Enoturismo. Livelli pre-crisi entro il 2022? Ci credono quasi 6 Comuni su 10

20 Apr 2022, 16:10 | a cura di
Le anticipazioni del XVIII Rapporto presentato da Città del vino, Donne del vino e Puglia in più. Il settore si riposiziona nel post-Covid anche grazie a un più deciso contributo delle donne.

Non sembrano così lontani i tempi in cui il circuito enoturistico italiano tornerà a contare 14 milioni di visite e un giro d’affari di 2,5 miliardi di euro annui. Questi numeri appartengono al periodo pre-crisi, in particolare al 2019. E pensare di riagguantarli, considerando l’attuale contesto economico, sembrerebbe quasi velleitario. Tuttavia, il miglioramento del clima di fiducia rispetto al 2020 sta portando il settore a credere nella possibilità di ripartire con grande rapidità. Una prova della tenacia e della volontà di viaggiare nuovamente ai vecchi ritmi è contenuta nel XVIII Rapporto sul turismo del vino, presentato al Vinitaly 2022 da Città del vino, Donne del vino e Associazione Puglia in più.

Le anticipazioni dello studio, che sarà presentato a Roma nei prossimi mesi, dicono che sei Comuni su dieci, tra quelli aderenti alle Città del vino, considerano la pandemia un fenomeno temporaneo e che il 57% di essi prevede un ritorno ai grandi numeri già entro il 2022. Per i più pessimisti, pari a un 29%, ci sarà da attendere tutto il 2023. Anche il ruolo delle istituzioni sarà fondamentale. I padiglioni di Veronafiere sono stati la sede più opportuna per chiedere al Governo e al Ministro delle Politiche agricole l’istituzione di una cabina di regia formata dalle migliori competenze nell’enoturismo.

Il sondaggio Nomisma

La crisi pandemica ha stimolato il comparto italiano che si è riposizionato e riadattato, sviluppando i concetti di creatività, digitale, sostenibilità, anche grazie a un ruolo sempre più primario dell’universo femminile. I dati raccolti da Nomisma-Wine Monitor tra fine gennaio e febbraio 2022 su 92 Comuni italiani e 150 aziende (metodo Cawi) hanno consentito di cogliere il sentiment dei Comuni sulla ripartenza e, allo stesso tempo, di tracciare uno spaccato dei cambiamenti incorsi in questi due anni.

Per quanto riguarda l’obiettivo ripartenza, dopo una pandemia che ha impattato negativamente sui bilanci per il 65% dei Comuni aderenti a Città del vino, la ripresa è ritenuta possibile tra 2022 e 2023. Spostando il focus dal Comune all’ambito nazionale, gli intervistati nel sondaggio Nomisma sono meno ottimistici, prevedendo livelli pre-Covid nel 2022 nel 49% dei casi, contro un 33% che rimanda il tutto al 2023. Considerando i mezzi per raggiungere tali obiettivi, i sindaci delle Città del vino indicano soprattutto tre azioni: il 91% ritiene strategico avere un piano di promozione e comunicazione, l’85% circa chiede fondi a sostegno dei Comuni e delle aziende vitivinicole, il 62% è interessato alla novità degli incentivi fiscali a favore degli enoturisti.

Enoturismo. Identikit dei clienti

L’identikit aggiornato dell’enoturista è quello di un giovane sotto i 35 anni (60%), in prevalenza cittadino (75%), con un alto livello di istruzione (95%) e un reddito superiore alle medie (84%). Ama le esperienze dirette, unisce il vino alle risorse del territorio (79%), è digital (77%), sceglie l’aria aperta (73%), i tempi brevi (71%) ed è un turista di prossimità (67%). Allo stesso tempo è internazionale (66%), aperto alle generazioni (59%) e sempre più al femminile (57%).

In Italia, spesa media tra 50 e 100 euro

Quanto spende mediamente un enoturista in Italia? L’acquisto medio si colloca tra 50 e 100 euro, secondo Città del vino, e solo il 18% spende più di 100 euro. Da segnalare che questo tipo di esperienze a prezzo più alto, la vera novità post-Covid secondo Città del vino, si trovano più al centro e al Sud Italia (42%) rispetto al Nord Ovest (24%). Sono le cantine più grandi (62%) a mettere in piedi le animazioni più costose ed elaborate, rispetto al 32% delle piccole imprese.

Sui territori, le proposte del Nord si basano sulla capacità di spesa dei clienti, mentre al centro sulla motivazione di viaggio. L’enoturismo appare più destagionalizzato nel Nord Ovest, anche grazie al movimento che ruota attorno al tartufo. Al Sud è più concentrato d’estate. Appena l’8% delle cantine italiane apre le porte tutto l’anno. Per le piccole e le medie imprese l’attività enoturistica pesa rispettivamente per il 14% e per il 12% del fatturato totale.

L’offerta enoturistica: il Centro Sud più diversificato

Degustazione (99%), vendita diretta (96%) e visita guidata (94%) rappresentano ancora oggi i capisaldi dell’ospitalità enoturistica. C’è un 33-40% di cantine che offre anche pasti, pernottamenti o attività agrituristiche. Meno del 20% offre corsi di cucina ed esperienze di vendemmia. E quelle più restie a implementare l’offerta, secondo il Rapporto, sono le cantine del Nord Ovest, rispetto a quelle del centro Italia che appaiono più strutturate: la visita, infatti, è spesso arricchita dall’offerta di prodotti tipici, trekking, escursioni ai centri d’arte nei dintorni, corsi di cucina e benessere.

