Le culture alimentari delle epoche preindustriali erano profondamente vincolate ai cicli naturali di luce e oscuritร , di caldo e freddo; dovevano insomma adattarsi al ritmo scandito da solstizi ed equinozi. Proprio in un momento cruciale di tali cicli, il solstizio dโinverno, secondo la tradizione cristiana sarebbe nato a Betlemme Gesรน di Nazareth. I credenti โ e molti scettici โ cresciuti nella cultura cristiana celebrano la sua venuta al mondo con generosi banchetti, che si consumano preferibilmente in famiglia e comportano un ritualizzato scambio di doni. Quando Gesรน fece la propria apparizione terrena, era il tempo della pax romana e del regno di Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto (27 a.C.โ 14 d.C.).
Nella Roma dellโepoca, proprio verso la fine di dicembre si celebrava una festa molto sentita, quella dei Saturnalia, dedicata โ lo rivela il nome โ al dio Saturno, associato allโagricoltura e alla prosperitร , simbolo di un tempo mitico caratterizzato da abbondanza, uguaglianza e pace. A quel che ne sappiamo, in origine la celebrazione durava un giorno appena (17 o 26 dicembre, le fonti non sono unanimi); fu proprio Augusto a stabilire che si dovesse estendere a tre giorni, per essere poi portata a unโintera settimana nei decenni successivi (17-23 dicembre). Cosa cโera da festeggiare? Il sole, che dopo un lungo calare si riprende; invincibile e invitto (sol invictus) risorge al momento del solstizio. La nuova religione cristiana avrebbe reinterpretato il momento nel Natale di Cristo, nuovo sole di salvezza, invincibile e risorto come lโastro del cielo.
Quando il sole iniziava a calare, nella Roma precristiana come in tanti altri luoghi e tempi di un mondo antico, il raccolto era compiuto, bene o male che fosse andata. Per affrontare lโinverno bisognava fare conto sulle riserve, compresi gli animali, non tutti destinati a sopravvivere alla stagione fredda. Ve ne erano di sacrificabili: le galline che giร avevano dato molte uova (saggezza popolare insegna che quelle piรน vecchie โfanno buon brodoโ), i galletti castrati trasformati in capponi, le mucche e i buoi che avevano fatto il proprio tempo, i maiali ben ingrassati.
La festa andava preparata, attesa anche con qualche sacrificio alimentare che consentisse poi di godere a pieno dellโabbondanza. Lo testimoniano i complicati calendari di digiuno e astinenza del Medioevo cristiano, i quali avrebbero sempre preteso che il 25 dicembre non si dovesse rinunciare a nulla. Il giorno di letizia andava salutato rendendo omaggio persino a un sobrio e moderato appetito, a patto di non eccedere nel peccato di gola. Torniamo dunque allโavvento, prima e dopo lโanno zero, per dare spazio a verdure e pesci, va bene anche se prelibati come lโanguilla cotta e conservata con lโaceto, specie la femmina di grande taglia: il capitone. Quanto al maiale, la sua uccisione era e tuttora รจ seguita dal competente lavoro dei norcini, che del sacrificato non buttano via nulla, trasformandolo in una abbondante quantitร di cibarie, alcune delle quali vanno consumate nel volgere di pochi giorni, mentre altre si possono conservare a lungo. Tra quanto si deve mangiare subito o quasi ci sono alcuni impasti di carne e grasso, insaporiti da sale e spezie, avvolti in suini involucri fatti della pelle (cotechino) o della zampa (zampone). Tutto torna. La frutta in pieno inverno non si raccoglieva, era il periodo in cui andava lasciata maturare. Certo, nei tempi remoti i ricchi potevano stupire i commensali presentando sulla tavola del banchetto qualche raro pezzo dโimportazione (agrumi provenienti dal Meridione, per esempio), ma la soluzione piรน frequente era pur sempre quella di consumarne e offrirne di secca.
Presepe artistico napoletano
Nel rinnovamento gastronomico cristiano, molti alimenti sarebbero rimasti al proprio posto, pur nella modifica delle preparazioni culinarie, trasformate attraverso lโutilizzo di nuove spezie o la sempre piรน frequente comparsa di paste e pastine per i brodi. Del resto, bisognava pure adattarsi a nuovi palati, nuovi gusti. Ma non cโera solo il banchetto a caratterizzare il trionfo dellโetร dellโoro augustea, che richiedeva anche particolari rituali: la sospensione di determinate regole sociali, se non addirittura la loro inversione, tanto che per un tempo limitato i padroni erano chiamati a servire i propri schiavi. Non mancavano poi i giochi e gli scambi di doni (spesso piccoli oggetti simbolici come candele o statuette). Le case e le strade venivano decorate con rami verdi, ghirlande e luci, in unโatmosfera di grande allegria e tolleranza.
Non erano perรฒ solo i Romani, non sarebbero stati perรฒ solo i cristiani a celebrare il giorno piรน corto dellโanno, lโinizio dellโallungamento delle giornate, la fertilitร e lโabbondanza. Di queste feste la storia รจ piena, seguire le tracce anche di alcune soltanto ci consente un avventuroso viaggio, nel tempo e nello spazio.
