Made in Italy, certificato e di marca. È questo il vino che piace agli italiani

19 Mag 2017, 14:00 | a cura di

Secondo l'indagine Censis per Federvini, la qualità batte il prezzo nella scelta dei consumatori. Quali strategie per la filiera? Insistere sui Millennial e sul richiamo all'italianità

Made in Italy, certificato Dop-Igp e di una marca ben precisa. L'italiano che acquista una bottiglia di vino sceglie con questi tre criteri. E, prima di ogni cosa, sceglie per la qualità rispetto al prezzo: accade nel 93% dei casi. Il profilo emerge dall'indagine Censis 2017, in collaborazione con Federvini, in cui il consumatore sembra aver reagito alla congiuntura economica negativa con un atteggiamento definito di “sobrietà post-crisi”, fatto di cauto utilizzo dei propri redditi, taglio agli acquisti (a volte anche drastico), selezione e investimento in consumi di qualità. Un trend che emerge innanzitutto dall'analisi dei comportamenti di spesa sul lungo periodo confrontati con le ultime tendenze: se, tra 2005 e 2015, la spesa delle famiglie italiane per il vino è diminuita del 21%, più di quanto fatto per i generali alimentari, in tempi recenti (triennio 2013-2015) è cresciuta del 9%, rispetto al +0,5% registrato da quella complessiva per generi alimentari. Un segnale, secondo l'analisi Censis, dell'atteggiamento più evoluto e informato del consumatore, pronto a mettere più soldi sui beni che, come il vino, hanno anche un valore immateriale. Un prodotto del made in Italy, quindi, che non attira solo per la sua dimensione organolettica ma anche per la sua valenza simbolica che incarna cultura, tradizioni locali e, in due parole, è espressione dell'italianità.

 

L'italianità, fattore decisivo ma sottovalutato

Oltre al rapporto qualità/prezzo, altri fattori determinano, come si è detto, la scelta di un vino. L'italianità è uno di questi: per il 91,2% del campione è garanzia suprema di qualità e, quindi, il criterio primo di scelta. Il settore del vino, sottolinea il Censis, deve tenere ben presente questo potenziale generatore di valore. “Sinora, l'italianità” si legge nel rapporto “è stato un moltiplicatore di valore potenziale parzialmente o totalmente inesplorato”. Per tale motivo, il Censis non risparmia una tirata d'orecchi al sistema: “Occorre mettere o rimettere al centro dell’attenzione l’importanza che ha nelle scelte di consumo il nesso tra vino e italianità. Abituati a scrutare il nesso tra territori locali, qualità e tipologia di vino, si è perso di vista nel tempo o, almeno, è stata sottovalutata la portata potenziale del richiamo all'italianità del prodotto”. Secondo fattore determinante sulle scelte di acquisto è la Dop o l'Igp: sigle che richiamano al nesso con il territorio che danno fiducia al consumatore. Terzo fattore è il marchio aziendale: sette italiani su dieci lo ritengono fondamentale. Il vino è uno dei settori del food, dove l'infedeltà di marca è inferiore rispetto ad altri comparti. L'italiano vuole il vino di un certo brand perché incarna aspettative materiali e immateriali precise; e tra queste c'è anche la qualità.

 

Il ruolo dei Millennial

Nel 2016, sono oltre 28 milioni gli italiani consumatori di vino, bevanda che, osserva il Censis, accompagna in maniera variegata tutte le persone nel loro ciclo di vita. Lo scorso anno lo ha consumato il 54,6% degli ultra 65enni, il 58,4% di chi è tra 35 e 64 anni, e il 48,6% dei Millennial (giovani tra 18 e 34 anni). Quest'ultima categoria, rispetto alle altre, è quella in cui i consumi si sono ridotti di meno nell'arco di dieci anni. Questo significa che i Millennial possono essere considerati consumatori non seriali, piuttosto orientati a un consumo di qualità. Pertanto, se il vino è una componente del pacchetto dei consumi tipico della categoria “la loro propensione al consumo altamente selettiva diventerà ancora più importante per il settore”. I dati Istat, analizzati dal Censis, dicono anche che, nel decennio 2006-2015, la generale tendenza al calo dei consumi di vino ha rallentato con l'aumentare dei livelli di scolarizzazione e non si è ridotta drasticamente all'interno dei gruppi sociali con più alta condizione socio economica. Uno di quelli ad alta fruizione di questo bene è, per l'appunto, formato da dirigenti, imprenditori e liberi professionisti (dal 74,7% del 2006 al 72,5% del 2015). Rileva il Censis: il maggiore coinvolgimento nel tempo dei ceti più abbienti conferma che il vino è la classica “bevanda degli italiani”, è trasversale rispetto alle età e ai ceti sociali ed è inserito all'interno di un consumo critico e consapevole. In altre parole, si sta affermando, tra i consumatori, un approccio al vino che evita le banalizzazioni dell'uso quotidiano e, soprattutto, evita la deriva del prezzo più basso. E a determinare i consumi futuri saranno proprio i Millennial, categoria evoluta, consapevole, non compulsiva, con forte propensione a considerare le dimensioni immateriali del vino, interpreti della cosiddetta “neosobrietà”. Quelli italiani, dice il Censis nella sua indagine, sono più virtuosi, maturi, propensi al consumo di pregio rispetto ai coetanei più a Nord, orientati maggiormente a un consumo intenso, concentrato e molto elevato di alcol. E, in quanto portatori di nuovi modelli di consumo, i Millennial giocheranno un ruolo primario nel trainare verso l'alto il valore del vino.

