Stefano Terigi Chef Emergente 2017. La sua storia, con Lorenzo e Benedetto, al Giglio di Lucca

17 Ott 2017, 11:20 | a cura di

Un lavoro a tre, frutto di un'amicizia cresciuta in cucina e del legame forte con Lucca, e la tradizione gastronomica locale, che si respira ancora tra le mura del Giglio, quarto protagonista della storia. Il risultato finale, però, è una cucina italiana moderna, contaminata, dai sapori decisi. Che ha portato Stefano a trionfare sul palco delle Officine Farneto. 


Si vince in tre

Alla fine di una gara, sul gradino più alto del podio sale sempre un vincitore. Questa invece è una storia a tre. Tre protagonisti, tre ragazzi di 30 anni, che dalla partenza arrivano a tagliare il traguardo insieme. Anzi, volendo rendere il merito a chi spetta, “noi affrontiamo sempre le sfide in 4: siamo io, Lorenzo, Benedetto… E il Giglio”. La storica insegna di Lucca, 40 anni alle spalle, ha dietro di sé tre generazioni di ristoratori, l’ultimo, da qualche anno a questa parte, è proprio Lorenzo (Stefanini), che insieme agli amici Stefano e Benedetto (Rullo) ha preso in mano le redini del locale di famiglia. “Oggi lo gestiamo in tutto e per tutto” conferma Stefano “ci occupiamo non solo della cucina, ma anche dei conti, della gestione del personale, della cantina, e di ogni necessità del ristorante”. Del resto quello che lega i ragazzi al Giglio di Lucca è una sorta di debito di riconoscenza: in tre vantano esperienze disparate presso molte cucine blasonate, in giro per il mondo, ma la palestra di Lucca, la voglia di farcela da soli, “e di fare da mangiare senza stare troppo a pensare ai riconoscimenti, per il gusto di lavorare bene, e insieme”, quella è stata una tappa fondamentale per arrivare dove sono oggi.

 

Il lavoro (in cucina) che ripaga

A distanza di qualche anno dall’inizio dell’avventura, infatti, i riconoscimenti arrivano eccome: il ristorante è sempre pieno, i clienti apprezzano, la critica si è accorta che al Giglio qualcosa ha cominciato a girare proprio per il verso giusto. E la fama del ristorante ha oltrepassato i confini della cittadina toscana, sostenuta dalla grinta - e quel pizzico di incoscienza che da giovani non guasta – dei ragazzi: qualche mese fa, Lorenzo si aggiudicava la competizione sulla pasta di Gragnano – il Primo Piatto dei Campi – con gli Spaghetti alle vinacce e fegati di colombaccio, pari merito con Marco Ambrosino (28 Posti a Milano). La settimana scorsa, invece, sul podio c’è salito Stefano Terigi, classe 1987, eletto Chef Emergente 2017 alle Officine Farneto, nell’ambito della competizione nazionaleorganizzata ogni anno da Luigi Cremona Lorenza Vitali, che riconosce il talento giovane della ristorazione d'autore. Anche a Roma, i ragazzi si sono presentati compatti. Uno sul palco, due dietro le quinte a supportarlo per le preparazioni. Insieme hanno costruito in tre giorni un percorso che ha convinto la giuria di giornalisti e chef a premiare Stefano, tra la sorpresa generale: “Non ce l’aspettavamo, non eravamo i favoriti, e gareggiavamo con avversari molto preparati”. E invece il gioco di squadra, insieme al coraggio di non scegliere la strada più facile, li ha portati alla vittoria, con una serie di piatti riusciti nell’accostamento di ingredienti e sapori, seppur azzardati. Ma in realtà molto ben calibrati.

La cucina di Stefano Terigi. Italiana, contaminata, moderna

A guardare Stefano da sotto il palco, a sentirlo dichiarare i suoi principali riferimenti in Italia – “Enrico Crippa perché il periodo con lui mi ha aperto la mente, Paolo Lopriore con cui condivido l’approccio alla cucina, lo seguo e leggo tutti i suoi scritti” – la sensazione è stata quella sin dall’inizio: idee forti, e un bel bagaglio tecnico a sostenerle. Per una cucina divertente (e divertita), ragionata, ma estremamente godibile, anche se giocata sul contrasto. Che poi è quanto succede a Lucca ogni giorno, da 5 anni a questa parte. I primi due piatti proposti in concorso - la pasta cotta in acqua di pomodoro con tanta noce moscata come fosse formaggio e cetriolo alla brace (dove ogni elemento è necessario per esaltare l'altro, da una ricetta “nata come risotto, e poi elaborata per ammorbidire l'acidità dell'insieme”) e l’anguilla con fegato di pollo e melograno - sono regolarmente in carta, al ristorante. Anche se il Giglio, e Stefano ci tiene a ricordarlo “deve mantenere il rapporto con il territorio, nel rispetto della storia che abbiamo alle spalle”. Si sperimenta, dunque, e principalmente nel percorso degustazione (7 portate più extra) proposto a chi arriva per la cosiddetta esperienza gourmet, ma in carta restano i piatti della tradizione locale e tante ricette del Giglio che fu, “in primis le tagliatelle con ragù di frattaglie di coniglio, una ricetta che ha 150 di storia”.

