Il giro del mondo in quattro vendemmie

20 Nov 2012, 11:08 | a cura di

Lo sapevate che si possono fare fino a quattro vendemmie in uno stesso anno? Basta fare il giro del mondo partendo a gennaio dall'Australia e finendo a dicembre in Canada.

 

È quello che sta facendo Giuseppe Alfano Burruano di Racalmuto (Agrigento), 33 anni, professione winemaker nel mondo. In cinque an

ni, cominciando da uno stage per il gruppo Caep (società americana che si occupa di stage agricoli e che ha una filiale italiana a Mazara del Vallo) e poi continuando per conto proprio, è già stato due volte in California (alla Kendall Jackson nella Monterey County e Quintessa Winery in Napa Valley), due in Nuova Zelanda (Villa Maria Estate e Drylands), una in Western Australia (Castelli Estate) e adesso si trova in Canada (alla Old Bridge) per una nuova vendemmia che si concluderà a dicembre con gli ice wine. E dal lontano Ontario a Tre Bicchiere racconta la vendemmia degli altri.

“Dalle cantine neozelandesi a quelle americane la sensazione è di trovarsi di fronte a dei veri giganti dove tutto è pensato in grande: qui è normale gestire fino a 40mila barrique. Il modo di lavorare è parecchio rigido, ma organizzatissimo: 24 ore di seguito con l'alternarsi di due staff, quello di giorno e quello di notte (anche se la raccolta vera e propria avviene in notturna per evitare fermentazioni indesiderate). Io di solito duranti il night shift. Quando si arriva si timbra il cartellino come in un ufficio.

 

E anche sul metodo di lavoro prevale l'aspetto catena di montaggio con tecnologie di ultima generazione, soprattutto in California dove al conferimento è richiesta una selezione maniacale delle uve. Per questo molte cantine si stanno dotando di un macchinario chiamato Optical Sorting un selezionatore ottico di acini. Funziona attraverso delle telecamere con sensori che individuano gli acini da escludere: una volta intercettato il bersaglio l'eliminazione avviene con getti di aria compressa. Un'alternativa alla selezione manuale che richiede oltre venti persone e tempi lunghi.  In Italia esiste un sistema simile per quanto riguarda gli ortaggi, ma non ha ancora attecchito nel vino, anche perché i costi sono elevati.

 

Tuttavia vorrei sfatare il mito di un' Italia arretrata tecnologicamente, anzi orgogliosamente posso dire che le macchine enologiche e le attrezzature di laboratorio nelle grandi cantine internazionali vengono per oltre la metà dal nostro Paese. In questo battiamo anche i francesi.

 

Diversamente vanno le cose per prestigio enologico: dalla California all'Australia è come se si assistesse una clonazione dell'enologia francese. Si coltivano tutti vitigni internazionali che sono praticamente quelli francesi, come sauvignon, pinot noir e merlot. E si cercano di imitare i francesi anche per le tecniche di vinificazione.

 

L'Italia vista da lontano è invece una realtà in crescita con tanti, troppi vitigni autoctoni (un arma a doppio taglio), ma ancora poco conosciuti. Cosa manca ancora al nostro Paese? Un sistema meno individualistico, a partire dalle piccole cose. Una su tutte l'associazionismo che andrebbe a determinare una commercializzazione più efficiente e un imbottigliamento unico (sistema molto praticato all'estero) con il conseguente all'abbassamento dei costi. Solo così si metterebbe fine a una concorrenza spietata tra i piccoli produttori.

 

E poi ci vorrebbe maggiore intraprendenza nei mercati accompagnata da una mentalità più cosmopolita. Un esempio: quanti stagisti del vino o winemaker stranieri ci sono oggi nel nostro Paese?”

 

Loredana Sottile

20/11/2012

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