Ad Albareto, nel cuore dell’Appennino parmense e del Biodistretto delle Alte Valli, tra pendii silenziosi e foreste di montagna, una coppia di ex-cuochi ha scelto di costruire la loro azienda agricola, AmaMaja. Un piccolo paradiso familiare, un’operazione che vive di scelte precise e quotidiane, tra pascoli che cambiano colore con le stagioni e il ritmo lento della montagna. Non è un progetto convenzionale: l’allevamento etico richiede pazienza, dedizione e una presenza costante. Ogni giorno si misura con le fatiche e le sfide della conduzione di una piccola azienda e la necessità di proteggere e mantenere intatta una razza a rischio d’estinzione. Ma è proprio questa tensione, tra fatica e cura, pace e apertura, che definisce l’identità di AmaMaja e dà senso al loro lavoro.
Un tempo cuoca vegana a Parma, Giulia Rubertelli incontra Simone Andrei anche lui parte della brigata di cucina nello stesso ristorante. Dai fornelli iniziano a sognare un futuro insieme, ma diverso, legato cioè all’agricoltura. «Quando ho trovato questo casolare abbandonato ho capito subito che sarebbe stato perfetto per quello che avevamo in mente, che era inizialmente l’allevamento degli alpaca per la lana, e poi nel tempo anche vacche da latte per la produzione di formaggi», racconta Simone. Gli fa eco Giulia, «Io conoscevo già queste valli perché ci venivo da bambina, e poi da ragazza al fiume ed è sempre stato un sogno viverci. Quando Simone mi ha portato qui ho capito che avevamo trovato il nostro posto».
A dipingere l’idillico quadro prosegue Giulia, «Quando ero incinta del nostro primo figlio avevamo il sogno di prendere una vacca da latte, quando siamo andati a sceglierla abbiamo trovato Dana, che è stata da allora la nostra preferita, abbiamo scoperto che era nata nel mio stesso giorno, era un segno». Quindi, una volta individuata la terra e la casa dei sogni nel luogo del cuore, presa la mucca, inizia una vita romantica, «Facevo il bagno a Dana tutte le mattine, la mungevo al suono delle campane la domenica e da lì abbiamo deciso di far crescere la famiglia, e la mandria» sorride Giulia mentre tiene in braccio la piccola Irene e il primogenito Lucio, «Gli abbiamo dato il nome del santo patrono dei casari e protettore delle mandrie».
La mandria di AmaMaja negli ultimi dieci anni è cresciuta, eccome. Ora vive al pascolo libero, rientra in stalla solo la mattina presto per la mungitura a mano. «Quando abbiamo visto per la prima volta la vacca di razza Cabannina è stato subito un colpo di fulmine», racconta Giulia. La Cabannina è una razza indigena delle valli liguri, originaria della Piana di Cabanne, oggi ridotta a poche centinaia di esemplari e riconosciuta Presidio Slow Food. I primi capi antenati risalgono al 1650, ma la razza è in via di estinzione. È riconoscibile dall’increspatura del manto lungo la schiena. Intorno agli anni Settanta era quasi fuori legge allevarla perché si preferiva sostituire tutte le razze autoctone con razze più produttive. Gli agricoltori della zona le nascondevano nel bosco per cercare di salvarle dalla macellazione. Nel corso degli anni e pian piano se ne è ripreso l’allevamento.
È una vacca rustica, piccola, longeva e che pascola tantissimo. Produce poco, 12 litri al giorno appena, ma ideali per la produzione di ottimo formaggio. Questo per due motivi: prima di tutto per l’alimentazione varia «parliamo di foglie e frutti da alberi selvatici» spiega Simone. L’altra caratteristica unica del latte sono i globuli di grasso finissimo che rendono il latte della Cabannina molto più digeribile, paragonabile a quello del latte caprino. Peculiarità che ne influenza la lavorazione e che richiede attenzione e tecnica in caseificio. «La salvaguardia della specie, attualmente di 400 esemplari al mondo, è portata avanti da allevatori eroici liguri, e per noi rappresenta un valore da custodire», prosegue Giulia. «Noi, comprese le vitelle, ne abbiamo una dozzina. La naturale e modica produzione di latte non deve essere percepita come un limite, perché sostenere questa biodiversità ci permette di produrre formaggi di altissima qualità». In azienda si lavora a latte crudo, solo da animali al pascolo, con fermenti autoctoni e produzioni contenute.
