Agli italiani le penne lisce non piacciono proprio. Il parere dei grandi pastai

28 Feb 2020, 12:20 | a cura di
Gli eccessi di fobia da Coronavirus hanno provocato in alcuni casi l’assalto alle derrate alimentari. Nei supermercati tutto è andato esaurito fuorché le penne lisce. “Gli italiani non le vogliono neppure quando prevedono una carestia”, ha scherzato qualcuno. Abbiamo approfondito.

Il caso delle penne lisce: agli italiani non piacciono?

In casa Martelli, di penne lisce non vogliono neanche sentire parlare. E non certo per lo stesso motivo che ha spinto orde (è il caso di definirle così) di italiani all'assalto dei supermercati a risparmiare dalla furia proprio – e unicamente – il formato di pasta incriminato. Agli italiani le penne lisce non piacciono. Qua e là, perlustrando online, saltano fuori persino ironici comitati per l’abolizione del famigerato formato, e schiere di detrattori convinti da tempi non sospetti. Ma la rincorsa a fare scorta di cibo scatenata dai primi giorni d'allarme per il Coronavirus ha evidenziato questa idiosincrasia in modo lampante. Tanto da scatenare l'immancabile ironia sul web, stimolare il fiorire di analisi più o meno facete sul tema, trasformare le penne lisce in trend topic sui social network, nel giro di poche ore. È questo il risvolto più goliardico della medaglia di una narrazione ormai strabordante dei giorni dell'epidemia, responsabile di favorire l'allarmismo, facendo il gioco di una psicosi che potrebbe determinare una crisi gravissima per il Paese, per le sue filiere produttive e per svariati settori che lavorano con il pubblico e il turismo straniero (ristorazione e ospitalità, tra i più colpiti). Noi, però, prendiamo spunto da una vicenda che speriamo possa essere archiviata quanto prima, per interpellare proprio chi tutela le produzioni artigianali. Facendo il punto sull’affaire penne lisce. Di piccoli pastifici e aziende di tradizione familiare che praticano la lavorazione della pasta secca onorando il prodotto, l’Italia è piena. E pur non lavorando col circuito della grande distribuzione, far apprezzare le penne lisce non è mai stato semplice, almeno da Roma in su.

Un pacco di penne Martelli

Le Penne Classiche del pastificio Martelli

Ma il pastificio Famiglia Martelli, in attività dal 1926 nella Toscana dell’antico borgo di Lari (all’interno di un castello!), ha operato da tempo una scelta di campo: tra i cinque formati in catalogo, non c’è spazio per le penne rigate. Mentre sono diventate un vanto dell’azienda le Penne Classiche, marchio registrato dalla famiglia per suggerire le lunga storia di un formato, quello liscio, che oggi si trova a essere bistrattato, e invece sta all’origine della produzione di pasta secca trafilata a bronzo: “Siamo l’unico pastificio italiano a non produrre penne rigate” racconta orgoglioso Dino MartelliMa abbiamo fatto di più: per noi le penne lisce sono depositarie di una bella storia per il nostro mestiere, quindi sono indubitabilmente le Classiche”. Prima di elencarne le qualità (pronti a smentire lo stereotipo più abusato: “Le penne lisce sono viscide e scivolose, e non raccolgono il sugo!”), allora, soffermiamoci brevemente sulla storia.

La storia delle penne, nate lisce

Le penne sono tra i pochi formati a poter vantare un’origine certa, inventate nel 1865 da un pastificio di Genova, grazie all’innovazione tecnologica introdotta da Giovanni Battista Capurro, che brevettò un macchinario per eseguire un taglio inclinato, regalando al nuovo formato corto una parvenza simile a quella di un pennino stilografico (da qui, il nome; mentre nell’area campana discendendo direttamente dagli ziti - lisci! - spezzati a mano, le penne sono dette anche maltagliati). “Come tutti gli altri formati” spiega Martelli “le penne sono nate lisce, come tradizione partenopea comanda ancora oggi. E la storia del condimento che scivola non regge, non se la lavorazione è di qualità: i formati lisci artigianali mantengono la porosità naturale dell’impasto, che assorbe naturalmente il sugo, e anzi combina un matrimonio più armonico rispetto al formato rigato. Eppure, in giro, pubblicizzare le penne significa sempre scegliere quelle rigate, perché nella lavorazione industriale il formato perde le sue caratteristiche”.

