Mazzafegato, il suo nome – che richiama la forte presenza del fegato tra gli ingredienti – lo identifica come un salume dal gusto deciso e caratteristico. È un insaccato tradizionale dell’Umbria, particolarmente diffuso nelle zone di Gualdo Tadino, Spoleto, Orvieto e Gubbio, che si caratterizza per essere l’ultimo salume preparato dopo tutti gli altri, quando rimangono sul bancone le carni avanzate dalle macellazioni.
La sua origine risale a tempi antichi, forse addirittura medievali, quando ogni famiglia che macellava un maiale realizzava il mazzafegato come ultimo insaccato, usando i ritagli di carne rimasti e le interiora: cuore, lingua, polmone, milza. In epoca moderna la produzione è diminuita.
Al taglio si presenta con un colore scuro e una consistenza compatta. Il sapore è intenso e varia dal dolce al sapido in base alla ricetta utilizzata, mentre il profumo è influenzato sia dalla speziatura che dal periodo di maturazione.
Viene realizzato utilizzando carne suina mista, in gran parte di seconda e terza scelta, combinata con una quantità minore di fegato tagliato a coltello, in proporzione di circa tre parti di carne e una di fegato.
Ne esistono due versioni principali: quella dolce e quella salata, che si distinguono per gli aromi usati nell’impasto. La versione dolce prevede l’aggiunta di sale, pepe, zucchero, pinoli, uvetta e scorza d’arancia, mentre la versione salata si limita a sale, pepe, pinoli e finocchietto selvatico.
Una volta condita, la miscela viene insaccata in budelli naturali e legata manualmente, con lo spago. Si formano salsicce di 10 centimetri di lunghezza e circa 3 di diametro, che vengono poi lasciate asciugare per 7-10 giorni. Dopo una fase iniziale di asciugatura, il tipo dolce può già essere gustato, sebbene spesso venga fatto stagionare più a lungo. Il tipo salato, invece, richiede almeno due mesi di stagionatura.
Nel corso degli anni sono nate diverse differenze locali: in Umbria è comune usare il finocchio selvatico locale, mentre nelle Marche, dove il salume è conosciuto anche come salsiccia matta, si usano scorze d’arancia, uva passa e pinoli per creare una versione dolce. In Toscana fa capolino la variante detta sanbudello, aromatizzata occasionalmente anche con vino caldo.
Generalmente viene cotto alla griglia o alla brace. Nella tradizione umbra si accompagna più frequentemente con verdure di campo lessate, legumi o purè di patate, insieme a un buon pane casereccio. Se stagionato, talvolta si consuma anche crudo, affettato spesso e abbinato a pane fresco.
Foto copertina credit: Facebook Alta Umbria
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