Tra i terrazzamenti della Valtellina. Così il Nebbiolo di montagna ha trovato nuova vita

16 Apr 2021, 15:58 | a cura di
Territorio difficile da raccontare e da visitare, ampio e aspro, accogliente e diretto. Come il Nebbiolo che qui acquisisce una carica tutta sua di personalità e nerbo.

Un vino eroico, viti coltivate a forza e a fatica dalle coste di una valle parallela alle Alpi, protetta dai rilievi e sostenuta dal bacino del lago di Como. Uva che rischiava di soccombere al progresso, ai frutteti intensivi, ma che da una quindicina di anni ha trovato nuova forza. Un mondo, quello del Nebbiolo, che siamo andati a scoprire nel mensile di aprile del Gambero Rosso. Qui un'anticipazione.

La Valtellina e il Nebbiolo

Certi terrazzamenti sono così impervi che seguire un viticoltore nei suoi vigneti, in Valtellina, è come tentare di star dietro a un camoscio nel bosco: lui va, sguardo dritto e appoggi sicuri, tu annaspi e vacilli, nella difficoltà e nella meraviglia che ti si apre d’intorno. E godi. Mentre rischi di romperti l’osso del collo.

È difficilissimo raccontare la Valtellina. Per come ti accoglie, per come si articola e si colora, per come magnetizza e colpisce i sensi, con quelle vette che trafiggono il cielo, quei vigneti impensabili per il più eclettico degli artisti. Ha duemila e cinquecento chilometri di muretti a secco: un monumento funzionale, indispensabile, a creare terrazzi di terra coltivabile laddove la montagna era un tempo soltanto parete rocciosa, mentre l’Adda formava zone paludose, a valle, tutt’al più buone per il pascolo. Rupi del vino, le ha chiamate Ermanno Olmi, dedicando a questa terra un documentario che ne coglie appieno il dramma, la poesia: “Terra buona, fertile, e sassi: tutto portato a spalle, con le ceste, da donne e uomini. Lì è nata questa cultura eroica, la necessità l’imponeva”.

Vigneti di Mamete Prevostini in Valtellina

Vigneti di Mamete Prevostini

Parallela all’arco alpino, la Valtellina è una sorta di fortunato corridoio, con le Retiche a proteggerla dai venti nordici, le Orobie dall’umidità padana, la breva che asciuga soffiando dal lago di Como; il bottino di sole, colto dalla prima all’ultima goccia, è paragonabile a quello che premia Pantelleria: un microclima perfetto per la viticultura. Il versante retico, che guarda a sud, ospita 850 frammentatissimi ettari impiantati a Nebbiolo - Chiavennasca in loco - ma erano 5.000 all’inizio del ‘900 e 3.000 negli anni ‘70. Poi la tendenza all’abbandono, l’espandersi dei meleti e del bosco. Ma pian piano si recupera, si restaura, si reimpianta; nascono nuove aziende, talvolta guidate dai nipoti di chi già curava la vite, decenni addietro, magari per conferire a qualche grande cantina.

Il Doc Rosso di Valtellina è la bandiera più giovane, Nebbiolo per almeno il 90%, mentre i due alfieri Docg sono il Valtellina Superiore, con la possibile versione Riserva, nonché lo Sforzato, o Sfursat, ancora Chiavennasca vendemmiato e lasciato sui graticci per mesi, a disidratarsi concentrando zuccheri, carattere, aromi, per vini secchi di grande spessore. “Vini così non ce ne sono al mondo”, per dirla ancora con le parole del compianto Olmi.

Danilo Drocco della cantina Nino Negri in Valtellina

Danilo Drocco

Drocco, un langarolo per la Nino Negri

Il filo della storia vitivinicola locale è tenuto da aziende come la Nino Negri, fondata nel 1897 da un pioniere di Aprica, che a Chiuro “acquistò il castello e organizzò le cantine scavate nella roccia”, che da sole valgono il viaggio. “Cominciò vinificando uve di proprietà – racconta Danilo Drocco, attuale responsabile – e in seguito allacciò rapporti con decine di conferitori: se tanti terrazzamenti sono tuttora in piedi è anche grazie a chi ha fatto viticultura sostenuto dalla Nino Negri”. Un cuore puramente valtellinese, “così come la forza lavoro, il saper fare”, per un’azienda acquisita nel 1986 dal Gruppo Italiano Vini, che l’ha rilanciata ad altissimi livelli, mentre Drocco è un nebbiolista di Langa giunto dopo anni in Fontanafredda. “Fare vino in mezzo alle Alpi è un’esperienza unica”, specie per chi ama la montagna come lui; “abbiamo picchi di 3.000 metri guardando alle Orobie, di 4.000 verso le Retiche: una corona montuosa che protegge dal freddo, dalle piogge, e terreni rocciosi, drenanti. Nonché un nebbiolo dalla buccia più spessa, abituato a climi estremi, così affascinante da interpretare”. Oggi sono 35 gli ettari di proprietà, divisi nelle sottozone Grumello, Inferno, Valgella (le altre sono Maroggia e Sassella): un mosaico complesso, “considerando che il vigneto medio misura 2.000 metri quadri”. Dal più antico nasce Vigneto Fracia, un Valtellina Superiore Valgella molto espressivo, mentre altri due cru usciranno quest’anno:Ca’ Guicciardi ha la maturazione più calda tipica dell’Inferno, mentre Sasso Rosso è un Grumello da un vigneto poverissimo di terra, con tannino setoso e sentori di rose: un fratellino del pinot nero di Borgogna”.

