"Italo Disco? Non solo Hit, ora ne ho fatto anche un panino", intervista a Stash dei The Kolors che racconta il suo locale Calamore di Capri

20 Set 2023, 10:58 | a cura di
Dal panino Italodisco al cuoppokè, a Capri il pesce è pop. Intervista a Stash dei The Kolors che sull’Isola Azzurra ha aperto Calamore

Questa non è Ibiza (cit.), ma è “semplicemente” Capri. Sì, perché in maggio ci eravamo già occupati della nuova apertura di Capri , Calamore, a cura di Stash dei The Kolors, un format gastronomico che vira l’attenzione tutta sul pesce. Dal panino Italodisco (che richiama il nome del suo ultimo singolo) al cuopPokè, il frontman dei The Kolors, in collaborazione con Manuel D’Alessandro di Le Frit c’est chic, già conoscenza di Gambero Rosso, in circa 40 metri quadri di posto fra un bar e l’altro offre piatti di mare con proposte che hanno solo due prezzi, 12 o 15 euro.

Sul dietro le quinte di questo progetto, abbiamo fatto due chiacchiere proprio con Stash che ci ha raccontato tutto per filo e per segno.

 Come è nato questo progetto e questa conoscenza con Manuel?

Questo progetto è nato nella maniera più spontanea e genuina che io conosca, come quando componi una canzone perché ti senti ispirato. Lo scorso anno ero in Abruzzo con la mia compagna e le bambine in una pausa tour. Facemmo un giro sulla Costa dei Trabocchi e avendo a disposizione solo qualche ora mi confrontai con Giulia, la mia compagna, che delle zone di Fossacesia e San Vito in Chietino è pratica, per trovare un posto dove prendere qualcosa da mangiare e godercela all’aperto e lei mi disse: “Credo di conoscere un posto che ti stupirà”, e mi portò al locale di Manuel (Le Frit c’Est Chic, ndr) che è una gastropescheria. Scesi al volo, presi delle specialità marinate, insalata di polpo, frittini e rimasi sconvolto positivamente dalla qualità.

E qual è la prima cosa che hai pensato?

Tra me e me, dissi: “Ma com'è possibile che questa roba qui così bella, forte e potente non è il must gastronomico di tutti i posti di vacanza d’Italia?”. E forse proprio lì, nel retro della mia mente, già si innescò qualcosa. Qualche giorno dopo, durante uno spostamento per una tappa del tour che si sarebbe tenuta in Puglia, decisi che volevo ritornarci e portare i ragazzi (The Kolors, ndr) a mangiare in quel posto fantastico. Durante quel pranzo conobbi Manuel e la sintonia reciproca fu a pelle.

A settembre, poi, andai a suonare a Capri e anche lì cominciai a pensare alla difficoltà di consumare un pasto di qualità e veloce: per mangiare bisognava fare la fila ai ristoranti, o prendere un take away al porto super turistico. E anche lì l’idea si stava sempre più componendo tant’è che ne parlai con Manuel e le cose cominciarono a muoversi.

Calamore. Da dove viene la scelta del nome?

Poco prima di Natale dell’anno scorso, io e Manuel, da Milano, facemmo insieme il viaggio di ritorno a Pescara. Eravamo all’altezza di Modena verso ora di pranzo e dissi a lui: “Ma ti rendi conto di quanto è forte il tuo format che io sarei disposto a fare una deviazione, uscire dall’autostrada e perdere del tempo solamente per mangiare il tuo calamaro? (Spiedino di calamaro scottato e leggermente impanato con pangrattato inserito anche nel menu di Calamore, ndr). Preso dalla passione per questo calamaro, glielo dissi in napoletano e lui, facendomi il verso, poi, per scherzare, replicò “Allora chiss è propr ammore!”. Lì, lo guardai negli occhi e dissi: “Manuel, tu hai appena detto il nome del nostro progetto, si chiamerà Calamore”. Abbiamo fatto mille giri di nomi, brainstorming, ma niente, siamo tornati sempre lì.

Cosa si mangia da Calamore

Siamo in un posto di estremo passaggio, proporre il fritto, ad esempio, sarebbe stato pesante, quindi offriamo qualcosa da consumare anche camminando, come il cuoppo con l'insalata di polpo, i marinati, i gamberi scottati, i calamari.

Oltre ai panini di mare ci sono i piatti di mare che, a mio parere, sono una cosa favolosa. Hai possibilità di personalizzare le tue scelte e mettere nel piatto quello che vuoi, dall’insalata ai marinati. E poi c’è il cuopPokè, di cui ne vado orgogliosissimo, come quando scrivi la prima canzone (ride, ndr).

Come lo servite il cuopPokè?

Il cuoppo ha la base un po’ più ampia perché deve simulare quella del piatto pokè. Quindi, base riso, topping a scelta fra varie opzioni: abbiamo avocado, zucchina, polpo, salmone marinato, ricciola, poi ci sono i bianchetti al Montepulciano, originari abruzzesi, che si che si mescolano perfettamente con anche con la base del riso. E molto altro.

