Intervista a Francesco D’Agostino, Direttore di Cucina&Vini

13 Dic 2017, 16:30 | a cura di

Francesco D’Agostino è il Direttore della rivista enogastronomica Cucina&Vini e curatore della guida Sparkle, giunta ormai alla sua 16ma edizione.

A lui abbiamo chiesto un parere sullo stato dell’arte delle bollicine made in Italy, sulla comunicazione di settore e sui prossimi scenari del comparto spumantistico italiano e non solo.

Come è cambiata la comunicazione del vino sulla carta stampata?

Negli ultimi 10 anni non è cambiato molto. Il cambio c’è stato prima, e il Gambero Rosso è stato l’indiscusso protagonista di questo cambiamento.

Qual è stato il contributo del Gambero Rosso?

Dietro al vino c’è un mondo che prima era trascurato mentre oggi ne è parte integrante. Questo modo di comunicare è quello che il Gambero ha saputo intercettare e decodificare, aprendo una nuova strada nel mondo del vino. Oggi sono cambiati i mezzi più che il linguaggio. Ma l’importante è comunicare sempre una storia per avere presa sul pubblico.

Come è cambiato il linguaggio?

Il linguaggio è legato alla tecnologia. Ma quello del vino non può cambiare perché è un linguaggio codificato e legato alla fisiologia del gusto. In realtà ciò che cambia è il modo di raccontare.

In che senso?

Oggi la tecnologia impone sintesi, ma non credo che sia la strada vincente per raccontare un vino.

Qual è la strada vincente?

Carta e web devono lavorare assieme per ampliare il racconto, non certo per sintetizzarlo.

Qual è la differenza tra il linguaggio del web e quello su carta?

Paradossalmente nessuna. Ma bisogna sapere sempre a chi si vuole parlare: se a persone che si accontentano di restare in superficie o se vogliono approfondire. Non ci sono comunque delle regole precise.

C’era bisogno di una guida italiana sulle bollicine?

Nasciamo nel 2003 come prima e unica guida sulle bollicine. In quel momento storico il mondo richiedeva una guida e il progetto Cucina & Vini, un gruppo di appassionati del settore, ha intercettato questa richiesta. Toccava mostrarsi. Noi abbiamo scelto guide tematiche e non generaliste, iniziando con “ bere dolce “ e poi con quella sugli spumanti.

Il suo ruolo tra le tante guide?

Ha saputo intercettare un trend e crescere nel tempo.

Quali sono le principali fonti finanziarie della guida?

Siamo un gruppo di soci e la guida è finanziata con la pubblicità. Dallo scorso anno è un free book e abbiamo unito alla guida un Qr code che riporta poi sul sito una descrizione del vino più ampia.

I vantaggi del QR code?

In questo modo abbiamo ridotto da 450 a 200 le pagine, dimezzando i costi, aumentato la tiratura e unendo le necessità di spazio del cartaceo alla possibilità di ampiezza del web. Le guide ancora oggi danno riconoscibilità a un progetto editoriale, anzi lo trainano.

Anche questo è il ruolo di una guida. Giusto?

Effettivamente all’epoca, quando iniziammo, non fu un’esigenza ma una scelta necessaria. Ai tempi era impossibile essere un editore e non presentare una guida.

Come sono cambiate le bollicine italiane in questi 10 anni?

Tanto. Per quantità, export ma sopratutto qualità. La crescita dell'export dello spumante ha superato in percentuale la crescita del fermo ma è stato l’aspetto qualitativo a fare la differenza nella crescita.

Qualche esempio?

Il prosecco da vino rustico, semplice e banale ha acquistato complessità olfattiva (un concetto importante della fase degustativa di un vino), impensabile per il prosecco di qualche anno fa. Di contro i metodo classico italiani, salvo i blasonati, erano tutti omogenei figli di una tecnica che omologava l'espressione del frutto. Oggi invece è proprio questo che differenzia un metodo classico da un altro.

Questo fenomeno è legato alla scoperta e alla consapevolezza del patrimonio ampelografico italiano?

