Intuitive Eating. Cos’è l’alimentazione intuitiva e perché può essere d’aiuto

9 Gen 2023, 11:18 | a cura di
Femminismo intersezionale, grassofobia, body positivity: cosa c’entrano questi concetti con l’alimentazione? Ne abbiamo discusso con una dietista specializzata in alimentazione intuitiva, un approccio moderno che sta gradualmente suscitando l’interesse di molti.

Cos’è l’Intuitive Eating, l’alimentazione che rifiuta la diet culture

In America esiste dal ’95, quando le dietiste Evelyn Tribole e Elyse Resch hanno avuto l’idea di integrare la sfera emotiva all’interno di un percorso alimentare, ma in Italia ha cominciato a diffondersi solo in tempi recenti, e non con poca fatica. Del resto, l’Intuitive Eating (letteralmente, “alimentazione intuitiva”) ha come scopo principale quello di scardinare tutti i preconcetti diffusi dalla cosiddetta diet culture, la cultura della dieta che ha imposto standard di bellezza indiscutibili, facendo del culto dell’immagine e del corpo la chiave principale per l’accettazione di sé. È un tema delicato questo in cui ci stiamo addentrando, ma incappare in termini simili sul web oggi è molto comune, ed è bene fare chiarezza. L’Intuitive Eating si propone di spodestare il peso dal ruolo di protagonista che fino a oggi gli è stato affibbiato: non è più il numero sulla bilancia a fare la parte del leone, ma il benessere generale del paziente. Nessun regime restrittivo, quindi, niente dieta e un permesso incondizionato di mangiare. Sono solo alcuni dei 10 princìpi stilati dalle esperte per spiegare l’approccio dell’alimentazione libera, lo stesso adottato anche dalla dottoressa Veronica Bignetti, dietista specializzata in disturbi alimentari che nel tempo ha intrapreso anche studi di psicologia, con cui abbiamo cercato di capire qualcosa in più sull’argomento.

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Veronica Bignetti, l’Intuitive Eating e il femminismo intersezionale

Quello della Bignetti è stato inizialmente un percorso professionale come tanti. Poi però qualcosa in lei è scattato e ha scelto di abbracciare il mondo dell’HAES, Health at Every Size (“salute a ogni taglia”). E da allora tutto è cambiato. “Mi avevano insegnato che chiunque può perdere peso, ma non è vero. Le persone che vogliano dimagrire hanno difficoltà ben più profonde di quelle apparenti e spesso mangiano meno di me”. Nonostante gli sforzi, il peso in molti casi non scende, “un giorno mi sono chiesta perché io potevo permettermi di avere un’alimentazione spontanea, piacevole e loro no”. Sembra un pensiero scontato, ma non è affatto così: per scardinare dei pregiudizi radicati occorre un lavoro di autoanalisi, critica e decostruzione attentissimo. “Mi sono resa conto che io stessa non avrei mai potuto mettere in pratica ciò che insegnavo agli altri. Perché, allora, continuavo a farlo?”. Mentre cerca delle risposte, la dottoressa scopre il movimento del femminismo intersezionale, su cui è bene spendere una piccola manciata di parole. “Intersezionalità” è un termine coniato dall’attivista e giurista Kimberlé Crenshaw nell’89 per indicare l’intersezione di più identità sociali e le loro possibili oppressioni: una donna bianca eterosessuale, per esempio, non subisce lo stesso tipo di oppressione di una donna nera o di una omosessuale. E il femminismo di questo genere tiene in considerazione i diversi livelli di discriminazione. Cosa c’entra con il cibo? Molto più di quanto possa sembrare… “Lavorando su me stessa per liberarmi di preconcetti sessisti ho imparato a decostruire, destrutturare gli stigmi e ricomporre nuovi pensieri. Stesso processo che ho usato poi per specializzarmi nell’alimentazione spontanea”.