Il tipo di cliente determina il tipo di offerta e la sua diversificazione. Nel Nord, in generale, è scarsa la propensione a uscire dallo schema visita, assaggio e vendita (42% nel Nord Est e 47% nel Nord Ovest); al Sud, oltre sei aziende su dieci pensano a incrementare il numero di esperienze. In generale, sono le grandi cantina a organizzare attività ad hoc per gli stranieri (77%) che frequentano soprattutto Nord Ovest (45%) o Sud e isole (29%) rispetto al Centro Italia dove dominano gli italiani di altre regioni (45%). In questo quadro, secondo lo studio, la forbice fra aree d’Italia dove l’accoglienza in cantina è più diversificata e quelle dove si esprime su modelli ripetitivi, anche se con standard eccellenti, rischia di allargarsi e aggravarsi in futuro.

La classifica regionale

Toscana, Piemonte, Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia sono le regioni preferite, nell’ordine dalla prima alla quinta; ci sono Sicilia e Puglia al sesto e settimo posto nella classifica del gradimento dell’enoturista, che si muove attratto, prima di tutto, da cultura e arte, paesaggio, poi dalla qualità e notorietà dei vini, dalla capacità di accogliere gli stranieri e dalla varietà dei territori.

Le presenze straniere sono a provenienza europea, con la Germania seguita da Svizzera, Paesi Bassi, Belgio e Austria. È chiaro che si nota l’assenza dei turisti statunitensi, di cui ha sofferto in particolar modo la Toscana. La regione capofila del turismo del vino italiano ha perso, causa pandemia, il contributo della sua tradizionale clientela alto spendente. Motivo per cui il valore medio degli scontrini delle cantine vede in testa il “Piemonte e dintorni” e il Centro Italia solo in seconda posizione, seguito dal Nord Est.

Top 7

  • Toscana
  • Piemonte
  • Veneto
  • Trentino-Alto Adige
  • Friuli-Venezia Giulia
  • Sicilia
  • Puglia

Fonte: XVIII Rapporto sul turismo del vino

Il post Covid e ruolo delle donne

Più donne nel vino sia dal lato dell’offerta sia da quello della domanda nel post-Covid. Ed è stato un bene in entrambi i casi. Nel primo, le donne occupano, come è noto, ruoli nel marketing e nella comunicazione (80% degli addetti) e nelle attività prettamente enoturistiche (quota del 75%). Per metà lavorano nel commerciale (51%) mentre scendono al 14% in vigna e in cantina. Il XVIII Rapporto di Città del vino evidenzia una crescita del pubblico femminile anche tra i visitatori delle cantine, sebbene non come la classe dei millennial. Alla maggiore presenza di enoturisti donne le cantine hanno risposto con nuove proposte ad hoc, concentrate soprattutto nelle grandi cantine (77%) e nel Sud Italia (58%).

Asset strategici e criticità

Il rilancio enoturistico del 2022, secondo i pareri dei Sindaci delle Città del vino, passa per diversi fattori chiave, tra cui la gestione della sostenibilità ambientale, economica e sociale (93%), la tutela del paesaggio rurale (91%), l’accessibilità dei territori afferente a strade, parcheggi, servizi per disabili (89%), la connettività a banda larga (80%) e la pianificazione territoriale e urbanistica (75%). Gli aspetti critici, da migliorare, riguardano proprio la formazione del personale enoturistico in ambito informatico (92%), l’organizzazione dei servizi turistici (85%) la capacità di accogliere gli stranieri (77%).

Considerando il rapporto tra Città del vino e filiera vitivinicola, i punti qualificanti riguardano la formazione del personale, i corsi di accoglienza e degustazione, servizi commerciali e marketing per lo sviluppo dell’enoturismo, corsi di lingue straniere e competenze digitali. In materia di governance, le Città del vino indicano, secondo il sondaggio Nomisma, la varietà di vitigni e vini (97%), i paesaggi e la bellezza dei territori (96%), la varietà e la qualità gastronomica (95%) e i contesti storico-artistici (90%).

Lara Loreti, Donatella Cinelli Colombini, Stefano Patuanelli, Dario Stefàno, Angelo Radica

L’appello delle associazioni

Angelo Radica, presidente di Città del vino, ha chiesto al ministro per le Politiche agricole, Stefano Patuanelli, una cabina di regia per l’enoturismo. “È fondamentale e i tempi sono maturi per costituirla e rilanciare con una visione d’insieme il turismo del vino, un settore che può decollare con la fine della pandemia”. Radica immagina una squadra di esperti, uomini e donne, dei settori pubblico e privato, scientifico e aziendale. Appello condiviso da Donatella Cinelli Colombini, presidente delle Donne del vino: “Vorremmo un centro che studi, indirizzi e promuova quello che appare un settore nuovo e performante del business agricolo. Le nostre imprenditrici agricole vogliono far parte di questa squadra per portare idee e valore”.

“Questa tipologia di turismo” è il commento del senatore Dario Stefànodimostra di essere una straordinaria leva per la parità di genere in ambito salariale. In modo quasi paradossale, proprio in quel settore primario da sempre retaggio e appannaggio maschile, si conferma la crescita della presenza femminile soprattutto nella parte relativa al commercio e alla promozione che porta a significativi risultati in ambito di gender pay gap”. Ma se l’Italia vorrà crescere ancora in questo comparto, dovrà fare di più a iniziare dalle Regioni, che dovrebbero fare finalmente squadra in materia di formazione professionale “troppo spesso ancora tarata su figure non utili alle nuove filiere produttive”.

 

a cura di Gianluca Atzeni

foto di copertina di Chetan L da Pixabay

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