Versi di vini. Giosuè Carducci

16 Lug 2016, 15:10 | a cura di

Nel nostro viaggio alla scoperta delle più belle poesie dedicate al vino, rientriamo in Italia per incontrare uno dei più noti poeti della fine dell'800. Premio Nobel per la letteratura e uomo politico, Giosuè Carducci non nascose mai la sua passione per il buon bere.


Giosuè Carducci

Premio Nobel per la letteratura ne 1906, Giosuè Carucci (1855 – 1907) è uno dei poeti più famosi dell’Ottocento italiano e, per quanto ci riguarda, non era certo insensibile al buon vino, come, del resto, alle donne. Impegnato attivamente nella vita politica dell'epoca, che non di rado cantò nelle se rime, i temi storici e paesaggistici furono in gran parte presenti nella sua produzione letteraria. Anche se non mancano argomenti più intimi.

 

L’ostessa di Gaby

 

È verde e fosca l’alpe e limpido e fresco il mattino,

e attraverso gli abeti tremola d’oro il sole.

Cantan gli uccelli a prova, stormiscono le cascatelle,

precipita la scesa nel vallone di Niel.

Ecco le bianche case. La giovine ostessa a la soglia

ride, saluta e mesce lo scintillante vino.

Per le forre de l’alpe trasvolan figure ch’io vidi

certo nel sogno d’una canzon d’armi e d’amore.

 

Da Juvenilia XCIV: Brindisi

 

Evoè, Lieo: tu gli animi ( Bacco )

Apri, e la speme accendi

Evoè, Lieo: ne’ calici

Fuma, gorgoglia e splendi.

Tenti le noie assidue

Co’ vin d’ogni terreno

E l’irrompente nausea

Freni con l’acre Reno.

Chi ne le cene pallide

Cambia le genti e merca

E da i traditi popoli

Oro ed infamia cerca:

A noi conforti l’anima

Pur contro a’ fati pronte

Il vin de’ colli italici.

 

E poiché il vino c’era (da Rime e Ritmi)

 

e poiché il vino c’era

Riempii la mia coppa.

Come pazzo cantando attesi

l’alba lunare:

a canzone finita i miei sensi

se n’erano andati.

 

E per finire, l’immortale San Martino

 

La nebbia a gl’irti colli

piovigginando sale,

e sotto il maestrale

urla e biancheggia il mar;

ma per le vie del borgo

dal ribollir de’ tini

va l’aspro odor de i vini

l’anime a rallegrar.

Gira su’ ceppi accesi

lo spiedo scoppiettando:

sta il cacciator fischiando

sull’uscio a rimirar

tra le rossastre nubi

stormi d’uccelli neri,

com’esuli pensieri,

nel vespero migrar.

 

a cura di Giuseppe Brandone

 

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