«Siamo instancabili apprendisti, perseveranti e buongustai» prosegue Giulia. Inizialmente formati dal docente Michele Grassi che li ha avviati alla produzione di caciotte, ricotta e yogurt, negli ultimi anni hanno focalizzato la produzione su tre formaggi in particolare, «il Casòn, che è la nostra pasta semicotta a lattoinnesto in continua elaborazione; il Frontière, un simil-Morbièr nato grazie al percorso svolto presso l’Afonpeil (organismo di formazione per il settore lattiero-caseario e agroalimentare) a Mamirolle in Francia; e il Cheddar, per il quale a gennaio 2025 abbiamo fatto un periodo di lavoro nel Galles presso Holden Farm, dove si produce l’Hafod Cheddar frutto della capacità della casara Jenn Kast».
Spaziare oltre il conosciuto, imparare lavorazioni all’estero e mettersi in gioco è certamente una sfida. Ma sono passi fondamentali per trarre il meglio da quel loro asso nella manica, il loro oro bianco. «Sappiamo che il latte di Cabannina è molto particolare. Cerchiamo ogni giorno, attraverso le nostre capacità e conoscenze, di valorizzarlo il più possibile». D’inverno ci riposiamo sia noi che le nostre mucche, e vendiamo gli stagionati prodotti nel resto dell’anno, direttamente in azienda, nei mercati e a qualche ristorante.
Il percorso di AmaMaja non si limita però alla sola produzione. Nel luglio 2025 Giulia e Simone hanno fondato il gruppo Telegram Latte Crudo 4 Life, nato per condividere esperienze e affrontare difficoltà comuni. «Un gruppo che ha fatto da collante a mondi così distanti, ma allo stesso tempo così vicini», spiegano i titolari. Da quell’esperienza è nata LA.CRU., la prima associazione nazionale dedicata al latte crudo, presentata ufficialmente a Bra durante la recente manifestazione Cheese 2025.
La neonata associazione mostra forte attenzione alla sicurezza alimentare, agli elevati standard di qualità e alla prevenzione dei rischi, considerando la filiera nel suo insieme. L’associazione promuove inoltre la formazione continua e certificata per i produttori di latte crudo, estesa anche a venditori, banconisti e ristoratori associati, con l’obiettivo di completare il circuito “dal campo alla tavola” e garantire un consumo informato. Infine, LA.CRU. intende sviluppare piani HACCP specifici per il protocollo del latte crudo, aggiornati e condivisi tra gli associati. Questi piani tengono conto delle caratteristiche particolari del latte crudo e mirano a superare eventuali limiti della normativa vigente, grazie al supporto della ricerca e di esperti del settore.
AmaMaja è oggi una piccola realtà che lega la conservazione di una razza a rischio, ricerca casearia e costruzione di una comunità professionale. Ma è anche un’operazione di “cuore”. «Ci consideriamo i custodi della fattoria Amamaja, proseguendo il cammino dei nostri nonni, mezzadri e contadini che hanno sempre vissuto a stretto contatto con la terra e con gli animali. Il nostro lavoro si fonda sulla ricerca continua del miglior equilibrio naturale possibile». Quella di Giulia e Simone è una quotidianità fatta di prove e pazienza, di gesti importanti, con il motore della passione sempre a mille. Da questi gesti quotidiani scaturiscono risultati e soddisfazioni che crescono nel tempo. Un lavoro che lascia sul tavolo formaggi buoni e sani e, insieme, il segno discreto di una scelta: mantenere viva la sacra biodiversità del loro piccolo paradiso.
Per approfondire la tradizione casearia delle valli del parmense e vedere da vicino le tecniche di produzione dei formaggi straordinari di AmaMaja, la stagione 2 di Cheese Hunters in Emilia-Romagna è disponibile in chiaro sul digitale terrestre al canale 257, e in diretta su gamberorosso.tv
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