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Le controversie sull'Ozempic, il farmaco che ha sostituito la dieta promosso anche da Serena Williams

Dal diabete all'invito a dimagrire dopo la gravidanza: il simbolo di un nuovo culto del corpo (che non ci piace)

  • 11 Settembre, 2025

La dieta è la più antica delle religioni laiche: penitenze a tavola, peccati di gola, redenzioni temporanee e ricadute inevitabili. È un teatro dell’anima, non dello stomaco. Perché il grasso non è solo questione di forchetta, ma di testa: di ansie, di abitudini, di come impariamo a specchiarci. Spesso è l’uso che facciamo del cibo a tormentarci: consolazione, punizione, compagnia. Dunque, ogni scorciatoia che ci promette di liberarci dal tormento della rinuncia viene accolta come un miracolo. L’ultimo oracolo si chiama Ozempic (ne abbiamo qui e qui), e a officiare la liturgia è addirittura la tennista Serena Williams in uno spot pubblicitario che la vede sorridere mentre affonda un ago nella pancia. La stessa atleta ha raccontato di averlo utilizzato per dimagrire.

Il nuovo culto

Un’icona di forza e vittoria, madre e atleta, piegata al nuovo culto? Non il muscolo, non la resistenza, ma la snellezza. Il claim è già catechismo: “Il farmaco di cui avevo bisogno dopo due gravidanze non è una scorciatoia, è scienza”. Peccato che la scienza in questo caso nasca per altro: Ozempic è un farmaco per il diabete di tipo 2, e solo da qualche anno – negli Stati Uniti già dagli anni 2010 – ha cominciato la sua carriera parallela come dimagrante, off-label, nelle mani di chi vuole risultati rapidi.

Ma qui non si parla solo di chimica: si parla di cultura. Il farmaco diventa trucco, la terapia diventa cosmetico, la salute diventa estetica. La gravidanza un problema da risolvere, un fisico da sistemare ex post (un riferimento davvero spiacevole da promuovere in uno spot pubblicitario). Un corpo come quello di Serena Williams, capace di riscrivere la storia dello sport, deve ancora sottoporsi al giudizio della bilancia, all’ansia del nutrirsi, come se le vittorie non bastassero. Lei stessa ha rivelato di averlo usato, nulla da sindacare, ma Non è la glicemia a guidare la scelta, ma il bisogno di mostrarsi compatibile con uno standard visivo che divora ogni diversità. Per le donne, quasi un’ossessione.

La pubblicità compie il resto del lavoro: sterilizza il gesto clinico, lo rende desiderabile, lo ribattezza routine di bellezza. E così il farmaco, nato per ridurre un rischio medico, diventa la risposta a un disagio culturale. Non più: “Sto meglio”, ma: “Appaio meglio”. Non più prevenzione, ma prestazione. È la medicina che indossa i panni dell’estetista. E il cibo? Il rischio è quello di considerarlo un nemico.

E allora diciamolo: le diete sono dure, ma almeno ci costringono a un rapporto col cibo, col tempo, con la fatica. L’iniezione, invece, è muta, cancella il conflitto e mette in scena la soluzione perfetta; rapida, silenziosa, invisibile. Non ci libera dal peso, ci lega a un’idea di bellezza che non ha nulla di salutare. Un’idea che non nutre, ma consuma. Vogliamo davvero un futuro in cui l’ago sostituisca il piatto e uno spot decida cosa significa stare bene?

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