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Diet culture, grassofobia e body positivity

La chiama così, la dottoressa: alimentazione spontanea. Libera e soddisfacente, ma non per questo più semplice. Non all’inizio almeno, “la diet culture continua a permeare la nostra società, non è facile ridimensionarla”. Con l’aiuto di un professionista, però, è possibile fare dei passi avanti: “Quando ho scelto di cambiare approccio, ho scoperto che esisteva già l’Intuitive Eating, anche se in Italia continua a essere poco conosciuto”. Il concetto fondamentale? “Il peso è solo un numero, uno dei tanti valori per analizzare il benessere di una persona. Siamo esseri complicati, la forma fisica è solo un pezzetto di un puzzle infinito”. Un mosaico che comprende altri aspetti, salute mentale inclusa. L’obiettivo? Combattere lo stigma attorno alle persone grasse, che è alla base della battaglia della body positivity, movimento nato per contrastare la derisione dei corpi. I benefici sui pazienti che scelgono di intraprendere questo tipo di approccio sono molteplici: “Privarsi di alimenti che ci piacciono, vivere il cibo come un qualcosa di proibito ha un impatto negativo sulle persone, che in molti casi perdono le energie necessarie per divertirsi, lavorare, studiare”. Un’alimentazione flessibile, invece, “stimola i pazienti a provare ricette diverse, a iscriversi a corsi, interrompere relazioni non sane e soprattutto tornare a fare visite mediche”. Sono moltissimi, infatti, i casi di persone grasse che rifiutano di farsi visitare per la paura del giudizio, “tanti medici si limitano a incolpare il peso per qualsiasi disturbo: non riescono ad andare oltre la forma fisica”.

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I bambini e la libertà del movimento

Sembrerebbe un approccio adatto a tutti, ma è proprio così? “Dipende dai traumi passati, dalla presenza di eventuali disturbi del comportamento alimentare… in questo caso, per esempio, l’Intuitive Eating non è indicato: nel caso non funzionasse, il paziente si sentirebbe incapace e diventerebbe ancora più difficile lavorare sulla patologia”. E i bambini? “È l’adulto che si occupa dell’alimentazione dei più piccoli, ma in qualche modo già il passaggio da un allattamento a orari a uno a richiesta del bimbo è una forma di alimentazione intuitiva. In più, è bene ricordare che non è obbligatorio passare solo attraverso pappine molli. Ogni cibo ha una forma, un colore: lasciare che il bambino si orienti tra profumi e consistenze può essere di grande aiuto per la costruzione della sua autonomia”. Tra i princìpi dell’Intuitive Eating c’è anche l’attenzione al movimento, che non si traduce però nell’obbligo di un’attività fisica: “Come sempre, occorre spostare il focus dal peso al benessere generale: muoversi è spesso piacevole perché lo si fa all’aria aperta oppure in compagnia, o perché si ascolta della buona musica. Lo scopo non è bruciare calorie”. Ma cosa si intende per movimento in questo caso? “Anche solo passeggiare nella natura, oppure iscriversi a un corso di ceramica o un’altra attività manuale, fare yoga, meditare”.

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Alimentazione libera… "ma la salute"?

Concetti diversi, che la dottoressa diffonde anche attraverso i suoi canali social, dove si ritrova a far fronte a critiche e perplessità: “La contestazione maggiore è quella sulla salute. Tanto che insieme a delle colleghe abbiamo creato un gruppo di divulgazione chiamato proprio “Ma la salute?”. È un commento comune, quando si parla di body positivity e alimentazione libera, “che richiede una decostruzione complessa. Persone grasse e magre possono mangiare male allo stesso modo, ma lo stigma attorno a quelle grasse non ci permette di de-zoomare la situazione, concentrandoci solo sul corpo”. Altra critica diffusa, quella su uno dei princìpi fondamentali dell’intuitive eating, che è “il permesso incondizionato di mangiare, un qualcosa che spaventa. Molti temono che dando spazio ai propri bisogni avranno un’alimentazione disordinata”. Invece ci sono studi scientifici che sostengono il contrario – “ricordiamo che l’alimentazione intuitiva è un approccio basato sulla scienza” – ricerche che hanno dimostrato che i pazienti che hanno più libertà di movimento a tavola, che mangiano senza giudizio e regole, “seguono in realtà un’alimentazione molto più vicina alle linee guida”.

