Tocia, cucina e comunità. A Venezia il collettivo gastronomico che coniuga ricerca e azione

23 Apr 2021, 13:24 | a cura di
Da un’idea di Marco Bravetti, Tocia è un collettivo gastronomico aperto alla collaborazione interdisciplinare. Attraverso la ricerca su prodotti, tecniche di recupero e conservazione, contaminazioni culinarie, il progetto mira a coinvolgere la comunità per valorizzare il territorio.

Tocia, cucina e comunità

Cuochi, osti, contadini, raccoglitori, pescatori, attivisti, ricercatori, artisti, artigiani. Tutti chiamati a ritrovarsi in un collettivo interdisciplinare fondato sulla condivisione di idee, esperienze e, soprattutto, obiettivi. L’approccio progettuale è la chiave di un gruppo di ricerca che fonda sull’azione (e sull’interazione) la possibilità di avere un impatto positivo sul territorio e sulla comunità locale. L’orizzonte di riferimento è quello di Venezia e della sua Laguna, il progetto si chiama Tocia, e da qualche mese ha trovato ospitalità presso la sede dell’associazione Spiazzi Isolab. L’idea ha preso forma poco prima che il mondo cambiasse con l’arrivo della pandemia per iniziativa di Marco Bravetti, cuoco autodidatta che ha girato diverse cucine del mondo, prima di rientrare a Venezia per lavorare al Ridotto. Proprio gli anni di vita in brigata, però, l’hanno portato a maturare un concetto di ricerca e azione gastronomica che esula dalla ristorazione convenzionale: “Ho sentito la necessità di staccare dalla cucina in brigata, volevo trovare la formula per portare avanti un lavoro di ricerca che fosse aperto a più stimoli esterni, e potesse coinvolgere soggetti diversi, facendo in modo che l’indagine gastronomica non fosse fine a se stessa. Così è nato Tocia, un progetto fondato su un approccio umanistico, che ha un’attitudine attivista rispetto al modo di vivere il territorio, interagire con la comunità e con l’ambiente naturale”.

La laguna veneziana

Ricerca e azione

Nella pratica, Tocia è riuscito a spiccare il volo proprio durante i ripetuti lockdown, in una Venezia quasi deserta, e dunque non senza difficoltà nello stabilire le relazioni di cui un collettivo creativo ha bisogno per vivere: “Ma proprio in questo contesto abbiamo trovato ospitalità da Spiazzi, dove abbiamo preso residenza allestendo una piccola cucina da laboratorio, per portare avanti le nostre ricerche. A loro è piaciuta la possibilità di sviluppare un discorso che coinvolgesse anche gli artisti locali, per riflettere sul tema della conservazione del cibo e sul rapporto tra spazio urbano e natura”. Dunque negli ultimi mesi il food lab di Tocia si è concretizzato attraverso sperimentazioni sulla materia prima e sulla possibilità di riutilizzare gli scarti alimentari, per regalargli una seconda vita; ma anche attraverso l’esplorazione del territorio lagunare, per mapparne le specie vegetali commestibili; o, ancora, indagando su tecniche di conservazione primitive, per tirarne fuori elementi di modernità. Ancora da sviluppare è invece il programma di attività che porteranno il collettivo a confrontarsi con la comunità, attraverso iniziative che coinvolgono il pubblico, come il pop up gastronomico sperimentato nel contesto del cinema galleggiante, l’estate scorsa, che si ripeterà nuovamente quest’anno, con l’arrivo della bella stagione, sempre in collaborazione con Tocia, che stavolta curerà la direzione gastronomica del festival. Intorno a Marco, nel frattempo, si è raccolto un piccolo gruppo che mette insieme un’antropologa, un artigiano designer (che realizza, per esempio, stoviglie), un contadino attivista operativo negli orti della Giudecca, e diversi interlocutori esterni che fanno ricerca presso l’università o fondazioni del territorio.

I garum di pesce

I progetti. Dal garum di Rialto al tocio

Tra i progetti che stanno prendendo forma c’è il lavoro sugli scarti del mercato del pesce di Rialto: “Abbiamo immaginato una salsa veneziana di pesce fermentato, sul modello del garum, che partendo dalla lotta allo spreco ci consente di dialogare con una realtà storica di Venezia, e di sviluppare una ricetta che in futuro potrebbe identificare la città”. Garum di seppia, di barboni, papaline, cappesante, gó, di frattaglie, teste, lische “ovvero le' Scoasse del Mercá'”.

Insaccati di mare

E il lavoro, affine, sugli insaccati da pesce della Laguna, come il cotechino di anguilla, la finocchiona di volpina, la 'nduja di seppia. Poi c’è la sperimentazione sul miso fatto con il pane avanzato nei panifici di Padova e Venezia.

Scarti del pesce da Rialto

Ma è quella sul “tocio”, che dà il nome al collettivo, la riflessione che racchiude il senso del progetto: “Tocio in veneziano è il sugo in generale. Ho lavorato su una salsa come fosse una risorsa open source, a partire da una madre su cui gli ingredienti possono stratificarsi, grazie al contributo di chi vorrà partecipare. E il nostro tocio ha finito per diventare una sorta di simbolo rituale del lavoro di condivisione, sempre interpretato con la leggerezza e la tendenza a non prenderci troppo sul serio di noi veneziani”. Presto, il prossimo autunno, questo fermento dovrebbe confluire in una fanzine, “che racconterà gli esiti delle nostra ricerche, permettendoci di comunicare con l’esterno”.

Il laboratorio di Tocia

Il menu di Cambusa Fantasma

Ma le interazioni con il pubblico, anche se rallentate dal periodo, si esprimono anche sul terreno della cucina. Il 24 e 25 aprile, Tocia – capofila di un’iniziativa che coinvolge altre tre realtà – proporrà il menu (da asporto) di Cambusa Fantasma: “Un modo per sostenere la campagna di Anpi a supporto di Mediterranea e della nave Mare Jonio, che ci ha portato a riflettere sul viaggio come fonte di ispirazione per la cucina”. La rotta è quella che dall’Africa subsahariana conduce alle coste d’Europa, sulle tracce dei migranti costretti a intraprendere il viaggio. Sul menu di Cambusa Fantasma, con il contributo di Mappamondi (e del suo chef senegalese) tutto questo si traduce in una proposta che valorizza ingredienti poco conosciuti, come il fonio, il kejax (pesce azzurro stufato, affumicato ed essiccato), il frutto del baobab, la moringa, detta anche "albero del rafano" per il suo sapore piccante, le cui foglie vengono essiccate e ridotte in polvere. Dunque un piatto della tradizione locale come risi e bisi si arricchisce con la moringa, la caponata di carciofi è arricchita da baobab e tamarindo; ma si può scegliere anche tra ravioli di Mahgreb in brodo mediterraneo, gnocchi di yucca con burro alle erbe e ricotta salata, yassaor di verdure di Sant’Erasmo. E non manca il tocio. Ognuno può comporre il proprio menu, prenotarlo e ritirarlo presso la sede di Spiazzi, il 24 e 25 aprile (informazioni sulla pagina Facebook di Tocia). “C’è la voglia di lavorare su un territorio che presenta molte complicazioni, ma ha anche grandi potenzialità. Sarebbe facile spostarsi a Milano, o Berlino. Ma Tocia nasce a Venezia perché vuole portarla a esprimere la sua identità in modo diverso da come è stato finora. Instaurando sinergie con tutti coloro che vorranno partecipare”.

https://www.facebook.com/tocia.venezia

 

a cura di Livia Montagnoli

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