Libri. Borgogna e le vigne della Côte d'Or. Intervista ad Armando Castagno

20 Dic 2017, 16:00 | a cura di

Presentato a Roma lo scorso 11 dicembre, ma già prenotabile da metà settembre, “Borgogna. Le vigne della Côte d'Or” è l'ultima fatica editoriale di Armando Castagno. Un libro che ha accolto solo pareri positivi.  

Non appena le prime copie hanno visto la luce e sono state recapitate ai primi acquirenti, sui siti di settore e nei social tutti hanno iniziato a parlarne, con termini entusiastici, tanto che qualcuno lo ha salutato come “il caso editoriale dell'anno”. E noi condividiamo abbastanza. Iniziamo con un po' di numeri: 800 pagine, 4.1 kg di peso, 10 anni per la raccolta del materiale, due per la redazione, più di 400 monografie dedicate ai vigneti del territorio e alla loro estrema parcellizzazione, 110 annate (dal 1900 al 2016) raccontate in appendice. Si capisce già da questi dettagli la monumentalità dell'opera. Che potrebbe sconfortare come di solito sconfortano tutti i tomi troppo imponenti. Però, basta aprire le prime pagine (compresa la prefazione, affidata a Michel Bettane, forse il critico enoico più importante di Francia; e l'articolata – e divertente – introduzione, a firma di Fabio Rizzari) per percepire che ci si trova di fronte a qualcosa di diverso, un'opera che è enciclopedica senza essere pedante; stile che riflette la personalità dell'autore.

L'autore

Armando Castagno è tra i critici enoici più importanti in Italia. Laureato in Giurisprudenza prima e Studi Storico Artistici poi, ha dedicato la sua vita al vino e alla diffusione della cultura ad esso legata. Dal 2003 tiene Master e Corsi di approfondimento in tutta Italia e insegna presso l'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.

Il libro

Il libro consta di quattro parti: a una prima di carattere generale relativa a temi quali la storia, il territorio, la legislazione, l'ampelografia, l'enologia e la toponomastica, seguono la seconda e la terza parte nelle quali ci si cala profondamente nella Côte d'Or, nelle sue denominazioni, nelle sue vigne alle quali sono dedicate monografie più o meno lunghe, ma tutte frutto di dettagliate ricognizioni che abbracciano dati storici, territoriali, geologici, altimetrici, toponomastici e aneddotici, nonché la fisionomia da considerare classica per il vino che ne deriva. Infine, la quarta parte è l'appendice sulle annate, citata sopra.

Ne consegue che il libro non è una guida ai “consigli per gli acquisti”. Non si parla di aziende, se non in maniera incidentale, ma di terroir, parola oggigiorno forse abusata nel mondo del vino, ma che trova la sua atavica ragion d'essere proprio qui in Borgogna: “esso costituisce il punto di partenza e insieme l'obiettivo finale del lavoro di chi le vigne di Borgogna ha ieri delimitato e studiato, e oggi abita e cura” come spiega Castagno nella Premessa. Vi lasciamo alle parole dell'autore, che potrete incontrare nelle prossime presentazioni del suo lavoro a Napoli (21/12), Udine (19/01), Asolo (23/02), Bologna (26/02), Verona (20/03); in preparazione, ma senza ancora una data, ci saranno tappe a Livorno, Genova e Cagliari.

 

Cosa ti ha spinto a scrivere un libro sulla Borgogna?

La voglia di leggerlo. O per dire meglio, la constatazione che il libro che sognavo, con le vicende puntuali delle vigne della Côte d’Or, non esisteva in italiano ed era a mio avviso spesso sbrigativo e un po’ didascalico e soggettivo, pur esistendo, in inglese.

Quando hai esposto il progetto all'editore, che accoglienza hai trovato?

L’idea l’avevo avuta nel 2010, e ho ancora i primi file scritti all’epoca, una ventina di testi, devo dire buttati giù piuttosto male e in modo disomogeneo; avevo abbandonato il progetto perché troppo complicato. Un caro amico e collega, Ruggero Rinaldi, me l’ha riproposta un paio di anni fa, ma è poi stato l’editore stesso, Paolo Buongiorno a telefonarmi chiedendomi se fossi disponibile a lavorare a questo progetto. Io ho detto “sì” ed eccoci qua. Il merito è essenzialmente loro.

