Come cambia il vino italiano

8 Giu 2012, 17:54 | a cura di

Se in questi giorni gran parte delle cantine italiane son rimaste a corto di enologi, non è per colpa di uno sciopero di categoria o di una strana epidemia che ha colpito l’Italia del vino. Molto più semplicemente 400 di loro sono a bordo della Costa Atlantica in navigazione verso la Spagna nella Crociera Rosso Sangri

a per partecipare al 67° Congresso Assoenologi. E tra loro c’è anche Tre Bicchieri.

Tra gli immensi saloni della nave dove il direttore Giuseppe Martelli fa gli onori di casa, si incontrano enologi di tutte le età (vecchie e nuove leve a confronto) provenienti da tutte le regioni d’Italia.  E quelli che si sentono non sono propriamente “discorsi da crociera”: se i lavori ufficiali si svolgono al Teatro Caruso della Costa, non meno importanti sono infatti i confronti tematici su clima e marketing che si aprono nelle hall, nelle sala ristorante e perfino in piscina tra una nuotata e un bicchiere di vino (tutte etichette marchigiane scelte da Assoenologi).

 

Ma non c’è distrazione che tenga: non appena iniziano i lavori congressuali l’esercito di enologi si sposta in massa verso il Ponte 2, dove oggi si discute di un tema, è il caso di dirlo, molto caldo: “I cambiamenti climatici: ripercussioni e rimedi in vigneto e cantina”. Molti sono, infatti, i rischi legati al surriscaldamento: riduzione della durata dei cicli vegetativi, picchi di concentrazione zuccherina, bassi tenori di acidi organici, alterazione dei rapporti glucosio/fruttosio, innalzamento del ph,  invecchiamento precoce dei vini, diminuzione della stabilità tartarica.

 

“A guardare questi rischi sembra di trovarsi in un campo di battaglia di una guerra persa– dice Riccardo Cotarella, docente di viticoltura ed enologia all’Università di Viterbo  – ma non è così. È vero che esistono dei vitigni particolarmente colpiti dai cambiamenti climatici come il Merlot, ma le soluzioni ci sono sia in vigneto sia in cantina. Dall’ adozione di forme di allevamento che proteggano la pianta dall’esposizione diretta al sole alla riduzione di defogliazione e cimature. Con nuove forme di potatura, come la minimum pruning che stiamo testando in fase sperimentale e che tra gli effetti positivi ritarda l’invaiatura e contribuisce a dare vini più resistenti e meno acquosi”.

 

E in cantina? “La dealcolazione è sicuramente una delle strade percorribili – spiega Giuliano D’Ignazi, direttore tecnico Terre Cortesi Moncaro – anche utilizzando lieviti capaci di ridurre la gradazione alcolica. Cosa che può tra l’altro risolvere un problema oltre che tecnico, anche di mercato e sociale”.

 

Insomma far di necessità virtù e guardare al surriscaldamento non come ad una minaccia, ma come ad un dato di fatto che può anche portare nuove opportunità. Quali? “Anticipare la vendemmia a causa delle alte temperature significa riuscire ad evitare le piogge autunnali – spiega Cotarella - e non dimentichiamo che così vengono fuori e diventano competitivi anche nuovi terroir, soprattutto in Italia che vanta un territorio vastissimo vocato alla viticoltura con caratteristiche e climi differenti”.

 

Si può davvero trasformare il surriscaldamento in una strategia di marketing da usare per battere i concorrenti? Di competitività sui mercati si parlerà nella prossima sessione di lavoro, per un tema che si annuncia essere anche più caldo del clima: l’export.     

 

Loredana Sottile

04/06/2012

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