Ristoranti

Omakase, ma con anima: il giapponese che mancava a Milano

Ecco come si mangia nel nuovo ristorante giapponese che ha aperto il 1° ottobre in zona Porta Venezia: dodici ospiri, gli chef Hirohiko Shimizu e Daigo Wakui dietro al bancone e una materia prima eccelsa

  • 08 Ottobre, 2025

C’è ancora spazio a Milano per un nuovo giapponese di alto livello? E la formula omakase non rischia di stancare? Mi ponevo queste domande recandomi in via Alvise Cadamosto per provare un nuovo ristorante nipponico, Sushi Matsu Omakase, con un filo di scetticismo. Domande che, all’uscita dal locale mentre una pioggerellima ticchettava su quella tranquilla strada non lontana da corso Buenos Aires, erano state spazzate via. Sì, di un posto come Matsu c’è un maledetto bisogno, come di ogni cosa eccellente, sempre.

La sala di Sushi Matsu

Appena aperto

Matsu ha aperto lo scorso 1° ottobre. Formula omakase nella sua versione più secca e geometrica, senza compromessi. Un bancone in legno chiaro con 12 coperti, davanti due chef, l’esperto Hirohiko Shimizu (un passato da Basara e una bella chiacchiera) e il più giovane Daigo Wakui, ad armeggiare con bellissimi coltelli di varie fogge, con l’elegante patròn Taka Matsu a vigilare e un paio di ragazzi a correre elegantemente per la sala. Sul muro una grande scritta in ideogrammi: “Ogni incontro è irripetibile”, traduce Shimizu e scoprirò presto che l’arte dell’incontro è uno degli ingredienti più importanti del locale. Le regole dell’omakase  le sapete, e se non le sapete eccole: si mangia tutti alla stessa ora (qui si fanno due turni la sera, uno alle 19 e uno alle 21,15), chi arriva tardi è guardato male il giusto, e ci si lascia sorprendere da quello che il mercato ha riservato quel giorno, perché la materia prima eccelsa è fondamentale per la riuscita dell’impresa.

Hirohiko Shimizu all’opera

Percorso rigido

Se il contenuto di ogni momento è non definito, il palinsesto delle portate è però prefissato: si inzia con gli Otsumami, una selezione di piccoli antipasti di stagione (ad esempio un trionfale Sashimi di tonno marinato nella soia, e non avevo mai pensato il tonno potesse parlare, il Fegato di rana pescatrice con salsa ponzu, poi il Cestino di gioia, gambero rosso di Mazara, riccio di mare, uova di salmone, caviale e foglia d’oro), poi una selezione di sashimi, quindi lo Yakizakana, il pescato del giorno cotto alla griglia (nel mio caso un Wagyu A5 della prefettura di Miyazaki, sale giapponese aromatizzato alla capasanta, un carnosissimo Branzino con polvere di yuzu, una Ventresca di tonno con foie gras). Poi chef Shimizu ci mostra delle scatole in legno chiaro dove sono disposti geometricamente dei tagli di pesce e di carne: sono gli elementi con cui lui e Wakui prepareranno con rara perizia una sfilza di Nigiri che metteranno su un piatto che ognuno di noi ha davanti a sé con la raccomandazione (che assomiglia quasi a un ordine) di mangiarlo al più presto come segno di rispetto per chi ha pescato quel pesce e per chi lo ha lavorato: tonno, pesce balestra, ventresca, sgombro, gamberone giapponese, wagyu, mazzancolla, tutto ai massimi gradi di espressività. Infine un Hand roll, un rotolo di alga nori con dentro riso, tonno rosso e cipollotto. E un dolce, un Montblanc al tè matcha.

Un nigiri appena preparato

Grandi bellezze

Altre cose magnifiche: l’atmosfera che si crea tra i commensali, e va bene che dodici a tavola ad ascoltare un leader fa tanto ultima cena (senza nessuno a tradire, però) però alla fine tutti parlano con tutti, anche le coppiette che forse erano in cerca di intimità (posto sbagliato, comunque). La simpatia di Shimizu, il classico giapponese che finge di non parlare bene l’italiano solo per poi spiazzarti con una raffica di motteggi e di “guaglio’”. Il vasellame che davvero incanta, centinaia di pezzi di ottima fattura che impreziosiscono ogni momento. E il mobile in legno con strane maniglie che è alle spalle degli chef: scopriremo che si tratta di un tradizionale frigorifero giapponese, che conserva gli ingredienti con il ghiacchio, facendo così a meno dell’energia elettrica. Greta ringrazia.

La sala

Sì, ma quanto costa?

Punto dolente (c’è sempre un punto dolente) il prezzo. Il menu costa 160 o 220 euro a seconda della qualità degli ingredienti (la cosa non è chiarissima) naturalmente senza vino (a proposito: notevole collezione di bollicine nobili, grandi bianchi e qualche rosso, oltre al sake). A pranzo 100. Intendiamoci: l’esperienza e la qualità della materia prima, il numero ridottissimo di commensali e anche la felicità media lorda rendono la spesa congrua ma certo non è per tutti. Spiace.

Sushi Matsu Omakase è in via Alvide Cadamosto 7 ed è chiuso il lunedì e la domenica. Gli altri giorni aperto a pranzo e a cena

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