti. Naturalmente tutto ciò richiede un impegno molto più duro e lungo e anche un investimento più grande, per convincere dell’operazione e dei vini.

Ma quando lei va in giro per il mondo e presenta il suo vino, qual è la reazione quando spiega che la sua azienda è nel Lazio?
Inizialmente mi è capitato di sommelier di ristoranti stellati che si sono rifiutati di assaggiarlo, ma questa fase fortunatamente l’abbiamo superata. Nei mercati spieghiamo che i nostri terreni sono a Velletri, vicino Roma e basta. In buona parte del mondo, nessuno sa che Roma è nel Lazio. Per questo motivo è una localizzazione che non utilizziamo, se non in Italia. Sono convinto che dopo un lavoro intenso e costante, la qualità vinca sempre. Però bisogna garantire un livello alto dei prodotti, senza cadute e senza infingimenti, avendo obiettivi e visioni chiare.

Quali sono gli obiettivi a medio termine dell’azienda?
L’anno scorso avevamo tre obiettivi. Il primo era di farci conoscere ed è per questo che abbiamo partecipato a 36 fiere ed eventi in tutto il mondo per capire come il nostro vino veniva accolto: la risposta positiva del mercato è stata chiarissima. Quest’anno l’obiettivo è di creare una rete di distributori in Asia, America ed Europa e alla fine dell’anno vogliamo chiudere la lista di chi vuole lavorare con noi. Non ci interessa vendere subito, bensì creare una partnership per lavorare insieme nei prossimi anni, nella condivisone della nostra filosofia: non a caso abbiamo un intenso programma di marketing da sviluppare con i nostri partners. Con il nuovo anno vogliamo iniziare a vendere sul serio e poi abbiamo assolutamente bisogno della nuova cantina. Omina Romana ragiona solo a lungo termine, d’altra parte la parola “omina” in latino vuol dire proprio buoni presagi.
 

Gli investimenti stranieri in Italia. Chi ha comprato cosa

La terra e il vino sono sempre stati degli ottimi investimenti anche perché le aree vocate difficilmente sono in zone brutte dal punto di vista paesaggistico.Solo negli ultimi anni va segnalato il passaggio dello storico marchio Ruffino al colosso Constellation Brands e sempre nel 2011 la cessione della piemontese Gancia alla Russian Standard Corporation. Alejandro Bulgheroni, imprenditore petrolifero argentino ha acquistato la Fattoria di Dievole in Chianti Classico e Poggio Landi a Montalcino. Nel 2008 Virginie Saverys, componente dello staff dirigenziale della Compagnie Maritime Belge Nv, con sede ad Anversa, è divenuta proprietaria della Cantina Avignonesi di Montepulciano. Dal 2006 La Porta di Vertine di Gaiole in Chianti è degli imprenditori americani Dan ed Ellen Lugosh mentre la cantina Capannelle è diventata di James B. Sherwood, fondatore del gruppo Orient – Express Hotels. A parte i fratelli Mariani che alla fine degli anni Settanta crearono Banfi a Montalcino, nel 1994 il gruppo vinicolo Usa Kendall Jackson ha acquistato Villa Arceno in Chianti Classico. Tra gli investimenti americani del passato non va dimenticato Robert Mondavi, che in collaborazione con i Marchesi de’ Frescobaldi, creò Luce della Vite e poi partecipò anche a Tenuta dell'Ornellaia. Oggi le due aziende fanno parte di Frescobaldi (Fonti: News24/Foodweb/Economiaweb/ WineNews/Sfgate.com)

a cura di Andrea Gabbrielli

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 16 aprile.
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