 

La doppia anima del Giglio. Territorio e tradizione, divertimento ed evoluzione

Così il ristorante mantiene la sua doppia anima, e ai ragazzi spetta il compito di tenere in equilibrio le parti: “In estate arriviamo a 120 coperti, dobbiamo fare da mangiare per tutti. Lavoriamo rapidi, sui cavalli di battaglia della casa. E intanto facciamo anche la nostra cucina, proprio ora siamo alle prese col nuovo menu”. Molto probabilmente nella nuova carta degustazione entrerà anche il piatto che è valso la vittoria a Roma, uno spiazzante dolce non dolce, un cremoso all'alga kombu con siero di yogurt caramellato e meringa, “in omaggio alle contaminazioni che ci hanno portato dove siamo oggi, il Giappone dell’alga, la Francia della panna”. Stefano, a onor del vero, in cucina c’è entrato 5 anni fa, prima studiava arte contemporanea, “mi sono laureato con una tesi su Ferran Adrià”. Ma il tarlo del cibo è sempre stato lì, “ho scoperto di non volerne fare a meno durante un lavoro per l’Accademia Italiana della cucina a Ravenna, con Franco Chiarini: giravamo un documentario sulle erbe spontanee commestibili. Durante i nostri viaggi, tra raccoglitori, chef romagnoli, ricercatori, lui mi ha aperto un mondo. Ho capito di voler prendere la strada della cucina”.

L'esordio in cucina, il futuro del Giglio

Allora ha chiamato Lorenzo, amico di infanzia, gli ha chiesto consiglio, lo ha raggiunto al Giglio. “Nelle stagioni invernali, quelle più tranquille al ristorante, abbiamo cominciato a viaggiare. Praticamente mentre facevamo la gavetta in cucina costruivamo la nostra formazione”. Così sono arrivati Pierre Gagnaire (dove Stefano ha conosciuto Benedetto, da Roma), Enrico Crippa, il Giappone di Ryugin per Lorenzo. “E un’esperienza folgorante per me, in Australia, a Margaret River, una piccola cittadina con interessanti realtà vinicole. Lì, dove c'è solo vino e surf, ho lavorato nel ristorante di un'azienda vinicola, il Wills Domain, ho scoperto un approccio al cibo molto naturale, quasi di impostazione nordica. E appreso molte tecniche di cottura che utilizzo oggi”. Cinque mesi importanti, “meravigliosi”, poi un mese in Indonesia, con Lorenzo, per assorbire la cultura gastronomica locale. Oggi, i tre condividono il modo di fare ristorazione, “in evoluzione costante, fuori da un sistema di comunicazione che ci sembra troppo canalizzato sullo chef star. A noi piace fare da mangiare!”. Al ristorante lavorano insieme, ma anche ognuno per sé, con altri tre ragazzi in brigata, e tre pass, uno a testa: “Alcuni piatti nascono e finiscono da una persona, sono i migliori, perché frutto di un'intuizione molto potente. Ma abbiamo in carta anche piatti corali, elaborati all'unisono”. In genere, e la prova alle Officine lo conferma, lavorano su pochi elementi, che si bilanciano tra loro, e gusti netti: “Il sapore deciso ci scorre nelle vene”. Una chiosa dei diretti interessati? “La nostra è una cucina italiana contaminata, tanto debitrice della tradizione, ma di impostazione moderna. E il fermento gastronomico di Lucca ci aiuta. Siamo consapevoli di far parte di una piccola realtà che cresce, senza paura di guardare al futuro. E siamo molto legati al nostro territorio”. Come al Giglio, che ormai fa parte della loro storia.

 

Il Giglio - Lucca - piazza del Giglio, 2 - 0583 494058 - www.ristorantegiglio.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Ritratti di Francesco Tommasi

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