Street food a Roma: i cibi da strada della tradizione

23 Ott 2020, 13:28 | a cura di
Forni, chioschi, paninari: la Capitale custodisce tante piccole insegne dedite al cibo da strada, che qui affonda le sue radici nella storia più antica. Ecco quello da non perdere.


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Sarà per via del clima mite e generoso, per la bellezza dei vicoli storici dove ci si perde sempre volentieri, ma mangiare passeggiando per la città è un’abitudine molto radicata nei romani, che possono fare affidamento su una serie di prodotti pratici e semplici da gustare mentre si cammina. La pizza a taglio, per esempio, cibo da strada per eccellenza, oppure il supplì, la crocchetta di riso dal cuore filante, goloso e irresistibile spezza-fame in attesa del pasto. Dal dolce al salato, ecco gli street food tradizionali da assaggiare a Roma.

Street food tipici di Roma

filetto di baccalà

Filetto di baccalà

Specialità frutto dell’incontro tra tradizione ebraica e romana: i filetti di baccalà sono un’istituzione a Roma, preparati in occasione della Vigilia di Natale ma in realtà reperibili anche durante il resto dell’anno. Il filetto viene immerso nella pastella (acqua frizzante e farina) e poi fritto in olio bollente: il risultato è un prodotto croccante, dorato, dal ripieno scioglievole e succulento. Viene solitamente ordinato come antipasto, ma c’è anche chi sceglie di consumarlo come cibo da strada, passeggiando per le vie del centro.

panino con la porchetta

Panino con la porchetta

Prodotto dei Castelli Romani a base di carne suina cotta, che dal 2011 gode del riconoscimento di indicazione geografica protetta (per saperne di più: Le migliori porchette dei Castelli Romani). La porchetta è un grande classico della cucina laziale, immancabile nelle fraschette dei Castelli, luoghi un tempo dedicati alla mescita del vino novello da accompagnare ai cibi portati da casa, oggi più simili alle classiche osterie. La si può gustare in purezza, ma la maniera più tradizionale è quella da passeggio, all’interno di un panino.

pizza bianca con mortadella

Pizza a taglio

Bisogna attendere la fine degli anni ’50 perché il fenomeno della pizza in teglia inizi a diffondersi nella Capitale. A iniziare, i pizzaioli più innovativi, in cerca di un guadagno maggiore e di un modo intelligente per recuperare gli impasti avanzati. Negli anni la pizza al taglio, in teglia o alla pala, è diventata uno degli street food più comuni in città, ma a dare una svolta autentica a questo mondo è stato - a Roma, in Italia e soprattutto all’estero - Gabriele Bonci, mastro pizzaiolo d’eccezione che ha rivoluzionato il modo di concepire e approcciarsi all’arte bianca. Un prodotto, dunque, di storia recente, ma che in pochi decenni è riuscito a creare un tassello fondamentale della tradizione gastronomica capitolina e – ormai possiamo dirlo – nazionale. In passato, la pizza a taglio era piuttosto croccante, sottile, ricca di condimento, ma oggi sono tante le declinazioni di questo prodotto, dai tempi di lievitazione alla tipologia di farine scelte fino, ovviamente, alle farciture. Capitolo a parte: pizza e mortazza, ovvero pizza bianca aperta a libretto e farcita con mortadella. Una classica merenda romana.

supplì

Supplì

Una crocchetta di riso al pomodoro che nasconde al suo interno un cuore di mozzarella filante: il nome deriva da una storpiatura del termine francese “surprise” (sorpresa), utilizzato dai soldati d’oltralpe presenti a Roma nell’Ottocento per descrivere la meraviglia del prodotto, che racchiudeva appunto una “sorpresa”, il ripieno di mozzarella. Da surprise si passò all’interpretazione romana “suprisa”, che si trasformò successivamente in “supprisa”, “supprì” e infine supplì. In origine il riso era condito con ragù classico o con le regaje di pollo, ma sempre più frequentemente si trovano molte golose varianti: sughi di verdure, amatriciana, cacio e pepe e via discorrendo.

trapizzino

Trapizzino

Ultimo nato tra gli street food, ma che conta tantissimi appassionati, è il trapizzino, invenzione recente di Stefano Callegari, un nome noto nel panorama gastronomico romano e non solo. Famoso per la sua pizza tonda, le sue capacità imprenditoriali, i suoi locali, i progetti innovativi in Italia e all’estero, ma prima ancora per una delle creazioni più golose e intelligenti degli ultimi anni. Un cibo da strada sui generis che ha raccolto fin da subito l’entusiasmo dei buongustai di tutta Italia, e che è entrato ormai di diritto a far parte degli assaggi irrinunciabili durante una vacanza nella Città Eterna. Il trapizzino è una tasca di pizza dalla forma triangolare croccante esternamente e soffice all’interno, ripieno con i sughi della tradizione, dal pollo alla cacciatora alla trippa, dalla lingua in salsa verde alle polpette al sugo, dalla parmigiana di melanzane alla burrata con le alici, e molto altro ancora.

grattachecca

Grattachecca

Emblema delle estati romane, la grattachecca si fa con il ghiaccio “grattato” da un singolo blocco di grandi dimensioni, unito a sciroppi di frutta. Il nome deriva dal verbo grattare e dalla parola checca con cui un tempo, prima dell’avvento dei frigoriferi, si identificava il blocco di ghiaccio usato per refrigerare gli alimenti. I primi chioschi dei “grattacheccari” hanno iniziato a diffondersi fra i vicoli trasteverini all’inizio del Novecento, periodo in cui i romani hanno preso l’abitudine di passeggiare per la città sorseggiando la bevanda fresca, una pratica che continua ancora oggi. Una sorta di street food da bere, ben presto divenuto popolare in tutti i quartieri e anche nel resto della Penisola, dov’è conosciuto come ghiacciata (grattatella a Palermo, granatina a Napoli, grattamarianna a Bari). L’usanza di grattare manualmente il ghiaccio nel tempo si è un po’ persa in favore di metodi più pratici e veloci come l’utilizzo di un tritaghiaccio elettrico, in grado di triturare il ghiaccio in piccoli pezzi, ai quali vengono poi aggiunti succhi di frutta o sciroppi.

maritozzo con la panna

Maritozzo con la panna

La variante più conosciuta, oggi, è quella con panna montata, ma la ricetta storica è quella del maritozzo quaresimale, di pezzatura più piccola e colore scuro, arricchito con uvetta, pinoli e canditi, uno dei pochi peccati di gola concessi durante il periodo di digiuno. Una delle leggende più popolari racconta che in epoca romana questi pani dolci erano il tipico dono per le donne da parte del futuro marito, chiamato col vezzeggiativo burlesco “maritozzo”. All’interno del dolce, infatti, veniva spesso inserito un anello o un oggetto d’oro come pegno d’amore. Altre storie raccontano che il maritozzo veniva preparato a forma di cuore, per essere poi offerto dalle ragazze in età da marito al giovane più bello del paese, che avrebbe dovuto prendere in sposa la cuoca migliore. In principio, comunque, era un impasto di farina, uova, miele, burro e sale, mentre oggi si prepara con farina, acqua, lievito, zucchero, latte e olio.

a cura di Michela Becchi

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