Non chiamateli spaghetti alla bolognese: il difficile rapporto tra Bologna e la sua ricetta più conosciuta all’estero

21 Set 2019, 10:30 | a cura di
Siamo stati all’aeroporto Marconi di Bologna per la presentazione di “Non chiamateli spaghetti alla bolognese. Un souvenir di Bologna” per saperne di più sul legame della città petroniana con il suo piatto più conosciuto all’estero.

Maccheroni e tagliatelle

Il ragù alla bolognese, o meglio il suo antenato più celebre, nasce in accostamento ai maccheroni, come ci racconta Pellegrino Artusi nel suo La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene del 1891 (la storia del ragù l’abbiamo raccontata qui). Sebbene l’Artusi lo citi anche come possibile condimento delle tagliatelle verdi, saranno altri autori a rendere indissolubile il matrimonio tra il ragù e le tagliatelle, che nel frattempo erano diventate un vero e proprio simbolo del capoluogo emiliano. Basteranno meno di trent’anni di storia per rendere universalmente celebre il condimento “alla bolognese” e, di conseguenza, la città che gli aveva dato i natali.

Arrivano gli spaghetti...

Se il ragù, nelle sue varie versioni e ricette, era più o meno alla portata di tutti gli chef e le casalinghe del mondo, non si poteva dire lo stesso per le tagliatelle all’uovo. Le difficoltà insite nella lavorazione e nella conservazione della pasta fresca all’uovo la relegarono nei territori in cui tradizionalmente era nata, mentre nel resto del mondo fu sostituita dagli spaghetti, ben più conosciuti e commercializzati. Nel 1923 gli “Spaghetti bolognese” si trovano già nel menu dell’Hotel Commodore di New York, mentre nel 1927 sono inseriti in un ricettario dello chef Wiman in una versione senza pomodoro, simile (più o meno) a quella proposta da Pellegrino Artusi. Contemporaneamente si diffondono anche in Italia, ma inizialmente sono indicati come rancio militare o serviti in trattorie di poche pretese fuori dai confini bolognesi.

La definitiva incoronazione a piatto globale avvenne all’inizio degli anni Sessanta quando la statunitense Heinz decise di commercializzare gli “Spaghetti bolognese” in scatola, portandoli nelle case di tutto il mondo. Il successo di questa specialità si concretizzò però lontano dai confini emiliani e a dispetto dei cultori della cucina tradizionale. Un po’ come le “Fettuccine Alfredo”, che in America diventarono una bandiera della gastronomia tricolore senza che in Italia ne arrivasse l’eco al netto della derivazione romana.

La presentazione all’Aeroporto Marconi di Bologna

Su questo equivoco ha voluto giocare il ristorante Vecchia Malga, storica azienda enogastronomica bolognese della famiglia Chiari, che ha presentato in anteprima nel suo ristorante dell’Aeroporto Marconi di Bologna il piatto “Non chiamateli spaghetti alla bolognese. Un souvenir di Bologna”, alla presenza del direttore commerciale dell'aeroporto Stefano Gardini e della consigliera del Comune di Bologna Simona Lembi. Protagonisti il comico Vito – legato a doppio filo alla cucina del territorio - e lo chef Massimiliano Poggi, a cui Vecchia Malga ha chiesto di ideare la ricetta del ragù. Il progetto è nato dalla volontà di innalzare la qualità dell’offerta e caratterizzarla con piatti tipici del panorama bolognese, lasciando un ricordo anche ai turisti che sostano poche ore nello scalo cittadino.

Vito e Max Poggi con un piatto di tagliatelle al ragù

Il ragù alla bolognese di Max Poggi

Il risultato è un sontuoso ragù alla bolognese, perfettamente aderente alla tradizione, che si presenta molto equilibrato nelle note aromatiche date dagli ortaggi canonici - sedano, carota e cipolla - e del concentrato di pomodoro, ma soprattutto convince nel mix di carni bovine e di maiale, avvolgenti senza eccedere nei grassi. La ricetta è segreta, ma il successo è assicurato dal gusto e dalle solide capacità tecniche di Massimiliano Poggi, chef bolognese che non ha bisogno di presentazioni, tanto che la sua cucina è ormai annoverata tra le eccellenze del territorio. Il suo ragù è fatto con “tagli di carne ricchi di collagene. Usiamo carne di maiale, carne di manzo, concentrato di pomodoro, vino rosso locale, sedano, carota e cipolla”. Il ragù, per sua stessa essenza, è duttile, continua lo chef: “Io penso al ragù con la polenta, con una fetta di pane, con la pasta all’uovo o con la pasta secca. A casa mia la pasta secca erano i maccheroni, ma in qualche casa -di contrabbando- gli spaghetti giravano”. Per questo piatto è però stata rispettata la più rigorosa ortodossia petroniana e il ragù è presentato sulle tradizionali tagliatelle all’uovo tirate a mattarello, un po’ spesse, rugose e a tratti callose.

Ragazzo con maglietta "notspaghettibolognese"

Bologna e gli spaghetti

Non solo in aeroporto, ma anche nel resto della città, resta molto difficile trovare gli spaghetti alla bolognese e i ristoratori preferiscono spiegare le origini del tradizionale binomio tra le tagliatelle e il ragù piuttosto che accontentare a tutti i costi il turista straniero. All’Osteria del Cappello hanno perfino ideato una maglietta con la stampa #notspaghettibolognese indossata durante il servizio, giusto per fugare ogni dubbio. Come spiega lo chef Marco Franchini, a volte ci sono delle resistenze: inglesi e americani tendono ad ascoltare di più, ma la clientela più difficile da convincere è quella russa e cinese. Negli ultimi anni Bologna ha attirato un numero sempre più alto di turisti e il panorama della ristorazione si è adattato di conseguenza. Anche un occhio disattento ha notato la moltiplicazione dei locali che hanno puntato sui taglieri di affettati misti – tanto che il centro cittadino si è guadagnato il soprannome di “Taglieristan”- oppure hanno modificato i menu per andare incontro ai gusti dei visitatori con l’offerta, ad esempio, dei tortellini al ragù. Ovviamente c’è spazio per tutti nella grande Bologna, ma fa piacere sapere che qualcuno abbia ancora voglia di dedicare tempo al cliente per raccontare come e dove sono nati i piatti della tradizione, fare assaggiare le specialità locali senza cedere alla massa e mandare a casa un turista con un ricordo vero della città.

a cura di Luca Cesari

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