Sempre più negroamaro nel futuro del Salento del dopo xylella

19 Ott 2016, 14:30 | a cura di

Il negroamaro non è soltanto un’uva “nera nera” come l’antico nome da cui deriva (mavros niger) suggerisce o un vino strutturato che prende il nome del vitigno, ma è il genius loci destinato ad avere un ruolo sempre maggiore nel futuro del Salento.

Negli ultimi anni, a causa della devastazione degli ulivi provocata da un batterio killer denominato xylella fastidiosa, il paesaggio salentino si è già profondamente modificato. Migliaia di alberi secolari, spettacolari sculture vegetali che così tanto caratterizzavano il paesaggio, ora giacciono abbandonati e, in molti casi, le parti secche e infette, prevalgono sui rami ancora verdi. Le potature radicali degli ulivi, vecchi e giovani, non servono a debellare il batterio ma esaltano ancor di più le mutilazioni e gli spazi vuoti che si sono creati nei campi.

 

Il paesaggio deturpato dalla xylella

Per trovare un rimedio all’infezione, diagnosticata in ritardo e sinora tiepidamente contrastata, ci vorranno anni, se non decenni, mentre il morbo, in assenza di azioni veramente incisive, continuerà ad avanzare indisturbato verso nord. Lungo la superstrada Lecce Brindisi, le piante di ulivo secche aumentano ogni anno di più, ma già ci sono segnali che la xylella sia arrivata nel barese". . I reimpianti, con varietà di ulivi resistenti alla malattia, sempre se positivamente sperimentati, solo parzialmente potranno sostituire le superfici occupate dalle piante malate o abbattute. La siccità, l’invecchiamento degli addetti, le proprietà troppo piccole, con costi difficili da ammortizzare, il calo della produzione – solo quest’anno in Puglia si aggira sul - 40% secondo Coldiretti - anche a causa della malattia che colpisce duramente il basso Salento e l’assenza di piani di recupero di lungo periodo, fanno temere per la manutenzione e la tenuta del paesaggio, almeno così come lo abbiamo conosciuto sino ad oggi: a breve il vigneto sarà quasi dappertutto una delle poche colture agricole, insieme a quelle ortive, a tenere in vita il paesaggio salentino ferito.

 

 

Il negroamaro

Ed è per questo che il negroamaro, attualmente impiantato in circa 17.000 ettari tra Lecce, Brindisi e in parte Taranto, insieme al primitivo e ad altri vitigni, potrebbe svolgere un ruolo sempre più centrale nell’agricoltura, anche se non potrà mai sostituire completamente gli spazi sinora occupati dagli uliveti. Oggi nei terreni, delimitati dai muretti a secco che indicano i confini delle proprietà, il negroamaro è piantato ad alberello, la tradizionale forma di allevamento, oppure a spalliera bassa. È un’uva che resiste bene al caldo e alla mancanza d’acqua e quando si vendemmia - dalla prima decade di settembre sino ai primi di ottobre – se la stagione è stata propizia, ha dei buoni caratteri, soprattutto di alcol e di acidità.

 

La nuova tendenza del negroamaro spumante

Se fino a qualche tempo fa, dal negroamaro si ottenevano sia vini rossi strutturati e potenti sia rosati freschi e sapidi, ora grazie alla naturale risorsa dell’acidità, si stanno iniziando a produrre degli spumanti nervosi, sia bianchi che rosati. Ormai in molte cantine accanto alle vasche d’acciaio e alle botti di rovere, sono apparse le autoclavi. Una novità impensabile sino a qualche anno fa.

D’altra parte le bollicine – trainate dal fenomeno mondiale del Prosecco – stanno ottenendo, qui come altrove, un alto indice di gradimento. Su questa nuova possibilità offerta dal negroamaro sono in parecchi a cimentarsi, da Leone De Castris a Santi Dimitri, dalla cooperativa Due Palme all’azienda del Duca Guarini, impegnata da qualche annata con un bianco tranquillo da uve negroamaro, solo per citarne qualcuna. Angelo Maci, personaggio di spicco del mondo cooperativo pugliese e nazionale, ha recentemente affermato urbi et orbi, che “il futuro sono le bollicine” e non a caso Due Palme offre ben 4 quattro di spumanti tra metodo classico e metodo Martinotti. Alla luce dall’effervescenza della domanda e di quante aziende si stanno impegnando nello spumante, a quanto pare sono in molti gli imprenditori pugliesi che la pensano allo stesso modo.

I risultati però, dal punto di vista qualitativo, non sempre sono all’altezza delle aspettative. Da qui a immaginare che il Salento possa diventare famosa per le bollicine, naturalmente ce ne passa. Magari come completamento della gamma dei vini in offerta, è possibile. Perché il cuore del Negroamaro continua ad essere rosso o rosato specialmente nelle Terre d’Otranto. Una terra da scoprire con lentezza.

 

a cura di Andrea Gabbrielli

foto: Carlo Elmiro Bevilacqua

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