Versi di vini. Vincenzo Cardarelli

6 Ago 2016, 15:00 | a cura di

Avanguardia prima, ritorno all'ordine poi. Così per Vincenzo Cardarelli, che attraversò la vita letteraria dei primi del '900 da giornalista e poeta, dando voce e forza al movimento chiamato il rondismo. Continuiamo così il nostro viaggio nella poesia di tutti i tempi per trovare le più belle liriche dedicate al tema del vino.

La nostra corsa attraverso la poesia di ogni epoca ci fa approdare al '900, continuiamo a indagare tra i versi dei poeti per scoprire come cantavano il loro amore pr il vino. Arriviamo oggi a un giornalista che nel 1919 fondò la rivista culturale La Ronda professando un ideale di restaurazione classicista, auspicando un ritorno a Leopardi. Scrittore e poeta, oltre che giornalista, VincenzoCardarelli (1887 – 1959), fu animatore della vita culturale germinata intorno alla rivista, da cui nacque il movimento letterario detto rondismo. La sua produzione poetica si colloca a cavallo tra l'avanguardia degli anni '10 e la restaurazione del decennio successivo, ma ben presto rifiutò le istanze trasgressive dei primi del novecento per richiamare a una maggiore compostezza, professando un ritorno all'ordine e al ruolo dell'intellettuale.

Diverse le sue raccolte poetiche, ma, in particolare, ne riportiamo due, dal volume Poesie.

Ottobre

Un tempo era d’estate,

era a quel fuoco, a quegli ardori,

che si destava la mia fantasia.

Inclino adesso all’autunno

dal colore che inebria,

amo la stanca stagione

che ha già vendemmiato.

Niente più mi somiglia,

nulla più mi consola,

di quest’aria che odora

di mosto e di vino,

di questo vecchio sole ottobrino

che splende sulle vigne saccheggiate.

 

Ricordate il persiano Omar Kayyam, il massimo cantore del vino? Ebbene, una lirica di Cardarelli è dedicata a lui

A Omar Kayyam

Kayyam, nei mattini d’estate,

basta avere una foglia in bocca,

il sole dei giardini

ci ubbriaca meglio del tuo vino

che noi non berremo.

Abbiamo, dopo di te,

bevuto in ben altre cantine.

Abbiamo la gola rossa

dei nostri vini d’Occidente,

o mio vecchio, melodico persiano.

Ma la tua dolce infanzia di filosofo,

questa è un gran dono.

Tu hai guardato il mondo

tra nebbie e per distanze siderali.

Tu hai potuto iridare

di primordiali curiosità

l’ombra della vita.

Dove tutto non era

che disperata certezza

tu hai fatto domande,

proposto accordi e tutto era concluso.

E quando, non la durezza

della faccia di Dio,

pietosamente a te ascosa,

ma la tua carne stanca

ti rimbrottava,

da quell’oscuro e flebile scontento

nasceva la grazia d’un ritmo.

Così dell’umano

viaggio eludesti

le premesse fatali,

convinto di non saperle

e illuso di doverle ricercare.

E questo era il buon vino,

Kajjam.

Il dio che ti propiziava

questa bevanda d’inganni

faceva la tua fortuna

e il tuo canto.

E tu libavi alle rose

del tuo ridente sepolcro,

non sospettando, o impavido,

che la tua vita era già

un cimitero fiorito.

 

a cura di Giuseppe Brandone

 

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