Spostiamoci nel sudovest degli Stati Uniti, sugli altipiani dellโodierna Arizona settentrionale, dove prima dellโarrivo dei colonizzatori europei vivevano e ancora oggi vivono, ridotti nel numero, gli Hopi. Sono i membri di una nazione nativa americana appartenente alle genti pueblo, agricoltori che per il proprio sostentamento contavano principalmente su mais, fagioli, zucca e melone. Avevano dunque bisogno del sole, e le loro cerimonie ne tenevano conto; quella di Soyal, per esempio, che durava ben sedici giorni, quasi quanto le vacanze natalizie nelle nostre scuole. Soyal segnava proprio il momento in cui il sole ricomincia a salire nel cielo (un risveglio piรน che una resurrezione), portando con sรฉ lโauspicio di una nuova stagione di crescita e di feconditร .
La festa prevedeva rituali di purificazione perchรฉ il popolo dei fedeli, cosรฌ come il sole, si rinnovava; per farlo doveva liberarsi delle influenze negative dellโanno trascorso e preparare lo spirito al cammino indicato da quello in arrivo. Danze, canti e oggetti sacri servivano a invocare le forze spirituali della natura a protezione della comunitร e a garanzia del ritorno del ciclo vitale delle stagioni e, di conseguenza, dei raccolti. Queste forze spirituali, i kachina, ricevevano in dono spighe di mais, scendevano dal loro regno sulla Terra e visitavano il popolo eletto proprio nel periodo di Soyal.
Assumevano forma umana, maschile o femminile, ed erano considerate benevole, in quanto associate a fenomeni naturali come la guarigione dei malati, la pioggia e la crescita delle piante. Per di piรน, quando apparivano, lasciavano dietro di sรฉ cibo e doni per i bambini. Luogo predisposto alla celebrazione dei rituali erano delle camere speciali (kiva), di norma quadrate e sotterranee, nelle quali non tutti erano ammessi e dove si trovavano bastoni di preghiera (pahos) costruiti con piume legate e aghi del pino pinyon. Ma non bastavano i gesti e le cose, per completare il cerimoniale non poteva mancare il cibo, oltre a quello regalato ai e dai kachina: il piki, per esempio, un tipo di pane sottile fatto di farina di mais blu (conosciuto anche come mais Hopi, testata dโangolo di quella cultura alimentare), mischiato con le ceneri delle bacche di ginepro e cotto su pietre calde.
La rappresentazione del tradizionale Inti-Raymi degli antichi Inca, a Cuzco in Perรน
Non per tutti, perรฒ, il solstizio dโinverno cade in dicembre: cโรจ tutto un mondo sotto lโequatore, un mondo del quale fanno parte, per esempio, gli Inca, popolo delle Ande. Per loro il cammino del sole riprende a fine giugno, quando in calendario ancora รจ segnata lโantichissima festa dellโInti Raymi, momento fondamentale della preparazione dei campi per la nuova semina. Inti รจ la parola quechua per indicare il sole, un dio che richiedeva e meritava le sacrosante invocazioni perchรฉ garantisse buoni raccolti e benedizioni per quanti lo imploravano, ma allo stesso tempo andava ringraziato per quanto aveva concesso nellโanno appena trascorso. Come per gli Hopi, il riallungarsi delle giornate rappresentava un risveglio piรน che una resurrezione, da salutare con il sacrificio di un lama bianco, simbolo di purezza e fertilitร ; con danze rituali ballate indossando abiti speciali; con una processione che attraversava la capitale dellโimpero, Cusco, alla quale partecipava il sovrano (Inca).
Protagonista principale nei piatti del banchetto era il mais, dono di Inti al popolo; lo era anche nei bicchieri, riempiti di chicha, prodotto della fermentazione proprio del mais. Ci sono altri piatti, perรฒ, ad allietare una festa che ancora oggi si celebra (passiamo per questo dallโimperfetto al tempo presente), in un misto di omaggio ad antiche memorie e presentazione di attrattive per turisti. Pensiamo al chiriuchu, preparazione emblematica della regione di Cusco, il cui nome giร dice tanto, composto comโรจ da due parole quechua,ย chir (freddo) eย uchuย (peperoncino). Gli ingredienti sono una combinazione delle tre regioni del paese: costa, sierra (montagna) e selva (foresta), cosa che ne fa un piatto dove cโรจ di tutto un poโ. La tradizione racconta che al tempo dellโimpero inca (Tahuantinsuyo) gli alimenti necessari alla preparazione del chiriuchu fossero portati dalle quattro parti dellโimpero (Suyos) proprio per essere offerti al dio Inti al momento del solstizio. La loro lista รจ lunga: gallina bollita, porcellino dโIndia (cuy) al forno, charqui (carne essiccata di varia provenienza), tortillas o frittelle di farina, mais tostato, patate, formaggio, sanguinaccio, alghe marine, insaccati suini, uova di pesce e peperoncino rocoto.
La storia non deve procedere forzando similitudini, ma neppure lo puรฒ fare ignorandole. Banchetti, danze, doni, rinascite, astriโฆ sono tutti segnavia del cammino di uomini e donne, che al momento del solstizio dโinverno si riscoprono uniti nel comune destino della dipendenza dal raccolto e, in ultima analisi, dal cibo che li tiene in vita.
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