Ora che me ne hai parlato, sono curiosa di sapere com’è nata l’idea del cuopPokè!

In una delle nostre conversazioni, Manuel mi chiese: “Stash, ma questa roba del pokè? Tu come la vedi? Come vedi questa tendenza soprattutto nelle situazioni di pasto veloce?”.

Gli risposi che sicuramente è un pasto veloce, anche io lo consumo, ma considerando l’importanza che stavamo dando all’italianità e alla genuinità del nostro progetto, volevo che fosse la tendenza a piegarsi verso la nostra tradizione e non la nostra tradizione, a piegarsi verso la tendenza. Quindi dissi: “Io non vorrei offrire il pokè piuttosto - e qui è stato proprio un colpo di freestyle! -  perché non facciamo il cuopPokè?”. E di lì è nata l’idea di metterlo nel menu e credo sarà il piatto cult di Calamore.

Com’è fatto il locale?

Non c’è la classica seduta perché andrebbe contro l’idea del format che è quella di consumare velocemente, mentre cammini. Ci sono sgabelli e appoggi, però. Il posto è piccolo, circa 40 metri quadri, e non necessita nemmeno della canna fumaria. Il nostro obiettivo è la replicabilità del progetto: iniziare da Capri per espanderci in tutta Italia, quindi la necessità è quella di avere degli spazi più smart possibile.

A chi vi rivolgete?

Sia al local che al turista. Innanzitutto, anche gli abitanti del posto hanno piacere a mangiare al ristorante, e quando i periodi sono pieni come quelli estivi non si metterebbero mai a fare la fila e perdere mezza giornata. Stessa cosa per il turista che magari vuole vedere Capri e poi riprendere il traghetto, non perde due ore per mangiare. E, poi, ci allontaniamo il più possibile dall’idea del ristorante per turisti che propone pessima qualità perché i turisti, per l’appunto, non sono clienti da fidelizzare. Ecco noi siamo agli antipodi di questa visione.

La domanda ora viene naturale. Perché proprio Capri come destinazione per Calamore?

Per noi era giusto partire da Capri. Come tutta la costiera che va da Sorrento, ad Amalfi e Positano, per noi l’isola rappresenta l’emblema di quella parte poetica e super turistica, ma con una grande storia alle spalle. La piazzetta di Capri è il centro del mondo, ci puoi beccare Jennifer Lopez e Leonardo Di Caprio, uno di fronte all’altro, c’è passato Totò, David Gilmour si è seduto al tavolino di un bar.

Capri è il test per antonomasia. È il bigliettino da visita di Calamore, avremo il polso da qui a novembre di capire che risposta c’è sul pubblico local e turista per poi esportare il format in tutta Italia. Questo esperimento è rivolto soprattutto ai capresi stessi perché è il target più legato alla tradizione:sono abitanti dell’isola che la vivono anche nei mesi invernali e si mescolano perfettamente con un turismo fortissimo.

Come sta andando?

C’è una risposta folle al momento, non mi aspettavo questo feedback. Parliamo di ogni tipo di persona - per dire - dal sindaco, al dipendente della funicolare. Sono tornati a fare i complimenti dicendoci di aver messo su un progetto che a Capri mancava. Noi stiamo facendo una cosa che non è mirata al puro guadagno ma che porti in alto anche la bandiera dell’Italia.

Quindi i capresi ci tengono all’immagine che di Capri si porta all’estero.

Motivo per cui poi diventano i posti preferiti di Dua Lipa e di Totò!

Dopo la Peroni Nastro Azzurro Stile Capri o Zuma Capri molte aziende stanno investendo sull’isola. Pensi che Capri stia diventando essa stessa un brand?

Io la leggo dal punto di vista romantico. Appartenendo a questa terra, credo Capri sia uno stato d’animo. Dà un senso di libertà, poesia, è un mondo a sé. Dal punto di vista professionale sì, molto probabilmente questo può essere interpretato come branding, ma dal punto di vista del cliente, quale sono, mi dà un senso di nazione unita, italianità portata in alto.

Fammi un esempio pratico.

Quando la gente va a Capri sogna. Pensiamo alla musica. Per esempio, nei punti di ristorazione di Capri credo sia fondamentale. A Capri non ascolti un pezzo trap, ascolti Frank Sinatra e la musica, per quanto sia di sottofondo, credo sia importante e gli esercenti lo sanno.

Hai detto una cosa giustissima: “Quando la gente va a Capri sogna”. Pensi che i social, in particolare Instagram, abbiano contribuito ad alimentare l’aspettativa di questo sogno inoculando un bisogno turistico?