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Body positivity e self-love

I falsi miti da sfatare sono moltissimi, ma come ogni percorso che si rispetti anche quello dell’alimentazione spontanea deve procedere un passo alla volta. “Il rischio di banalizzare è sempre in agguato: il messaggio della body positivity è forte, ma occorre esprimerlo nel modo corretto”. Per intenderci, imparare ad amarsi (il tanto decantato self-love, l’amore verso sé stessi, soggetto di slogan e campagne social), accettare il proprio corpo non è un processo immediato, né sempre fattibile. E non è responsabilità delle persone grasse – categoria oppressa al pari di altre – farsi carico di un compito simile. L’Intuitive Eating non insegna ad amarsi, “non se il tema delle discriminazioni sistemiche non viene affrontato in maniera seria”. Nessun professionista della salute può o deve “salvare” le persone grasse delle oppressioni: non accadrà né con un approccio classico focalizzato sul peso, né con l’alimentazione spontanea o il self-love. Come sempre quando si parla di categorie marginalizzate, chi ha il privilegio – in questo caso di essere normopeso, ma potremmo dire lo stesso del colore della pelle o dell’orientamento sessuale – ha prima di tutto il compito di riconoscerlo, prenderne coscienza, mettersi in ascolto. Di questo e molto altro si parla durante le consulenze o i corsi con la dottoressa: “Si parte sempre dal femminismo intersezionale, che è la chiave per approcciarsi al meglio”. Una sola regola: nessuna fretta. “Mangiare liberamente non è semplice come sembra”, ed è naturale continuare ad avere dei pensieri focalizzati sulla linea. “Non bisogna limitarsi a combattere la grassofobia dentro di noi, altrimenti è come lottare con noi stessi. Fare a pezzetti i pregiudizi richiede tempo: impegnarsi per raggiungere questo obiettivo è un grandissimo passo avanti”.

I 10 principi dell’Intuitive Eating

Rifiutare la mentalità della dieta. Abbandonare riviste e consigli incentrati sulla perdita di peso che ci fanno sentire in difetto se la dieta smette di funzionare.

Onorare la propria fame. Nutrire il corpo adeguatamente, ascoltando i primi segnali della fame.

Fare pace con il cibo. Dare a sé stessi il permesso incondizionato di mangiare. Privarsi di un particolare cibo può portare a desiderarlo intensamente, sentendosi perennemente insoddisfatti, sviluppando voglie incontrollabili.

Sfidare la "polizia del cibo". Smettere di sentirsi “bravi” se si mangia poco, “cattivi” se ci si concede un pezzo di torta in più.

Scoprire il “fattore soddisfazione”. Non dimenticare mai il piacere del cibo: quando si mangia qualcosa di buono in un bell’ambiente, la soddisfazione personale è altissima.

Ascoltare il senso di sazietà. Imparare a fidarsi di sé stessi: siamo in grado di nutrirci con il cibo di cui abbiamo bisogno, se ci mettiamo in ascolto dei segnali che il nostro corpo ci manda.

Affrontare le proprie emozioni con gentilezza. Le restrizioni alimentari possono indurre a una perdita di controllo. Trovare dei modi gentili per confortare e nutrire i sensi, distrarsi dalle ansie e i pensieri può essere d’aiuto. Il cibo non aggiusterà i sentimenti, se non a breve termine. Meglio focalizzarsi sulle emozioni, cercando di comprenderle meglio.

Rispettare il proprio corpo. Accettare il proprio modello genetico, senza pretese irrealizzabili. Così come una persona con 40 di piede non può pensare di indossare una scarpa di taglia 36, avere aspettative impossibili sul proprio corpo porta solamente a frustrazioni. Tutti i corpi meritano uguale dignità.

Movimento – sentire la differenza. Dimenticare l’esercizio fisico intenso, muoversi e basta per sentire la differenza, senza focalizzarsi sulle calorie da bruciare, ma sull’effetto positivo che il movimento ha sul benessere fisico e mentale.

Onorare la propria salute – alimentazione gentile. Fare scelte che onorino la propria salute, stimolando le papille gustative. Non bisogna mangiare in maniera perfetta per essere in salute: i progressi contano molto più della perfezione.

a cura di Michela Becchi

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