Quanto tempo (e fatica) si impiega a scrivere un libro così?

Tempo di preparazione una buona decina di anni, perché il materiale da collazionare è cospicuo. Tempo di scrittura un paio d’anni a tappe forzate, quattro o cinque ore al giorno più o meno tutti i giorni comprese le festività. E quindi la fatica fisica c’è, ma è nulla rispetto a quella mentale.

Esistono altri libri simili sulla Borgogna? A quale pubblicazione ti sei ispirato? Quali sono state le tue fonti più importanti?

Il libro che ho scritto è nuovo come impostazione; il solo testo che io conosca che tenti un’analisi di tutti i vigneti di un qualche prestigio nella zona è “Inside Burgundy”, del Master of Wine Jasper Morris. Altri autori che ho consultato sono ad esempio Clive Coates, Remington Norman, Charlotte Fromont, Marie-Hélène Landrieu-Lussigny, Jean-François Bazin e Henri Cannard.

Il libro è un vero e proprio manuale d’“istruzioni per l'uso”, e non un elenco di aziende e dei loro vini (che pure ci sono, ma in maniera incidentale). Perché questa scelta?

Per non dargli una scadenza: il libro tratta di fattori per la grande maggioranza stabili e oggettivi, come il terroir in tutti i suoi elementi, la geologia regionale, la legislazione e le radici toponomastiche. Il fattore produttivo è fondamentale, ma a mio giudizio lo si può apprezzare ancora meglio, scegliendosi i modelli di riferimento e i produttori del cuore, dopo aver letto o consultato il volume che ho scritto. Se li avessi inseriti nel volume, avrei al contempo immesso una grande quantità di asserzioni soggettive, altamente discutibili, e non era quel che intendevo fare.

In un momento storico in cui questi vini sono diventati molto costosi e rari, il tuo libro a chi si rivolge?

A tutti coloro che amano i vini espressione di un territorio, perché la Borgogna può fare da buon esempio. E soprattutto agli amanti della Borgogna stessa, perché nel volume viene accordata la stessa dignità a tutti i comuni analizzati, e di conseguenza diventa più semplice orientare gli acquisti verso luoghi poco comunicati ma di grande valore potenziale, come Fixin, Savigny-Lès-Beaune, Monthelie, Auxey-Duresses, Saint-Aubin o Santenay. Credo che almeno questi non siano ancora interessati, se non marginalmente, dall’aumento spaventoso dei prezzi.

Perché il vino in Borgogna è così “difficile”? Che cosa differenzia la Borgogna da tutto il resto?

Lo scrivo in premessa: la tensione un po’ anacronistica ma di enorme portata culturale verso l’analisi anziché la sintesi. In un mondo che generalizza e raggruppa, la Borgogna mantiene un sistema che esige di andare al dettaglio, perché sia compreso. Anzi, di partire dal dettaglio; un po’ come l’arte dei paesi di radice nordica, come le Fiandre che facevano parte del Ducato di Borgogna: Federico Zeri diceva che la pittura italiana si guarda partendo dall’insieme e andando al dettaglio, mentre la pittura nordeuropea chiede che si parta dal dettaglio per andare all’insieme. Chissà che non sia una questione ancestrale, insita nel DNA delle persone.

Ormai siamo giunti alla mitizzazione di questo territorio, e spesso viene usato come termine di paragone per alcune zone o alcuni vini italiani: non credi che questo possa essere un po' pericoloso o comunque controproducente per il vino italiano?

Senza dubbio sì. Pericoloso, inutile, scoraggiante e fuori luogo, in quanto introduce un elemento di subalternità dal quale i nostri territori classici non sono affatto interessati. Alle volte si parla peraltro di “stile borgognone” per esprimere, nei rossi, un carattere basato sull’acidità, che va oggi di gran moda. Se ci si intende sui termini si può anche capire la metafora, ma io penso sia meglio evitarla quattro volte su cinque.

Non solo vigneti e vigne ma anche una ricerca intensa nelle biblioteche e nei catasti, soprattutto per la parte riguardante le interpretazioni etimologiche che hai dato di più di duecento lieux-dits. Che ci racconti a riguardo?

