Il veganismo, da che doveva presentarsi come una rivoluzione tra i movimenti alimentari e culturali più rilevanti con un’identità etica legata alla tutela dell’ambiente e al rispetto degli animali, rischia oggi di trasformarsi in un semplice business legato a prodotti ultra processati. Una riflessione, questa, che il grande chef basco Andoni Luis Aduriz del ristorante Mugaritz ha messo nero su bianco in un recente commento pubblicato sul quotidiano spagnolo El Pais: «Il movimento vegano, originariamente adottato non per ragioni economiche, ma per etica e per vivere secondo principi, oggi promuove riviste e fiere commerciali, investimenti multimilionari, round di finanziamento e raccoglie milioni di investimenti che attendono la loro fetta della torta vegana».
Il mercato degli alimenti vegani è in forte espansione e attira capitali, fondi di investimento e grandi marchi della distribuzione. Ma la sua crescita, avverte Aduriz, non sempre coincide con i principi originari. Sempre più spesso i prodotti in vendita, invece di promuovere la ricchezza dell’universo vegetale e le varietà agricole tradizionali, si limitano a replicare la forma e il gusto dei cibi animali come nel caso hamburger e nuggets “veggie” che cercano di imitare gli originali.
Il risultato è una nuova ondata di alimenti ultraprocessati, ben lontani dall’idea di cucina sana e naturale che, a detta di Aduriz, aveva animato il movimento. Anche le catene di fast food hanno inserito versioni “veg” nei propri menu, senza mettere in discussione i modelli produttivi che il veganismo intendeva criticare. Il paradosso, secondo lo chef, sta nel fatto che oggi la stessa industria che per decenni ha spinto carne e latticini ora cavalca la moda plant-based. Supermercati e catene di fast food lanciano linee vegane senza modificare i propri modelli produttivi, trasformando un atto etico in una strategia di marketing. Una contraddizione che indebolirebbe il senso originario del veganismo, nato, a suo avviso, come scelta di rottura con il sistema alimentare dominante.
«È deplorevole – scrive lo chef – che, invece di sfruttare questa opportunità per promuovere varietà vegetali e preservare il maggior numero possibile di semi di cultivar antiche, la cultura del no food venga propagata sotto forma di hamburger, nuggets, panini, pizze, caramelle, formaggi, gelati, creme spalmabili e dessert. Ancora una volta, la battaglia per un mondo diverso e più giusto viene persa dalla cultura, a causa dell’avidità degli interessi economici, attraverso la strada della convenienza».
Secondo Aduriz, questa deriva rischierebbe sostanzialmente di cancellare la ricchezza delle tradizioni vegetali, delle varietà agricole dimenticate e delle ricette radicate nella cultura locale. Al loro posto avanza una sorta di “non-cultura del cibo”, fondata sulla standardizzazione industriale e sulla comodità di prodotti pronti al consumo. In altre parole, la battaglia per un’alimentazione più giusta e sostenibile sta diventando terreno fertile per la stessa logica di profitto che, a suo dire, il movimento avrebbe dovuto contestare. Il rischio è che, quindi, il veganismo smarrisca la sua forza etica originaria e si riduca a un marchio commerciale, più vicino alle logiche di mercato che a un reale cambiamento sociale.
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