Lama Obeid scrive da Ramallah, in Cisgiordania. Attraverso il cibo racconta cosa significa vivere sotto occupazione: non in astratto, ma partendo da ciò che succede nelle case, nei forni ricostruiti con il fango, nei mercati svuotati. Ogni suo testo tiene insieme memoria familiare e realtà politica, restituendo l’esperienza palestinese nei dettagli di una ricetta. La cucina – come racconta anche nella newsletter pubblicata su Feminist Food Journal – è una forma di resistenza quotidiana, ma anche un modo per dire al mondo che il popolo palestinese esiste ancora.
Lama Obeid è una giornalista e scrittrice gastronomica che utilizza la cucina come linguaggio per parlare di identità, radicamento e violenza coloniale. Nella sua newsletter, pubblicata su Substack, raccoglie ricette, frammenti di vita quotidiana e cronache da Gaza, dove il pane è diventato un lusso e cucinare può costare la vita. I suoi testi compaiono su riviste internazionali come The New Arab e Palestine in America , ma il cuore del suo lavoro è proprio la newsletter. Per lei, salvare le ricette palestinesi non è solo una questione di memoria, ma un modo per affermare l’esistenza di un popolo che continua a vivere, cucinare e resistere: «Le nostre ricette raccontano al mondo la nostra storia, la nostra causa e il fatto che esistiamo.» leggiamo nel suo articolo per The New Arab.
Ogni ricetta che Lama pubblica è anche una storia. In War Maqlouba, immagina un gruppo di giornalisti a Gaza che si scambiano messaggi in una chat per cercare di cucinare qualcosa insieme, con gli ingredienti che si riescono a trovare. La ricetta prende forma tra una battuta amara e una notizia dal fronte, tra il tentativo di rendere il cibo commestibile e la voglia di mantenere un rito quotidiano anche quando nulla è più quotidiano. In Fatteh Adas during Genocide, Lama intreccia la preparazione di una ricetta a base di lenticchie con il racconto di come, in Cisgiordania, si assista alla guerra da lontano. Il piatto viene servito su un grande vassoio, accompagnato da olive, cipollotti e limoni, mentre in salotto scorrono le notizie da Gaza.
Il cibo non serve a distrarre, ma a rimanere. È un gesto che tiene insieme la comunità, anche in un tempo in cui la comunità viene minacciata nella sua stessa esistenza. In Rebuilding Palestine one Recipe at a Time, Lama racconta di come, il giorno dopo una tregua, sua nonna Teta Mariam abbia svegliato lei e sua sorella per cucinare il mussakhan. “Attraverso questa ricetta ricostruiremo Gaza”, dice. Lama e sua sorella si mettono a cucinare accanto a due forni di fortuna, tra le rovine della casa. Tagliano le cipolle, versano l’olio d’oliva, sistemano i pezzi di pollo sulle focacce di taboun. La normalità, se così si può chiamare, passa di lì.
Lama Obeid ha documentato in dettaglio cosa significa, oggi, fare il pane a Gaza. Un gesto quotidiano che inizia con la ricerca della farina — introvabile, o venduta a cifre fuori portata — e prosegue con la costruzione di forni artigianali e la raccolta della legna per accenderli. Un sacco da 25 kg può arrivare a costare 700 dollari. Chi decide di andarlo a cercare a piedi, attraversando la Striscia da nord a sud, lo fa sapendo che potrebbe non tornare. Per questo molte persone viaggiano in gruppo, con accordi precisi: se uno muore, gli altri porteranno la farina alla sua famiglia.
Quando le panetterie sono state colpite dai bombardamenti — all’inizio del 2024 ne risultavano attive solo 15 — le persone hanno iniziato a ricostruire forni con materiali di fortuna: fango, paglia, metallo, taniche. In alcuni casi, i libri di scuola sono stati usati come combustibile. Lama raccoglie questi racconti senza retorica. Scrive per mostrare, per far vedere cosa succede quando cucinare diventa una scelta tra il pane e i libri.
Il 29 febbraio 2024, durante una distribuzione di aiuti alimentari, decine di civili sono stati uccisi mentre tentavano di recuperare farina. Lama scrive: Shots are heard as bodies fall to the ground. Flour is mixed with blood. The blood of heroes. «Si sentono spari mentre i corpi cadono a terra. La farina si mescola al sangue. Il sangue degli eroi.».
Oltre a scrivere, Lama raccoglie e rilancia le storie di altre donne palestinesi che custodiscono e tramandano la propria cucina. Tra queste c’è Mona Zahed, che ha pubblicato Tabkha: Recipes from Under the Rubble, un libro di ricette scritto da una tenda, dopo essere stata sfollata dalla sua casa. Le ricette, in questo contesto, non sono semplici trascrizioni, ma atti di resistenza culturale: affermano un’appartenenza, restituiscono un’identità. Allo stesso tempo, Lama denuncia le forme di appropriazione che trasformano piatti palestinesi in “israeliani” o genericamente “mediorientali”, mostrando come la cancellazione linguistica si intrecci a una più ampia cancellazione politica e territoriale. La sua newsletter è, a tutti gli effetti, un archivio vivente dove raccontare la Palestina non solo come spazio ferito, ma come spazio vissuto.
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