Nasce Italian Artisan Wines: “Così vendiamo il vino italiano in Cina”

13 Mar 2017, 14:00 | a cura di

Si trova ad Hong Kong, ma è italiana la nuova piattaforma di e-commerce e distribuzione di vino made in Italy. Il suo fondatore ci racconta il progetto e ci rivela come ha esportato il modello milanese Pazzeria in Oriente

Hong Kong è la porta dell'Oriente. Ormai questa frase abbiamo imparato a ripeterla quasi come un mantra, pensando, così, di aver scoperto il segreto per conquistare il mondo con il made in Italy. Ma sicuramente non basta attraversare quella porta per avere ai propri piedi, quasi per magia, il Dragone Rosso. Attraversarla davvero significa starci dentro, salire a bordo di questo hub d'Oriente e da lì studiare mosse e strategie. Lo sa bene Stefano Balsamo, ceo di Zixun China Advisor, società operativa che ha dato vita a diversi progetti. L'ultimo, il più ambizioso, si chiama Italian Artisan Wines e si propone come piattaforma per aiutare le piccole e medie imprese ad esportare e vendere vino in Cina.

Partiamo da una definizione: cos'è Italian Artisan Wines?

In sintesi è la prima piattaforma – e non solo di e-commerce - verticale italiana con sede ad Hong Kong.

 

Per fondarla e seguirne la crescita ti sei trasferito proprio ad Hong Kong, dove hai aperto anche degli uffici. Da che tipo di esperienza vieni?

Mi definiscono un imprenditore sin dalla nascita. Nel tempo si è aggiunta la passione per il food&beverage e sei anni fa ho iniziato il mio giro per il mondo - dagli Usa passando per Londra, fino ad approdare ad Hong Kong - alla scoperta del modello migliore di business da seguire.

 

E cosa hai capito?

Principalmente che il made in Italy, oltre a essere inesauribile, è un vero e proprio movimento, è lifestyle, non solo un prodotto.

 

Però, se parliamo di prodotti hai scelto di lavorare sul vino...

Non solo. Nei mesi precedenti ho lanciato anche dei progetti legati alla birra artigianale: Italian Artisan Beer per la vendita e distribuzione di questo prodotto qua in Cina, e il franchising del locale Pazzeria di Milano, gestito da due ex McDonald's, oggi soci del progetto cinese. Il primo punto vendita lo abbiamo aperto lo scorso anno, la seconda apertura è prevista per i prossimi mesi. Il format mette insieme birra artigianale italiana e prodotti italiani della tradizione street food, come piadine e salumi. A maggio scorso tra investimenti personali e round di partner e investitori abbiamo chiuso con un milione di euro per la fase start-up.

 

Poi è arrivato il progetto vino ...

Già, e per iniziare ho ho disegnato un mio modello di business e cercato le soluzioni ai problemi/errori più diffusi.

 

Che sarebbero?

Primo errore: frequentare le grandi fiere qui in Oriente, pensando di conquistare il mercato, per poi tornarsene a casa carichi solo di biglietti da visita. Invece, bisogna essere presenti sul territorio, proporre il prodotto, educare a certi sapori. Per questo, io in prima persona, ho deciso di trasferirmi qui. Secondo: presentarsi singolarmente. Quante volte abbaiato sentito dire che il vino italiano non fa sistema? Noi ci presentiamo come Italian Artisan Wines e come tali ci proponiamo. Infine, aiutare le aziende non solo a vendere il loro prodotto una volta varcata la dogana, ma aiutarle con le pratiche burocratiche, le documentazioni, le traduzioni e tutta quella parte che serve ad arrivare fin qui.

 

Primissimo bilancio dell'attività avviata.

Dallo scorso dicembre abbiamo lanciato la versione beta del progetto, in due mesi abbiamo venduto 2 mila bottiglie. Intanto, ci siamo strutturati con l'ufficio di Milano e quello di Hong Kong per un totale di 25 impiegati, tra logistica, marketing, ufficio traduzioni e così via.

 

Obiettivi?

Al momento del lancio ci eravamo prefissati di arrivare a 100 etichette entro il primo semestre, ma visto il sempre maggior numero di contatti - oggi siamo a 40 etichette in portfolio (tra cui Cascina Faletta; Negretti; Massimo Rivetti; Tenuta Pescarina; Cosimo Masini; Vinicola Serena; ndr) - direi che possiamo alzare l'asticella delle aspettative.

 

Passiamo al lato pratico. Che tipo di selezione fate?

