Ma che beve l'Europa?

29 Lug 2011, 16:43 | a cura di

Le decisioni politiche più delicate, le più controverse, si prendono spesso a tavola. Magari davanti a una buona bottiglia di vino. Immaginiamo sia così, forse ancora di più, quando c'è di mezzo la politica, anzi la politica internazionale. Quale vino scelgono, per esempio, due europarlamentari dopo una estenua

nte seduta sulla crisi dei debiti sovrani dalla Grecia all'Italia? Siamo andati a Strasburgo per curiosare proprio nella carta dei vini del Parlamento europeo: la seconda più grande assemblea parlamentare al mondo (lo sapevate?) dopo la Camera del Popolo dell'India. Il primo dato è scontato: al Restaurant des Députés la fanno da padrone i vini europei. Tra le 113 etichette in carta  solo due le bottiglie del Nuovo Mondo: uno chardonnay e un cabernet sauvignon cileni prodotti da due aziende della rete del commercio equo e solidale.

 

Tanta Europa - dicevamo -  e, in particolare, tantissima Francia (oltre il 50% dei vini totali). In ogni caso le scelte del sommelier parlamentare sembrano più il frutto di ragioni diplomatiche piuttosto che di criteri qualitativi. Vediamo in dettaglio e  partiamo dalle bollicine. Due gli Champagne in carta e  tra questi una grande sorpresa: la Cuvée du Parlament Européen Brut Grand Cru di Pierre Peters. Siamo a Mesnil sur Oger, grandissima mineralità e finezza per questa piccola maison che produce una linea ad hoc per il Parlamento.

 

Per quanto riguarda il metodo champenoises, troviamo un Cremant, un Cava, un riesling Brut teutonico e un Prosecco  (prodotto da una poco nota Villa Marianna di Valdobbiadene). Un bell'esempio di diplomazia enologica. Proseguiamo. Ecco una selezione di mezze bottiglie, con un buon Sancerre, un Chianti 2007 della Cantina Leonardo da Vinci (una cooperativa di Mercatale, Firenze, 35 soci, 4 milioni di bottiglie e un posizionamento di mercato medio-basso), un albarino portoghese e una selezione di piccoli produttori di vari Paesi. Non ci sono grandi campioni, ma il messaggio politico è chiaro: bere  con moderazione.

 

Sfogliando la carta ci rendiamo conto che i bianchi e i rossi sono suddivisi in due specifiche selezioni, la prima più a buon mercato, mentre nella seconda - la“Carte de Vins Prestige”- con vere ricercatezze e grandi Chateau.

 

Ritorniamo un attimo alla lista “base”, alla voce vini bianchi che sembrano rappresentare la trascrizione enologica di un consiglio dei ministri a cui però non è stata invitata l'Italia. Troviamo, al contrario, Grecia, Spagna, Lussemburgo, Slovenia, Bulgaria, Romania, Austria, Belgio, Portogallo, Repubblica Ceca, Ungheria, Francia, Germania. Con etichette con nomi non proprio allettanti come il Byzantium Transylvanie 2005 della Romania  o il Kleoni greco senza nessuna indicazione né di annata né del produttore: un vuoto informativo grave – non l'unico!- se si pensa che la battaglia per la trasparenza della filiera produttiva dovrebbe partire proprio da qui.

 

Tra i bianchi, come dicevamo, nessun italiano, mentre tra i rossi solo un Dolcetto (Bersano, grossa azienda con 240 ettari vitati nel Monferrato e un fatturato di qualche milione di euro), ancora il Chianti Leonardo Da Vini e, tra i tanti, anche un rosso pretenzioso: Adgestone Vineyard 2004. Un'apertura all'Inghilltera?  Archiviata la prima lista - piuttosto deludente – passiamo alla carta più prestigiosa. La Carte de vins prestige riflette la tradizione della Vecchia Europa: oltre il 90% dei vini in questa selezione parlano francese.  Ci sono ottimi chablis come il Premier Cru Les Vaillons del Domaine Billaud Salmon o il Pessac-Léognan Cru classé dello Chateau Carbonnieux. In carta ci sono tante valide etichette di Bordeux, Borgogna e una bella selezione di rossi del Rodano; il Domaine de Remizières, tanto per citare un nome. 

 

Tra tanti francesi, spiccano solo tre nomi italiani. La Vernaccia  di San Gimignano, prodotta dalla piccola azienda biologica Montenidoli (24 ettari,120mila bottiglie), il Langhe Nebbiolo dei Poderi Oddero (storica azienda piemontese, 35 ettari, 110mila bottiglie, condotta dalle sorelle Maria Cristina e Maria Vittoria Oddero) e il Chianti classico di Badia a Coltibuono, biologico anch'esso, prodotto dagli eredi Stucchi Prinetti, storici viticoltori toscani (950mila bottiglie). Oltre a un rosso spagnolo della Ribera del Duero. Per quello che sembra un contentino all'enologia lusitana.

 

Una nota finale prima di lasciare il restaurant: gli europarlamentari non hanno nessuno sconto sui vini. Ne prendano nota i colleghi di Montecitorio e Palazzo Madama.

 

di Lorenzo Ruggeri

29/07/2011

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