Versi di vini. Il vino di Omero

16 Gen 2016, 14:30 | a cura di

Il grande poeta epico greco Omero ha punteggiato di riferimenti al vino le sue opere: in più punti parla della divina bevanda, come di qualcosa di magico per gli uomini. Come dargli torto?

Non si può parlare di poesia classica senza chiamare in causa Omero. Le sue opere sono fitte di riferimenti al vino. Ve ne diamo prova qui, a partire dall’Iliade, nella traduzione di Vincenzo Monti (libro VII)

 

Nella sera allestite indi le mense

per le tende, cibar le opime carni

di scannati giovenchi e ristorarsi

del vino che recato avean di Lenno (Lemno)

molti navigli e li spediva Eunèo

d’Issipìle figliuolo e di Giasone.

 

Questo vino che giunge dall’isola greca di Lemno, nel mar Egeo, è il premio che gli Achei ricevono per la rapida costruzione del muro di difesa contro i Troiani.

 

Un altro vino citato in Omero, è il Pramno o Pramnio, un prodotto noto per la sua finissima qualità e per le proprietà curative. Era un vino rosso, corposo, invecchiato, dolce e molto profumato, proveniente dall’isola di Lesbo, da Smirne e dall’isola di Icaria. Secondo Omero, era invece originario della terra di Pramnos, nell’attuale Turchia. Nell’undicesimo libro dell’Eneide, (facciamo sempre riferimento alla traduzione di Vincenzo Monti) questo vino è inserito in una “mistura” ben lontana dai nostri gusti. Al campo degli Achei la schiava Ecàmede, nella tenda dell’autorevole Nèstore, prepara questo strano beveraggio:

 

La simile alle Dee presta donzella (Ecàmede)

pramnio vino versava; indi tritando

su le spume caprin latte rappreso

e spargendovi sopra un legger nembo

di candida farina una bevanda

uscir ne fece di cotal mistura

che apprestata e libata ai due guerrieri

la sete estinse e rinfrancò le forze.

 

E c’è anche un vino senza nome che però è di somma importanza per la storia di Ulisse è quello donato all’eroe da Màrone, sacerdote d’Apollo. Lo troviamo nell'Odissea, al libro IX. Eccolo nella traduzione di Rosa Calzecchi Onesti

 

Lui m’offerse splendidi doni:

d’oro ben lavorato sette pesi mi diede,

mi diede un cratere d’argento massiccio,

e vino, versandolo in anfore, dodici in tutto,

dolce e puro, divina bevanda; nessuno

lo conosceva dei servi e delle ancelle di casa,

ma lui solo e la sposa e la dispensiera fedele.

E quando bevevano quel vino rosso, dolcezza di miele,

riempiva una sola tazza e in venti misure d’acqua

mischiava; e un odore soave dal cratere odorava,

divino; allora starne lontani non era caro davvero.

 

Un millennio dopo, Plinio scriverà nella sua Naturalis Historia “che il vino più anticamente celebre è quello di Maronèa, prodotto nelle terre costiere della Tracia (Grecia), proprio come testimonia Omero”.

 

È un vino che decretò la fine del Ciclope. Infatti, tornando all’Odissea e sempre nel libro IX, troviamo Ulisse che si avvicina a Polifemo con un boccale di “nero vino”:

 

lui prese e bevve, gli piacque terribilmente

bere la dolce bevanda e ne chiedeva di nuovo:

Dammene ancora , sii buono e poi dimmi il tuo nome,

subito adesso, perché ti faccia un dono ospitale e tu ti rallegri.

Anche ai Ciclopi la terra dono di biade

produce vino nei grappoli e a loro li gonfia la pioggia di Zeus.

Ma questo è un fiume di ambrosia e di nettare”.

Così diceva e di nuovo gli porsi vino lucente;

tre volte glie ne porsi , tre volte bevve da pazzo.

 

S’arrovesciò cadendo supino e di colpo

giacque piegando il grosso collodi lato: lo vinse

il sonno che tutto doma e dalla gola vino gli usciva…

 

a cura di Giuseppe Brandone

 

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