Che è la parte del libro che mi è piaciuto più scrivere, proprio perché presupponeva ricerche d’archivio. Ne ho svolte a Beaune, a Digione e in alcuni luoghi oggi secondari ma un tempo importanti, perché ospitavano capitoli abbaziali e biblioteche. Sono riuscito poi ad acquistare alcuni volumi antichi senza svenarmi, e li ho utilizzati, talvolta. Resta il fatto che la maggioranza dei “misteri” che questi nomi portavano con sé si potevano risolvere semplicemente con un buon vocabolario italiano-latino classico.

Il libro, oltre che da mappe dettagliate, fondamentali per la comprensione di questo territorio, è corredato da fotografie evocative, che ritraggono ovviamente i vigneti, ma anche dettagli di cantine, chiese, villaggi, case... come le avete scelte? E perché non ci sono didascalie?

Le fotografie sono veramente belle e suggestive, e sono uno dei vanti del libro; le ha scattate Andrea Federicia tutte le ore del giorno. Le ho scelte io, a seconda del testo che viene loro pubblicato vicino. Esse hanno la funzione di trasportare nell’ambiente della Borgogna, e così come non ci sono didascalie nel paesaggio “reale”, non ci sono nel libro. Fanno parte del viaggio, per così dire: ne rendono il colore, la temperatura, la materia, l’umore, se mi passi i termini.

Nell’ultima parte del libro, c'è una sezione relativa alla descrizione delle annate, dalla 2016 fino a risalire al 1900. Dove si reperiscono le informazioni per andare a descrivere vini e annate così vecchi? Qual è l’annata più vecchia che hai mai assaggiato?

Mi è capitato raramente di assaggiare cose di Borgogna molto vecchie, e mai del XIX secolo, ma non ricordo una sola bottiglia veramente deludente. I vini dei primi vent’anni del Novecento sono spesso fonte di enorme sorpresa, ad esempio: quest’anno la generosità di un amico di Napoli mi ha permesso di assaggiare il mio primo 1917, un Corton Rouge che pensavo ridotto ai minimi termini: invece era un vino dalla tenuta granitica.

Ricordi il primo Borgogna che hai assaggiato? E invece l’ultimo?

Il primo sì: il Vosne-Romanée Premier Cru Beauxmonts 1993 di Emmanuel Rouget, aperto dal dedicatario dell’opera Giancarlo Marino, il più grande esperto di Borgogna che io conosca in Italia. L’ultimo è giustappunto in rampa di lancio per stasera a cena: è il Pommard Les Petits Noizons 2015 di un piccolo Domaine che si chiama Moissenet-Bonnard, e che mi piace molto.

Sarebbe possibile scrivere un libro simile su una zona italiana? È nei tuoi progetti futuri?

Certamente è possibile, e per diversi territori: forse sarà la prossima iniziativa che prenderemo. C’è da scegliere bene luoghi, tempi e modi, ma alcune zone si prestano ottimamente. Spero altresì che i più bravi tra i miei colleghi si cimentino anche loro presto in opere di un certo respiro, così da tornare a riempire tutti insieme la biblioteca degli appassionati italiani con testi analitici in lingua italiana.

La prima edizione è stata tirata in 1500 copie: le prenotazioni sono iniziate il 18 settembre e tutto lascia prevedere che ci sarà una seconda ristampa. Per un libro così imponente, dall'argomento molto settoriale e dal costo (giustamente) elevato, si può parlare di grande successo. Come te lo spieghi?

Non me lo spiego affatto: ho difatti perso con ignominia tutte le scommesse che ho fatto cercando di prevedere quante copie avremmo venduto entro fine 2017. La Borgogna è indubbiamente un argomento che “tira” più di quanto da me immaginato. Meglio così, è una notizia ottima sotto vari aspetti, perché penso che studiare luoghi e comunità umane come quelle della Borgogna accresca la coscienza e la cultura del vino in chiunque, sia che ne apprezzi i vini, sia in caso contrario.

 

Borgogna. Le vigne della Côte d'Or - Armando Castagno - Tre Bit Edizioni - pp. 800 - 100 € - levignedellacotedor.com

 

a cura di William Pregentelli

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