Salt, Fat, Acid, Heat. Un racconto di cucina al tempo di Netflix. Perché il nuovo format ha successo

25 Ott 2018, 14:00 | a cura di

L'ultima produzione originale sul cibo di Netflix è diversa dai precedenti successi. C'è sempre il racconto dei territori e dei protagonisti del cibo, e una fotografia mirata a ingolosire chi guarda. Ma Samin Nosrat non è la solita eroina che sale in cattedra. 


 

Samin Nosrat. Chi è

Controlla questi quattro elementi e avrai il controllo della cucina”. È questo l'assunto che guida le peregrinazioni gastronomiche di Samin Nosrat, cuoca americana di origini israeliane decisamente conosciuta in America (ha lavorato anche per Alice Waters da Chez Panisse ed è columnist del New York Times), ancora poco nota al pubblico italiano. È lei, con la sua viscerale passione per il cibo, l'anima di Salt, Fat, Acid, Heat, i quattro pilastri di cui sopra, “che determinano la riuscita di un piatto”, Samin docet. La nuova serie prodotta da Netflix – e rilasciata in contemporanea in molti Paesi del mondo – parte dal successo dell'omonimo ricettario firmato dalla Nosrat, pubblicato nel 2017 e riconosciuto dalla James Beard Foundation miglior libro di ricette del 2018. E si addentra tra le pieghe di una narrazione inclusiva e leggera quanto basta per interessare un pubblico eterogeneo.

 

Una nuova serie sul cibo per Netflix. Cosa cambia

Probabilmente è questa l'intuizione più potente della serie, che segue produzioni originali a tema gastronomico altrettanto riuscite, come Chef's Table (da qualche settimana è disponibile la quinta stagione del fortunato format, ora chiamato a rappresentare nuovi protagonisti, meno chef star e più figure chiave di rivoluzioni culturali e sociali che passano attraverso il cibo), Ugly Delicious – un David Chang show che indaga tra consuetudini alimentari, stereotipi e origini delle tradizioni gastronomiche – e ancora prima Cooked, anche questa frutto di una trasposizione visiva del libro di Michael Pollan. Con Samin, e questa è la sorpresa più gradita, il piano di lettura dei “fatti” gastronomici è incredibilmente semplice. Godibile e godurioso come l'assaggio di un Parmigiano Reggiano 40 mesi, mangiato guardando in camera “come se fossero caramelle alla tirosina”. Questo non significa che manchi consapevolezza del tema: Samin è una professionista, e l'idea stessa di scomporre il racconto in categorie di gusto – sale, grasso, acido, calore – lascia intuire l'intenzione di risalire alle origini della cucina partendo dalla conoscenza di prodotti, cotture e chimica degli alimenti. Eppure non si indugia in tecnicismi, mentre Samin fa di tutto per raccontarsi così com'è. Nessuna mania di protagonismo, né ricerca spasmodica della perfezione per un format che, come sottolineato da un recente articolo di Eater, rinnova un format che ha fatto la storia del cibo in tv, quello delle lezioni di cucina per tutti. In questo caso, però, non siamo al cospetto di Julia Child o Lidia Bastianich, e Salt, Fat, Acid, Heat beneficia del fatto di essere un ibrido. C'è la voglia di esplorare il mondo, raccontare storie (specie di piccole o piccolissime realtà produttive), scoprire tradizioni lontane per voce di chi le tramanda, ma nell'era che celebra il documentario di viaggio e i novelli Indiana Jones gastronomici pronti ad affrontare mille peripezie e mirabolanti avventure, Samin riconduce il gioco tra le mura di una cascina toscana o nella sua cucina di Berkeley, alle prese con un pollo arrosto. Si diverte e mangia di gusto, proprio come ciascuno di noi farebbe al suo posto.

 

L'Italia e l'uso del grasso

All'Italia (ma ci si muove anche in Giappone, per scoprire che “il sale fa vivere il cibo”, in Messico dov'è evidente quanto “l'acidità abbia il compito di bilanciare i sapori”, e California, alla ricerca dell'elemento principe di ogni trasformazione il calore) è dedicato il capitolo sul grasso, “perché è lì che l'arte dell'uso dei grassi per valorizzare anche gli ingredienti più semplici si esprime meglio che in ogni parte del mondo”. L'episodio è tutto concentrato sul dimostrare questa “verità”, ma ancor di più è un'esaltazione del rapporto tra gli italiani e il cibo, e una bella vetrina per realtà produttive e territori d'Italia – dove Samin ha vissuto anni fa, per imparare a cucinare “imiei piatti preferiti”, e quindi padroneggia la lingua – a cavallo tra la Liguria, l'Emilia Romagna e la Toscana. Si passa così dagli uliveti liguri alla “nonna” Lidia Caveri per imparare a fare il pesto, e ancora in Liguria per raccontare come nasce la focaccia ligure, in uno dei passaggi più golosi dell'episodio, perché “l'olio è l'elemento più rappresentativo di quanto il grasso di uno specifico territorio possa raccontare il sapore di una cucina”. Di grasso si parla anche con Lorenzo Chini, allevatore e norcino di Gaiole in Chianti, che guida Samin alla scoperta dei tagli che si ricavano dal maiale, dimostrando come differenti qualità di grasso debbano indirizzare la produzione per sfruttare tutto ciò che l'animale può offrire. Con Mauro Montipo e Tania Barbieri, invece, Samin conosce da vicino le Vacche Rosse, segue la produzione del Parmigiano, lo assaggia. E di nuovo in Toscana, ospite di Benedetta Vitali, chiude il cerchio, tra un soffritto e una pasta all'uovo per celebrare la tavola italiana.

 

saltfatacidheat.com 

 

a cura di Livia Montagnoli

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