Al parallelo con la Borgogna Drocco torna volentieri, per questa differenziazione spiccata tra zone, anche tra un terrazzamento e l’altro: “Incidono le differenze della roccia madre, da cui i vini traggono mineralità, freschezza; incidono la pendenza, la disponibilità idrica, l’altitudine, ci sono vigneti che partono a 300 metri e finiscono a 700. Il trucco per la qualità è seguire la natura, vendemmiare e vinificare separatamente”. Per Vini d’Italia vale Tre Bicchieri Lo Sforzato 5 Stelle ‘17, territoriale e polposo con note di tabacco e spezie, un finale lunghissimo. “È frutto di una vendemmia ritardata e meticolosa, di un appassimento a bassissime temperature. Un vero figlio della roccia e del vento”.

Cantina Arpepe in Valtellina

Arpepe, il giusto tempo di attesa

La famiglia Pelizzatti Perego vanta cinque generazioni di viticoltori, sono antecedenti all’unità d’Italia gli appunti sui quali si formò Arturo, che nel 1984 tornò in possesso dei suoi vigneti e utilizzò l’acronimo ARPEPE per fondare una delle realtà più rappresentative della Valtellina. Era un visionario, Arturo, ma assai concreto, puntava a esaltare le potenzialità del terroir affiancato dalla moglie Giovanna, che “girava con una bottiglia nella borsa” per far provare ai ristoratori quant’era elegante il loro vino. Nel 2004 sono stati i figli a impugnare il timone, col “giusto tempo di attesa” che resta assioma aziendale: Emanuele segue la produzione, Guido la comunicazione, Isabella si occupa della promozione, spendendosi “per trasformare questa valle in una piccola Alba, dove la gente arrivi tutto l’anno: chi la scopre, finisce per innamorarsene”.

La sede di ARPEPE è a Sondrio, la cantina perfettamente integrata nel versante del Grumello. Qui il nucleo portante dei 15 ettari vitati, con altri appezzamenti in Inferno e Sassella, per “un’opera ciclopica di ricompattazione, dunque di relazione”, racconta Isabella, “cominciata prendendo in affitto piccole parcelle e continuata con acquisizioni, recuperi”. Sempre si è seguito l’insegnamento di Arturo, ovvero “non rovinare la qualità prodotta in vigna”; punti di svolta, la raccolta in piccole cassette e l’introduzione di moderne tecnologie per preservare l’integrità delle uve, nonché la vinificazione in tini di legno, “per macerazioni che permettono la massima espressività al Nebbiolo delle Alpi, il che significa florealità, sapidità, mineralità, struttura ma anche freschezza, beva”. Sono così belli e verticali, i vini di ARPEPE, il tempo in quei tini sembra scorrere sempre più complice. Ne sono esempio il Sassella Riserva Nuova Regina, adesso fuori con l’annata 2013 premiata da Vini d’Italia, o l’iconico Ultimi Raggi, “dalla vigna più alta della Sassella, a 600 metri, vendemmiata per ultima: maggior struttura e gradazione zuccherina ma anche acidità, per il nostro miglior compromesso in direzione Sforzato”.

Muretti a secco in Valtellina

Da vicepresidente della fondazione ProVinea, Isabella rivendica le conquiste del territorio al pari di quelle aziendali, come il riconoscimento di Paesaggio Rurale Storico per i Vigneti Terrazzati, mentre si insiste per la consacrazione dei muretti tra i monumenti dell’Unesco, ora che la loro arte realizzativa è bene immateriale patrimonio dell’umanità.

a cura di Emiliano Gucci

QUESTO è NULLA...

Nel mensile di aprile del Gambero Rosso trovate l'itinerario completo con i contributi di Mamete Prevostini, Sandro Fay insieme ai figli Elena e Marco, e Pierpaolo Di Franco e Davide Fasolini dei Dirupi. Nell'articolo trovate anche le utili infografiche di Alessandro Naldi con i numeri della produzione, 10 indirizzi da provare a Sondrio, i contributi di Vittorio Citrini dell'Osteria del Benedet a Delebio e di Marco Simonit, cofondatore di Simonit&Sirch Preparatori d’Uva. E ancora, 5 piatti per 5 calici da Il Cantinone di Madesimo, 8 indirizzi per dormire in Valle, 8 tavole valtellinesi consigliate dai produttori e le migliori etichette dalla guida Vini d'Italia 2021 del Gambero Rosso. In più una mappa con tutti gli indirizzi da non perdere.

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