No. Direi piuttosto che il patrimonio ampelografico italiano rappresenti un mezzo per aumentare il carattere degli spumanti: l’Italia per vendere bollicine nel mondo, e quindi competere con lo Champagne, deve giocare sul carattere e quindi portare diversità. E questo è il grande balzo in avanti fatto dalle bollicine italiane. Quando si va allo scontro con le francesi la partita non si gioca più sull’imitazione ma sulla differenza.

In questo senso la spumantizzazione può diventare un mezzo.

Esatto, un mezzo che alcune zone poco note del nostro paese possono usare per farsi conoscere ed emergere, interpretando al meglio le uve autoctone e valorizzandone la diversità tramite un know how che metta la produzione su un livello qualitativamente alto. Questo è il grande cambiamento: non imitare più. È l'unica via per emergere.

Ci sono esempi concreti?

In Puglia, il bombino bianco. Ma gli esempi sono tanti.

Quali i produttori che sono stati capaci di interpretare meglio il territorio con questa tecnica?

Sono moltissimi gli interpreti. Ad esempio la leggiadria del prosecco è una interpretazione del loro territorio. Trento e Franciacorta usano stesse uve ma hanno profonde differenze.

Per le bollicine non c'è altra strada se non la diversità?

Sì. La crescita delle bollicine è legata moltissimo alla lettura del territorio dove viene prodotto. Se prima la tecnica sovrastava le uve, oggi è capace di interpretare le uve che ogni territorio dà.

Quali gli scenari futuri per le bollicine made in Italy?

L’eccellenza. Finché il sistema prosecco continua a tirare, ce n'è per tutti! Sulla scia del Prosecco, Franciacorta e Trento Doc possono crescere molto. L'importante è non eccedere con il gioco dei prezzi.

Le bollicine sono il prodotto più glamor dell’agroalimentare firmato made in Italy?

È una bella lotta con il rosato ma credo di si. La bolla è decisamente glamor!

Teme un italian sounding per le bollicine?

Le bollicine italiane, come quelle francesi, sono colpite da questo fenomeno ma non credo sia ancora paragonabile con ciò che avviene nel settore dei formaggi.

Come si può prevenire il problema?

Quello che c'è da fare è investire, andare in giro per il mondo, fare cultura, magari spendere un po' per le tutele legali e per la comunicazione. L’Italia deve fare squadra per difendersi.

La vostra rivista è nata da un fermento giovanile, con quale hashtag lo definirebbe oggi?

#Passioneoltreognimisura. All’inizio è stata la passione, la voglia di sapere, conoscere, raccontare al pubblico. Siamo andati in giro per l’Italia a godere della bellezza, poi ci siamo accorti che questa andava raccontata. Bisognava dirlo a tutti. L’Italia purtroppo ha un problema di fondo nella comunicazione: si parla poco del bello, dei successi e delle cose positive del nostro Paese. Una mancanza di ieri che persiste ancora oggi. C'è un gran bisogno di comunicare positività e ce ne sarebbe da scrivere!

Quali gli ingredienti per una comunicazione degna di nota?

Passione, impegno, fondi e la volontà di investire.

Un consiglio ai giovani che vogliono lanciarsi nel mondo della comunicazione?

Ci sono spazi enormi. La sfida dell’agroalimentare sarà anche la comunicazione. Per fare comunicazione ci vuole cultura e si devono conoscere i prodotti. Bisogna essere profondi conoscitori delle bellezze che il nostro paese ha da offrire. Ad un giovane direi: “ Individua un aspetto e diventane il miglior conoscitore”. Vietato essere pressappochisti.

Siamo nel 2030. Come se la immagina la guida?

Entreranno sempre più uve nella produzione di vini spumanti. La viticoltura è lenta e ci vuole tempo, ma le nostre latitudini e temperature consentiranno sicuramente ottime produzioni. Speriamo solo che coloro che fanno grandi numeri sappiano modellarsi rispetto al mercato. Ci sarà prima o poi una tendenza a diminuire ma ad oggi si stanno consolidando posizioni importanti e quindi al momento possiamo solo crescere. Siamo in decollo verticale.

 

a cura di Emanuele Schipilliti

 

 

 

 

 

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