Una mano accarezza le penne lisce Martelli

La lavorazione che preserva la porosità

Ma come si procede, allora, per rispettare la storia delle penne? “Noi lavoriamo su un impasto più lento, meno compresso, poi trafilato a bronzo ed essiccato a bassa temperatura. Se lavorata a freddo ed essiccata lentamente, la pasta liscia non ha bisogno della rigatura. Anzi, lo spessore più uniforme la rende più raffinata. Per me le penna rigata è un po’ zotica, come si dice dalle nostre parti: la masticazione è meno gentile e delicata”. Dino, però, è consapevole di aver operato una scelta controcorrente rispetto al gusto che va per la maggiore: “Lavoriamo in un mercato di nicchia, ma abbiamo comunque faticato a imporre le penne classiche. Oggi le vendiamo bene, anche al Nord, perché la forza del prodotto vince. Tempo fa, una signora che vende abitualmente la nostra pasta nel suo negozio mi ha chiamato per ammettere di non aver mai assaggiato le nostre penne lisce: ‘Non mi sono mai piaciute’, mi ha detto. Poi, per caso, si è trovata a mangiarle: ‘Ora non riesco più a tornare alle penne rigate!’, ha concluso”.

Nord e Sud divise tra rigata e liscia

Quando nel 2017, in occasione del cinquantenario della cosiddetta “legge di purezza sulla pasta”, Aidepi ha fotografato le preferenze degli italiani in fatto di pasta secca, il Paese si è spaccato: al Sud la pasta è liscia, da Roma in su si preferisce quella rigata. “Storicamente a Napoli, la pasta rigata veniva prodotta solo per i mercati del Nord” spiega Giuseppe Di Martino di Pastificio Di Martino “Era venduta dai gragnanesi sul mercato di Roma, e chiamata per questo ‘uso Roma’. Poi la pasta rigata è diventata popolare per mascherare difetti di produzione e con l’avvento delle lavorazioni industriali”. Ma c’è un però, che i puristi del formato liscio portano sempre a supporto della loro preferenza: la rigatura determina una superficie non uniforme, con picchi e avvallamenti, ed espone all’acqua più superficie. In cottura, resterà più al dente nella sua parte spessa, rilasciando più amido in quella più sottile.

La lavorazione industriale è nemica della pasta liscia

Dunque non restituirà un risultato uniforme (“è una pasta imperfetta, d’invenzione relativamente moderna”), “anche se” spiega ancora Martelli “oggi non si parla più di pasta che scuoce neppure per i pacchi venduti al discount. Il motivo? L’essiccazione ad alte temperature, tra gli 80 e i 120 gradi, che io paragono all’allevamento dei polli in batteria perché provoca la perdita del profilo organolettico della pasta e della sua porosità. Noi essicchiamo a temperature inferiori ai 36° C, con ventilazione omogenea e umidità sotto controllo. Le nostre penne lisce sono buone anche semplicemente con un filo d’olio”.

Il valore delle materie prime

Ma la differenza la fanno anche le materie prime: nel caso del pastificio Martelli, sono i migliori grani duri italiani, macinati dal Molino Borgioli di Calenzano. Ma altri producono, orgogliosamente, le penne lisce: il pastificio trentino Felicetti, per esempio, le propone per esaltare la tessitura fine della semola Matt; al pastificio Mancini, la tradizione delle penne lisce incontra il grano turanico, per un prodotto molto diverso, per aspetto e sapore, da quelli tristemente abbandonati sugli scaffali dei supermercati. La penna liscia turanica di Pasta Mancini ha il colore della terra, uno spiccato odore di grano in cottura, ed è perfetta per una mantecatura veloce in padella, che assorbe facilmente il sugo. Ma nel meraviglioso mondo della pasta artigianale italiana, chi vuole ricredersi sulle penne lisce può bussare anche alla porta di piccolissime realtà che hanno fatto della filiera chiusa un valore da proteggere: come il pastificio di Antonio Caccese, nato nell’azienda agricola di Ariano Irpino specializzata nella coltivazione di grano duro con vecchie pratiche agronomiche. Qui si lavora su trafilatura lenta al bronzo, lunga essiccazione a bassa temperatura in celle ventilate, mai oltre i 46 gradi; e i formati sono quelli della tradizione campana, quindi non possono mancare le penne (e i pennoni) lisce.

Un piatto di penne lisce con guanciale e carciofi

Infine, un valido consiglio per l’uso, anche quando non si dispone del prodotto migliore: fermo restando che ogni formato ha il suo condimento ideale, un buon trucco per cucinare le penne lisce può essere il ricorso alla risottatura della pasta. Vi abbiamo convinto?

 

a cura di Livia Montagnoli

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