 

Recuperare il valore perduto

Ecco allora che, dal lato dei produttori, la spinta autolesionistica verso il prezzo più basso, che ha caratterizzato in modo particolare la prima fase dell'internazionalizzazione, è controproducente e rischiosa. Per il Censis, invece, l'Italia può riprendere terreno, intercettando un valore potenziale finora mancato. L'Italia è primo esportatore mondiale di vino con 20,6 milioni di ettolitri, ne produce oltre 50 milioni, con un valore unitario in ettolitri di 191,4 euro/ettolitro, inferiore alla Francia (316,6 euro/ettolitro) e persino alla Germania (207,7 euro/ettolitro). Certamente è difficile esportare agli stessi valori per ettolitro francesi (in questo caso il valore potrebbe passare da 5,6 a 12 miliardi di euro), ma è quantomeno possibile avvicinarsi a quelli della Nuova Zelanda che porterebbero l'export italiano a 9 miliardi di euro, oppure a quelli degli Usa, con un export teorico di 6,7 miliardi.

 

Il monito di Federvini

Il vino italiano, come ha sottolineato l'appena riconfermato presidente di Federvini, Sandro Boscaini, gode di “buona salute” considerando che è l'unico paese ad aver incrementato volumi e valori nel 2016. L'Italia è, ad oggi, dietro la Spagna a volume e dietro la Francia a valore, ma tra gli operatori del settore c'è ottimismo anche se “è necessario uno scatto in avanti per colmare il gap con la Francia. Certamente” ha rilevato Boscaini in riferimento ai ritardi nell'assegnazione delle risorse Ocm vino “queste vicende non hanno aiutato, limitando la possibilità di investire nei paesi extra Ue”. E si fanno sentire anche gli effetti della burocrazia: il progetto Re.Te., la telematizzazione dello sportello unico doganale, avrebbe dovuto eliminare la doppia contabilità elettronica e cartacea “ma a un anno dall'avvio l'Agenzia delle dogane non ha ancora approvato i regolamenti attuativi e quindi le imprese devono fare un doppio lavoro”. Inoltre, il comparto della federazione degli industriali attende l'abbassamento del livello di accisa promesso dal governo, dopo il +30% registrato tra 2013 e 2015. All'estero, gli ostacoli derivano in Ue da difficoltà interpretative, come il tema delle indicazioni nutrizionali in etichetta. Fuori dall'Ue, restano i problemi legati alle nuove registrazioni negli Usa, alle certificazioni sanitarie in Cina, alle discriminazioni fiscali in India o alle norme doganali in Russia. “Luci ed ombre” conclude il presidente Boscaini “che non impediscono una ragionevole fiducia nel futuro. Dobbiamo guardare ai mercati internazionali, è lì che incontriamo il nostro sviluppo e il nostro successo, portando chiaramente l’impronta del territorio di origine”.

 

Boscaini, nuovo biennio alla guida di Federvini

Nel corso dell'Assemblea Federvini a Roma, Sandro Boscaini, veronese, classe 1938, presidente di Masi Agricola, è stato riconfermato per i prossimi due anni alla guida di Federvini nRinnovate le altre cariche statutarie: Pietro Mastroberardino è stato rieletto presidente del “Gruppo vini”; Micaela Pallini, vice presidente e ad di Pallini spa, ha ricevuto la nomina di presidente del “Gruppo spiriti”; Sabrina Federzoni, guiderà il “Gruppo aceti”. In questi due anni, Boscaini ha dato un deciso impulso alla campagna #Beremeglio, coinvolgendo i bartender nella comunicazione del bere responsabile.

 

a cura di Gianluca Atzeni

foto di Zoltan SzarvasPixabay

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 18 maggio

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