Messico & vini: viaggio nella cava di vini italiani più grande d'America

16 Set 2014, 09:00 | a cura di
Ecco come sta cambiando il rapporto del consumatore messicano con le etichette internazionali. Ce lo spiega lo chef Rolly Pavia che ha inaugurato la nuova cantina dell'Osteria del Becco. Ma non cercate Bordeaux o Borgogna: c'è posto solo per l'Italia.

Una cantina da sogno. Siamo a Polanco, a pochi metri dalle boutique del lusso di Avenida Presidente Masaryk, Città del Messico. Qui lo chef Rolly Pavia, nella sua Osteria del Becco, ha voluto fortemente un caveau di sole bottiglie italiane, tra le più ampie e profonde collezioni al mondo. Giovedì scorso l’inaugurazione, alla presenza di una validissima rappresentanza di produttori del Belpaese. Ma facciamo un passo indietro. Rolly ha lasciato l’Italia per il Messico a 17 anni con il padre Angelo. Il primo ristorante Beccofino a La Marina de Ixtapa Zihuateneko è stato aperto venti anni fa, poi nel 2002 l’Osteria del Becco a Polanco, ancora la Cantinetta del Becco nel quartiere di Santa Fe e Becco al Mare ad Acapulco. I margini di crescita sono ampi, così Rolly decide di riconvertire l’Osteria del Becco a Polanco nella più grande cavadi vino italiano d’America. “Oggi” dice“sono 28 mila le bottiglie in cantina e 1500 le etichette, ma l'obiettivo è arrivare a 3 mila. Tramite Italwines, la compagnia che ho messo su per importare direttamente dall’Italia, porterò almeno altre 20 aziende dal vostro Paese, in più acquistiamo 3 o 4 volte all'anno in diverse subaste e anche qualcosa qui in Messico dagli importatori, in modo da avere più profondità”. La gamma è impressionante per formati e scelte, ci sono tutti i grandi classici ma anche tanti piccoli produttori visitati uno a uno in Italia. Lo studio sulle annate è chirurgico. Ci sono vendemmie che hanno fatto la storia del nostro vino e capita sempre più di sovente di trovarle a 10mila km dal luogo di produzione piuttosto che nei ristoranti di casa nostra. Pensiamo al Brunello Riserva ’83 di Soldera, Sassicaia ’85 e tanti, tanti millesimi di Monfortino. “Il prossimo anno” rivela“ci sarà un bel progetto per il Centro Sud e ogni regione sarà ancora più rappresentata”.

Rolly è stato tra i primi a credere sul vino italiano in Messico e dal 2000 ha iniziato a rimpinguare la cantina. Da un decennio, infatti, il Paese gode di una crescita economica non indifferente: nel 2004 il Pil segnava 759,8 miliardi di dollari, nel 2013 vale 1260,9 miliardi; la crescita attesa nel 2014 è del 3%, fermo restando le contraddizioni e i divari delle metropoli centro e sudamericane. In parallelo cresce anche la produzione vitivinicola interna, gli ettari totali sono 3.600, il 75% della produzione si concentra nella Valle de Guadalupe in Baja California. Accanto a cabernet, merlot e tempranillo, troviamo anche tanto sangiovese e nebbiolo. “Lo stile è ancora fortemente influenzato da legni marcanti e cifre mature. Abbiamo iniziato da poco, quasi tutte le aziende hanno meno di 20 anni, il vino qui è una cosa relativamente nuova ma il gusto piano piano sta evolvendo”, ci racconta Rodolfo Gerschman, direttore della rivista Catadores. Anche la gastronomia messicana vive un periodo florido: si sviluppano le prime guide, le riviste di settore. Sembra di rivivere quanto successo da noi alla fine degli anni ’80. Tra le nuove aperture nella capitale il Mercado Roma, il quartiere della vita notturna, ha suscitato particolare clamore. In un unico contenitore sono riunite tante tavole a tema. Il modello ci suona familiare…

La ristorazione è migliorata molto, la gente qui in Messico sta tanto a tavola, ama mangiare bene”, commenta Rolly. Tirando le somme, sul continente americano vi segnaliamo almeno altre tre grandi cantine: Del Posto a NYC della famiglia Bastianich, il ristorante Valentino di Piero Selvaggio a Santa Monica e il lussuoso ristorante Fasano dell’omonima famiglia a San Paolo.
Un'osservazione tra tutte: Rolly Pavia ha fatto una scelta precisa, sbarrando le porte ai grandi bordeaux e borgogna. Solo Italia: i progetti sono solidi e ambiziosi. E la cantina non è uno strumento per ostentare, ma un processo di formazione continua, basta vedere la conoscenza dei suoi dipendenti. Il 31 gennaio aprirà Becco al Four Seasons Città del Messico, mentre sono già stati individuati altri due ristoranti sempre nel Distrito Federal. Con negozio di vino annesso.

In un fermento simile e un'attenzione sempre più rivolta al made in Italy, non poteva mancare il Gambero Rosso che ad aprile tornerà in città con 60 aziende di qualità, a 12 mesi dal primo incontro con questo Paese. “Il vino Italiano va raccontato, spiegato e curato tanto. Le potenzialità sono enormi però ripeto che il nostro vino qui in Messico ha bisogno di un ambasciatore, va accompagnato altrimenti rischia di non decollare come successo tante altre volte con aziende italiane e tanti importatori che hanno fallito” chiosa Rolly.
Ma come è il mercato in Messico? “La tassazione è altissima, incide per il 40%, ma se importi direttamente arrivi al consumatore con un prezzo molto più accessibile; in dogana qui in Messico sono molto fiscali e i controlli sono molto accurati, questo complica tutto”, racconta Rolly Pavia. Il consumo pro capite è ancora molto basso, 650 ml l’anno. Il dato sale a livelli ben più alti se relazionato solo alle aree metropolitane, gli esperti stimano un percentuale costante di crescita del 13% nei prossimi anni. Per quanto riguarda le quote di mercato Spagna e Cile rappresentano la metà del mercato, l’Italia è terza, la Francia segue a ruota. Gli ultimi rilevamenti confermano il trend positivo: nel I semestre del 2014 le importazioni di vino italiano hanno raggiunto i 10,3 milioni di euro, rispetto ai 7,4 dello stesso periodo nel 2013. In sintesi, il 2013 ha segnato un valore di 19,5 milioni, nel 2012 il dato si era assestato sui 17,3 milioni.

Note di degustazione - Correva l’anno 1955
Tra le bottiglie coricate nella cava dell’Osteria del Becco c’è anche Monfortino ’55. Una bottiglia l’abbiamo fatta fuori noi. Lasciamo da parte le suggestioni storiche, o almeno ci proviamo. Il colore è un cerasuolo tenue ma senza sgranature. Nessuna riduzione o incertezza olfattiva. Ci guardiamo stupiti, il naso è invitante da subito: s’intrecciano toni di anice, liquirizia, sottobosco. Si acquieta poi ricambia. Sviluppa toni più intensi di rabarbaro, scorza d’arancia, tè nero, fiori secchi. Il sorso ha una naturalezza mostruosa, è preciso, sottile e trascinante. Il tannino è ancora presente e sì cremoso, l’acidità elevata. Da bambino sarà stato una meravigliosa canaglia. Agile e fine, non mostra cedimenti ma tanto sapore e carattere. L’equilibrio è soffuso: tutto sembra straordinariamente semplice e al suo posto. Difficile da quantificare la chiusura. Non chiude mai. Eterno.

a cura di Lorenzo Ruggeri

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del'11 settembre
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