Baldoria vermouth orange wine. I nuovi vermouth firmati Little Red Door e Argalà

15 Set 2021, 16:58 | a cura di
Si chiamano Baldoria i Vermouth creati dal cocktail bar parigino Little Red Door e prodotti dai piemontesi Argalà. Una collezione sempre più ampia che ora si arricchisce anche di un orange.

Se c’è una frase abusata nella narrazione enogastronomica attuale è quella che mette insieme “tradizione e innovazione”. Nonostante questo binomio serva perfettamente a raccontare quello che è successo e che sta succedendo nel nostro paese, dove una secolare tradizione della tavola si sta incontrando, scontrando e adeguando al mercato globale, e altrettanto vero che la banalizzazione del concetto finisce per svuotarla del suo reale significato, fino a farle perdere di potenza narrativa quando la si vorrebbe utilizzare seriamente.

Eppure la storia di Baldoria, il vermouth italo-francese creato da bartender, è interessante proprio perché dissacrante, e a modo suo capace di riunire sotto un unico cappello quel che è stato e quel che sarà. Per arrivare a raccontare questa (apparente) provocazione, ovvero il primo vermouth a base di orange wine, è necessario fare un passo indietro e ripartire dall’inizio di questa avventura imprenditoriale. Che curiosamente non inizia in Piemonte, ma a Parigi, in una delle insegne culto della miscelazione.

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Little Red Door

Se andiamo a guardare le classifiche internazionali dei migliori cocktail bar, c'è un'insegna francese che si attesta da alcuni anni ai primi posti: Little Red Door. Questo locale nel cuore del Marais, riconoscibile per la piccolissima porta rossa esterna che fa pensare alla tana del Bianconiglio, si è imposto come punto di riferimento della capitale francese, conquistando i locals ma soprattutto attraendo un pubblico di appassionati internazionali. Una realtà in continuo sviluppo, che negli anni ha saputo presentare alcuni menu memorabili come quelli incentrati sull’architettura o sui sentimenti. L’ultimo uscito addirittura provava a scomporre il concetto stesso di gusto, proponendo cocktail che fossero piccanti senza l’utilizzo del peperoncino o che avessero il peperoncino senza piccantezza, il caffè senza amaro e viceversa, il fungo senza umami.

Ma se sulla parte miscelazione il bar parigino può dirsi già in pieno sviluppo, c’è un’altra sfida che ancora interessante in cui il percorso è ancora agli inizi: la creazione di prodotti. Non una private label del locale, ma una gamma di bottiglie che piacessero a loro e che quindi potessero piacere anche agli altri. La scelta cade su un vermouth, e per fare un vermouth bisogna ovviamente andare in Italia.

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Argalà

Per creare i loro prodotti i titolari di LRD decidono di scendere in Italia e rivolgersi al giovane liquorificio Argalà. Questa realtà produttiva di Boves (CN), il cui nome in dialetto significa “soddisfatto” è stata creata da Enrico e Piero, entrambi classe 1983, due amici d’infanzia che nel 2011 - dopo alcuni anni di sperimentazioni tra le mura di casa - hanno lanciato il loro prodotto: un Pastis artigianale italiano; nel 2015 ampliano la produzione con una nuova sede diventando a tutti gli effetti un’azienda strutturata. Oltre alla voglia di questi giovani piemontesi di osare, a convincere i francesi è la presenza, adiacente al liquorificio, di un campo dove vengono coltivate le erbe e le piante usate per produrre liquori e vermouth.

Il vermouth e le sue varianti

Come è noto il vermouth è un prodotto a base di vino (almeno il 75%), dolcificato e aromatizzato con un’infusione alcolica composta da varie piante aromatiche, la cui principale è l’assenzio (o artemisia) nelle sue varietà Pontico e Romano. Si possono usare uve sia bianche che rosse, la cui provenienza non è disciplinata, anche se da qualche anno - grazie all’entrata in vigore del disciplinare di tutela per il Vermouth di Torino - vengono nobilitati e indicati i prodotti a base di vino italiano. In linea di massima esistono tre tipologie di vermouth: bianco, rosso e dry (un bianco con una minor presenza zuccherina), ma non mancano altre tipologie, come ad esempio il vermouth Rosé.

Quando il progetto Baldoria prende forma, parte dalle basi, immettendo sul mercato la classica trinità. Ma è solo l’inizio del progetto: il brand si fa subito strada all’interno della comunity dei barman anche in Italia e non solo perché legato al nome di un bar importante, ma anche per il lavoro in prima persona da uno degli uomini di punta di Little Red Doors, Timothée Prangé, che attraversa l’Italia per presentarlo bar per bar. In poco tempo comincia a farsi conoscere, e si può osare con prodotti nuovi.

L’innovazione nel vermouth. I nuovi prodotti

Il primo prodotto a uscire fuori dagli schemi è il Dry Rosso. Nonostante l’idea sia, a modo suo, molto intuitiva, nessuno aveva a oggi lanciato un rosso a basso contenuto zuccherino. A seguire esce il rosé e poi si cominciano a presentare i prodotti più particolari. Ecco dunque il Dry Umami, ottenuto tramite una terza macerazione durante la quale vengono uniti funghi porcini secchi e alghe kombu, il Verdant dalle note acide/aspre e il Vermouth Bitter dalle note amare date dalle radici di genziana e soprattutto dal l’erba mate.

Se però questa gamma sperimentale di vermouth contemporanei basa la sua identità sul gioco delle botaniche in esso contenute, che permette di volta in volta di estremizzarne i sentori gustativi, ci piace guardare l’ultimo uscito di casa Baldoria: il Vermouth Orange Wine.

Vermouth orange wine

Qui infatti è la materia vinosa di base a essere diversa, poiché si tratta di vini “naturali” macerati. Seguendo ciò che succede nel mondo dell’enologia contemporanea si è voluto in qualche modo ristabilire l’indistricabile legame che unisce il vermouth alle vigne, e il processo non è stato facile, come racconta Piero Nuvoloni-Bonnet di Argala: “in questo momento in cui l’attenzione su questo tipo di vino è molto alta, e le produzioni sono molto piccole, nessun produttore vuole giustamente privarsene” racconta “chi lo produce sa di poterlo allocare sul mercato tranquillamente a proprio marchio, e quindi non ha eccessi da vendere”. La ricerca del vino giusto alla fine ha dato i suoi frutti: non solo l’orange wine è stato trovato, ma la sua provenienza lo nobilita ulteriormente “Abbiamo creato una collaborazione con un piccolo produttore in Georgia, ad Artana. Della vendemmia 2019 siamo riusciti ad avene 600 litri e della 2020 invece 1500, per il 2021 vedremo quanto ce ne vorranno dare…” conclude soddisfatto.

Andare a prendere il vino orange in Italia è ovviamente un plus, ma al contempo perché tutto questo progetto abbia senso bisogna saper trattare la materia prima in maniera rispettosa, senza sciuparla e senza coprirla. Proprio per questo, forse, le botaniche scelte sono poche e pensate, come per esempio buccia d’arancia, cannella e lavanda, oltre alla santoreggia annua e all’immancabile artemisia.

Cosa ne sarà del vermouth orange nei prossimi anni? Baldoria lancerà una nuova categoria o queste poche bottiglie diventeranno oggetti di culto per appassionati? Non ci è dato saperlo, ma ogni nuova tradizione è stata per un breve periodo della sua vita un’innovazione, e questo sicuramente è il suo punto zero.

a cura di Federico Silvio Bellanca

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