Non abbiamo parametri dogmatici, ma come dice lo stesso nome della nostra piattaforma - Italian Artisan Wines - puntiamo molto sui vini artigianali, con produzioni non vastissime, ma molto territoriali. Vogliamo dare la possibilità, anche a chi non ha mai avuto accesso a questo mercato, di affacciarsi ad esso, portando la propria storia familiare.

 

Cosa chiedete ad un'azienda per entrare nel vostro circuito?

Parlando in termini materiali: non chiediamo soldi, ma vino. Noi investiamo nella parte burocratica e commerciale, in cambio chiediamo l'invio di un quantitativo – al momento limitato – di bottiglie che andrà a confluire nel nostro magazzino. Il pagamento avverrà in seguito alla vendita, e dopo sei mesi valutiamo assieme quali prodotti stanno andando meglio e in base a questo quali strategie commerciali adottare.

 

Qual è il vostro modello di business?

Ci rifacciamo ai grandi marketplace, come Amazon o Alibaba. Non diventiamo proprietari del vini, ma li mettiamo in vetrina; non abbiamo un magazzino nostro, ma esternalizziamo il servizio; non chiediamo alle singole aziende di pensare alla parte logistica e commerciale, ma ce ne occupiamo in prima persona, dal ritiro del vino direttamente in cantina fino alle pratiche burocratiche per uscire dall'Italia, dalle traduzioni in cinese alle strategie di marketing per vendere il prodotto.

 

Quali strategie ad esempio?

Prima di tutto seminari, incontri, degustazioni. Poi, accordi commerciali che devono accompagnare il prodotto anche al di là della singola vendita online. Da ultimo, sul piatto ci sono gli accordi commerciali con due importanti partner, uno a Shangai e l'altro a Pechino. Infine, roadshow sul territorio, incoming in Italia e realizzazione di video promozionali.

 

Anche Tmall di Alibaba ha puntato molto sulla parte video. Il contatto visivo è, davvero, così importante da quelle parti?

Sì, a patto che si parli il linguaggio locale. Non mi riferisco solo alla lingua – sebbene i video siano tradotti sia in inglese sia in cinese – ma anche a semplicità e immediatezza. Anche le schede tecniche che costruiamo non hanno niente a che vedere con quelle italiane: devono essere meno tecniche, ma molto chiare e didascaliche, parlare di abbinamento e soprattutto non trascurare lo storytelling. La storia delle aziende e del territorio diventa fondamentale.

 

Se ci spostiamo sul lato cliente, chi è il vostro target di riferimento?

Sicuramente non solo clienti occasionali. Non ci interessa la vendita spot, ma puntiamo sulla vendita fidelizzata soprattutto a grandi distributori e ristoratori.

 

Parliamo di ristoranti italiani o cinesi?

Ristoranti cinesi. Dove oggi si beve solo vino locale, francese o cileno. Vogliamo inserirci in questa importantissima fetta di mercato.

 

Per farlo, bisogna anche essere attenti alle cifre. Vi siete posti dei tetti massimi di prezzo?

No, non vogliamo giocare al ribasso, anzi. Un buon Barolo deve essere venduto per quel che vale, non bisogna farsi intimorire dalla concorrenza. Siamo l'anello finale di questa catena che parte dal produttore, il nostro obiettivo è valorizzare i vini, non deprezzarli.

 

Ma come la mettiamo con la concorrenza? Il Barolo non è il Bordeaux, se parliamo in termini di percezione cinese del vino.

Scommettiamo?! Basta saperlo raccontare. Oggi in Cina c'è una borghesia medio-alta assetata di novità. Se fino ad ora qui si son bevuti solo grandi barricati è perché venivano proposti solo quelli, ma i nuovi consumatori sono pronti a fare il salto con altre tipologie di vino: dalle nostre bollicine ai nostri rossi meno tannici. Poi amano molto il vino dolce, stile Moscato. Tutto dipende da noi.

 

Qual è il vostro rapporto con il gigante dell'e-commerce cinese Alibaba?

Siamo in contatto con il gruppo ed entro luglio anche noi sbarcheremo sulla loro piattaforma Tmall con una nostra vetrina.

 

Lasciamoci con una provocazione: come mai una cantina italiana dovrebbe decidere di affidarsi a Italian Artisan Wines e non direttamente ad Alibaba?

Perché Alibaba non potrebbe gestire tutto il sistema: è una vetrina autorevole, ma non può seguire il prodotto dall'arrivo alla vendita. Oggi, in un mercato difficile e competitivo come quello orientale, bisogna saper essere duttili, passando dall'off line all'online. Noi rappresentiamo tutto questo: siamo un ponte culturale e commerciale.

 

 

a cura di Loredana Sottile

 

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 2 marzo

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