Sicuramente, soprattutto la parte fotografica dei social. Ormai è diventata comune la parola “instagrammabile”, dieci anni fa ci saremmo presi in giro, ora è una realtà: se sai che lì c’è lo scorcio in cui si è fotografato Leonardo Di Caprio o Dua Lipa con la sorella, sei condizionato e ci vai. Questo è uno dei pochissimi aspetti dell’attitude social network che non disdegno, è colore. Non demonizzo chi rimane affascinato da un posto perché ci è stato il suo idolo. È successo anche a me quando il ragazzo di un bar in piazzetta mi ha detto che c’era stato Gilmour proprio seduto lì, ti giuro mi tremavano le gambe!

Secondo te Capri si è evoluta dal punto di vista enogastronomico negli anni?

Ti potrei dare una risposta falsata, perché ci sono mancato per anni. Ma la testimonianza che mi danno gli amici capresi è quella di una profonda appartenenza al territorio. Queste radici le vedi ovunque, da come posizionare un bagno in un locale, ai pavimenti di un hotel, agli odori di un vialetto. Possono passare tante mode, ma la sua entità e le sue radici sono ben salde. Forse è uno dei pochi posti che mantiene la sua estrema autenticità, anche per esempio nelle piccole cose, ci sarà sempre il caprese che passerà con il golfino sulla camicia. E questo ci dice quanto loro piegano le tendenze e non il contrario.

Tornando un attimo alle persone, ma intese non come clienti ma come lavoratori, qual è il personale di Calamore, dunque?

Al momento c’è il personale di Manuel, ma l’obiettivo è quello di mettere dentro almeno il 70% di personale di Capri. Al momento c’è il cuoco e tre ragazze.

Claudio Amendola, nell’ultima intervista rilasciata a Gambero Rosso dice che i giovani non vogliono lavorare, soprattutto nel mondo della ristorazione. Tu cosa ne pensi?

A prescindere dal mitico Claudio che stimo come attore, ti parlo del mio. Quello che sto per dirti è stato fondamentale per l’apertura di Calamore. Io faccio il cantante nella vita con una carriera che va bene e non ho problemi o mi serve trovare un altro lavoro.

Per quanto io possa essere un micron nel mare dei ristoratori, ti posso dire una delle cose che mi motiva di più è offrire del lavoro a dei giovani, anche in maniera stagionale.

Per dirti, il giorno dell’inaugurazione di Calamore, la prima persona con cui ho fatto la foto era una ragazza di Capri, Rebecca, a cui brillavano gli occhi e che mi ha detto: “Io mi sono proposta e forse faccio una prova già giovedì”. Questo entusiasmo per me è fondamentale. Troppe volte non si considera che l’allievo di oggi è il potenziale saggio di domani, soprattutto in questo momento storico.

Quindi mi stai dicendo che non bisogna avere tutta questa sfiducia nei giovani?

Rapportandolo alla musica, durante gli anni da professore ad Amici ho avuto a che fare con molti ragazzi, che tenevano benissimo un discorso sui Pink Floyd, per dire. Sembra banale, è facile dire che i giovani di oggi non sanno nulla di lavoro, vita. Non è vero, credo. Siamo sicuramente in un momento storico in cui si cresce un pelino più tardi, vuoi per l’accelerazione della tecnologia che ha rallentando i rapporti vis a vis, vuoi per questi ultimi anni di pandemia, io tutta però tutta questa sfiducia nei confronti delle nuove generazioni non la vedo.

Tornando al cibo, com’è il tuo rapporto? Qual è il tuo lato enogastronomico?

Il mio lato enogastronomico ha il suo momento di spicco durante i tour dei The Kolors. Noi vediamo l’Italia quella vera, spesso frequentiamo posti in cui si fa cucina italiana tipica e se non stiamo attenti prendiamo 20 chili a stagione (ride, ndr). Ti potrà sembrare una frase fatta, ma in Italia è davvero tutto molto buono. Per esempio, prendi la Puglia: dopo un concerto ti può capitare di mangiare turcinieddi in un ristorante che sembra un salone di casa. Capisci? Quella è la vera Italia. E magari il giorno dopo sei a mangiare il cinghiale ai funghi in Toscana, poi capiti ad Amalfi e mangi il cuoppo. Forse in un giorno mangiamo in tre regioni diverse. La cucina tradizionale italiana è la cosa più buona in assoluto.

Il piatto dell’estate è il cuopPokè, questo è assodato! Qual è il drink dell’estate?

Ti confesso, non bevo superalcolici e di vini ci capisco poco. Per dirti, prima dei concerti ci capita di bere un bicchiere di vino e quando faccio dei complimenti a qualcosa che bevo, automaticamente mi viene detto che è scadente! Però, per accontentarti, ti dico che per me il drink dell’estate è l’Old Fashioned.

Oltre ai calamari di Manuel a quale piatto non rinunceresti?

Lo spaghetto a vongole napoletano, non quello veneziano, eh! Qui sono un po’ di parte.

linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram