In Russia? “Come se la pandemia non ci fosse”. Ecco come va per i ristoranti

17 Mar 2021, 14:29 | a cura di
Dalla fine di gennaio, nonostante il numero di contagi resti elevato, la Russia ha riaperto scuole, negozi, attività di ristorazione, teatri, forte anche di una campagna vaccinale che procede spedita. E a Mosca la gente è tornata a frequentare i ristoranti, senza limitazioni.

Il Covid in Russia. Contagi e vaccini

All’inizio di marzo, i contagi da Covid a Mosca hanno subito un’evidente impennata, con l’Rt abbondantemente sopra l’1, picco più elevato dallo scorso dicembre. Situazione analoga a San Pietroburgo, che a distanza di due settimane continua a essere la seconda città più colpita della Russia dopo Mosca: solo nella capitale, gli ultimi dati giornalieri parlano di oltre 1500 nuovi casi di contagio, con oltre 50 decessi e 64500 casi attivi sotto osservazione. Eppure in città, come nel resto del Paese, la vita è praticamente tornata alla normalità, già dai primi giorni del 2021. Dall’inizio della pandemia, secondo il Centro per la lotta al Coronavirus della Federazione, la Russia ha registrato oltre 4 milioni e 409mila contagi accertati, e poco meno di 93mila decessi totali (di cui 443 nelle ultime 24 ore). Leggendo l’incremento dei decessi avuto nell’ultimo anno nel Paese, però, realisticamente il numero dei morti per coronavirus salirebbe ben oltre.

Nel frattempo, la campagna vaccinale avviata alla fine del 2020 grazie allo Sputnik V ha già raggiunto, con entrambe le dosi, soltanto 3,5 milioni di persone, su una popolazione di circa 145 milioni di abitanti: “Nessun altro Paese europeo ha finora vaccinato completamente tre milioni di persone. La Russia, insieme a Cina, Usa, India e Israele è tra i primi cinque Paesi al mondo per numero di persone vaccinate”, sostiene tuttavia orgoglioso Kirill Dmitriev, direttore del Fondo russo di Investimenti diretti. Eppure, come dimostrano le rilevazioni quotidiane, il virus continua a circolare ampiamente nelle grandi città russe (ma per la capitale fonti ufficiali parlano di un decremento di almeno cinque volte rispetto al picco di fine 2020), anche per effetto di un ritorno alla normalità che visto dall’esterno ha dello straordinario.

La sala di Balzi Rossi a Mosca

Il ritorno alla normalità di Mosca

A Mosca, il sindaco Sergei Sobyanin ha revocato la quasi totalità delle misure restrittive già alla fine di gennaio, partendo dall’assunto che, ormai, oltre la metà dei moscoviti, su 12 milioni di abitanti, sarebbe immune al virus (a sostenerlo sono le autorità sanitarie russe). “La pandemia è in declino. In queste condizioni è nostro dovere creare le basi per un recupero economico il più rapido possibile, in primo luogo per i settori più colpiti del mercato dei consumi”, spiegava il primo cittadino della capitale un mese e mezzo fa. E così è stato. Ripreso il lavoro in presenza in aziende e uffici, come pure la scuola; riaperti a pieno orario negozi, ristoranti, bar, locali notturni, nuovamente in attività musei, cinema e teatri. Dall’inizio di marzo, inoltre, anche agli over 65 e ai malati cronici è nuovamente permesso uscire liberamente (restrizione precedentemente avallata dall’amministrazione cittadina). L’ultimo limite, prossimo a cadere, vincola le grandi manifestazioni – come i concerti che normalmente accolgono decine di migliaia di persone – a contenere i numeri. Mentre resta l’obbligo di indossare la mascherina nei negozi e sui trasporti pubblici. Ma la gente è tornata ad affollare le strade e di sera esce volentieri, rintanandosi in pub, ristoranti e club per sfuggire alle temperature inclementi.

Emanuele Mongillo

Un ristorante italiano a Mosca: Balzi Rossi

Cosa significa questo per il settore della ristorazione? Emanuele Mongillo vive e lavora a Mosca da diversi anni, in qualità di chef del ristorante Balzi Rossi, satellite dell’omonimo locale di Ventimiglia, in Liguria. Originario di Puglianello, in Russia gestisce una brigata quasi completamente italiana per dar vita a una delle migliori tavole tricolore d'autore all'estero: “In Russia abbiamo subito un lockdown più breve di quelli imposti altrove. La chiusura completa del ristorante non è durata per più di tre settimane, poi abbiamo lavorato al 50% della capienza per una decina di giorni. L’ultimo limite a cadere è stato quello orario: fino a gennaio, capodanno compreso, ci è stato vietato di lavorare oltre le 23. E per come funziona la ristorazione a Mosca, dove al ristorante trascorri anche il dopocena, come fosse un club, la restrizione si è fatta sentire: se deve uscire solo per cena, la gente resta a casa. Ma dalla fine di gennaio è caduto ogni divieto”. Di fatto, quindi, il lavoro ha risentito di un calo solo nel periodo compreso tra novembre e dicembre, quando anche parte del personale è rimasto a casa, “in relazione alla riduzione dei coperti”.

Nessuno ha paura del virus

Oggi, e ormai da più di un mese, i clienti sono tornati a frequentare assiduamente il ristorante: “Entrano con la mascherina, la tolgono al tavolo, ci presentano il qrcode che attesta il loro pregresso col virus: se hanno già contratto la malattia, per esempio. Qui il sistema ha preso piede. E bisogna ammettere che anche il periodo di lockdown è stato osservato con grande serietà: breve, ma intenso”. Il ripristino della normalità si percepisce anche nel comportamento delle persone: “Non c’è paura, i russi credono molto nel vaccino. E sicuramente il sentore comune ha spinto a far ripartire quanto prima l’economia. Qui lo stipendio medio è basso, nessuno vuole fermarsi troppo a lungo”. Insomma, meglio rischiare di contrarre il virus, che morire di stenti. Questo non significa abbassare la guardia, almeno non da Balzi Rossi: “Ci sottoponiamo ogni due settimane al tampone, i camerieri indossano la mascherina, manteniamo una buona distanza tra i tavoli, perché il locale è grande, e possiamo permettercelo. Certo, non dappertutto è così”. Ma, del resto, la legge non impone distanziamento, “anche se i russi, per abitudine, tendono a rispettare molto lo spazio degli altri, quindi è raro sentirsi in pericolo”.

Il problema delle importazioni

Più complesso, invece, è l’approvvigionamento di materie prime. Nell’ultimo anno, per diversi fattori interni ed esogeni – non ultima la pandemia – il costo del cibo in Russia è cresciuto in modo evidente, con serie ricadute sul potere d’acquisto. Ma a preoccupare, nelle ultime settimane, è un’impennata ancor più eclatante del prezzo dei prodotti importati: “Parliamo di un incremento pari al 20-25%. C’è grande dibattito, i ristoranti si dicono pronti ad aumentare i prezzi. Anch’io ho sempre più difficoltà a reperire prodotti italiani, fortunatamente ci sono realtà locali che hanno iniziato a lavorare con serietà: a Mosca ormai si producono persino latticini di qualità grazie al lavoro di casari italiani”.

a cura di Livia Montagnoli

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