Viaggio tra i vitigni autoctoni: l'erbamat

8 Mar 2017, 18:00 | a cura di

Nell’ambito della nostra ricerca attraverso i vitigni autoctoni italiani, parliamo dell'erbamat. Si tratta di un antico vitigno a bacca bianca del bresciano.


Storia e territorio

L’erbamat è un antico vitigno autoctono a bacca bianca dell’area del bresciano, storicamente presente nella zona tra il lago di Garda e la Franciacorta. È una delle tante varietà abbandonate nel corso degli anni, in favore di uve internazionali più conosciute e commercialmente remunerative. Il suo futuro era ormai avviato alla quasi completa estinzione o comunque a una sopravvivenza in piccole parcelle, con il solo valore di rarità e memoria storica del territorio. Tuttavia la natura è spesso imprevedibile.

Il destino dell’erbamat, che sembrava irrimediabilmente segnato, è cambiato improvvisamente. L’innalzamento delle temperature del pianeta, con estati sempre più calde, ha avuto profonde ripercussioni anche sulla coltivazione della vite, soprattutto nelle aree più temperate. In Italia in molte regioni il calendario delle vendemmie tende di anno in anno ad anticipare le date e fra queste c’è sicuramente la Franciacorta. Caratterizzata da un clima piuttosto dolce, mitigato anche dalla presenza del lago d’Iseo che, nel corso degli ultimi decenni, ha visto vendemmie via via sempre più precoci.

 

I vini spumante

Per la produzione di basi spumante, è assolutamente necessario preservare la componente acida, caratteristica fondamentale di ogni vin clair destinato a creare gli assemblaggi del Metodo Classico. Ovviamente le uve devono arrivare al momento della vendemmia, non solo con il giusto grado di acidità, ma anche ricche di zuccheri e di aromi. Il rischio di continuare a rincorrere i cambiamenti climatici con vendemmie anticipate, è di pregiudicare l’equilibrio complessivo delle uve e conseguentemente dei vini. Ma c'è la necessità di avere basi con buona acidità, senza penalizzare la ricchezza e la maturità del frutto del pinot noir e soprattutto dello chardonnay. Ed è proprio in seguito a queste riflessioni di carattere generale, che entra in gioco l’erbamat. Alcune lungimiranti aziende franciacortine, infatti, da qualche anno stanno coltivando quest’antico vitigno per valutarne le potenzialità in vista di un suo utilizzo futuro. Sono già disponibili le prime interessanti vinificazioni in purezza e i primi esperimenti di Metodo Classico con l’utilizzo anche di erbamat. Prove pionieristiche, che però stanno già tracciando una possibile strada.

 

Caratteristiche e prospettive future

Il suo nome, insolito e particolare, si deve alla colorazione verde della buccia, anche quando i grappoli arrivano a maturazione. È una varietà tardiva, che produce vini dai profumi delicati e sottili, aromaticamente piuttosto neutri, ma dotati di vivace acidità. Una caratteristica che la rende perfetta per dare la giusta freschezza alle cuvée della Franciacorta. Proprio pensando al futuro, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 4 gennaio 2017 una proposta di modifica dell’Art. 2 del disciplinare, che definisce la base ampelografica dei Franciacorta DOCG. Oggi le uve autorizzate per produrre Franciacorta sono chardonnay, pinot nero e pinot bianco. Il nuovo testo introduce la possibilità di utilizzare il vitigno erbamat fino a un massimo del 10% per le versioni Franciacorta e Franciacota Rosé, mentre non potrà essere utilizzato per la tipologia Satèn. Una scelta che offre ai produttori un’arma in più nel caso di annate in cui sia necessario aumentare l’acidità. L’erbamat, sia per caratteristiche, che per il diverso periodo di maturazione, è un vitigno complementare allo chardonnay, al pinot nero e al pinot bianco. Una risorsa che nei prossimi anni potrebbe rivelarsi fondamentale, se l’andamento climatico dovesse continuare a segnare incrementi di temperatura. Un altro aspetto interessante del recupero dell’erbamat è legato alla valorizzazione di una varietà autoctona, che contribuirebbe a donare ai vini Franciacorta una connotazione nel segno della tradizione e della storia del territorio.

 

a cura di Alessio Turazza

foto: Barone Pizzini

 

 

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