L'ignoranza di Report sul vino e le sciocchezze sui lieviti: provate a fare un Sassicaia a Capracotta

18 Feb 2024, 22:00 | a cura di
Il commento per il Gambero Rosso del professor Michele Antonio Fino, docente all'università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo: La puntata in onda questa sera su Rai 3 parte dal solito assunto per arrivare alle solite conclusioni. Le stesse - sbagliate - di Luigi Veronelli (ma era il 1980). Ma sulle commissioni Ranucci & co. hanno ragione

Il 24 aprile 1980, Luigi Veronelli è in onda con il suo Viaggio sentimentale dell’Italia dei vini: un prodotto curioso, decisamente autocelebrativo, pieno di ospiti straordinari, di atmosfere oniriche e di scelte comunicative destinate a una grandissima fortuna. In quella puntata, girato di spalle, Veronelli intervista un sofisticatore che gli spiega come fare 300 ettolitri di vino da 14° alcolici, partendo da 90 Hl di Montepulciano di Abruzzo: una pratica chiaramente, inequivocabilmente, di sofisticazione, punita dalla legge ieri come oggi.

Nella stessa puntata, Veronelli intervistava il professor Ciuso dell’Università di Bologna che spiegava come grazie agli additivi e alle aggiunte si potessero modificare i vini in maniera sostanziale: ad esempio colorandoli con l’enocianina o come fosse possibile aggiungere zucchero agli spumanti, aggirando il generale divieto di zuccherare mosti e vini.

Ebbene, fare il vino con acqua zucchero e vari ingredienti o dargli colore con l’enocianina sono reati. Decidere alla sboccatura se vogliamo vendere il vino spumante come pas dosé, brut o dry è un’opzione con centinaia di anni alle spalle, nata in Champagne e standardizzata in tutto il mondo: soprattutto, è una scelta lecita e legale.

Parto da queste scelte di Veronelli, quasi 45 anni fa per prevenire il fiume di sopracciglia alzate davanti alla puntata di Report di domenica 18 febbraio, perché lo schema sarà, come sempre quello. In ogni  puntata che la trasmissione di Rai 3 dedica al vino vengono accostate scelte legittime, ma che non piacciono alla redazione, a reati. Senza dire che le prime sono gravi come i secondi, per carità, ma basta il contesto no? Ecco, no.

Report, l'arte dell'inchiesta a tema

Report ha una caratteristica strutturale che pressoché tutte le persone con una professionalità hanno potuto constatare: è divertente, ficcante, addirittura vendicatore quando parla di ciò di cui poco o nulla sappiamo. Diventa di una superficialità condita da vere e proprie perle di ignoranza quando si occupa di temi che un minimo conosciamo. Ecco perché personalmente penso che sia un modello di intrattenimento, ma non un modello giornalistico, per quanto premiato da un vasto pubblico.

Nella puntata di dicembre dedicata al vino, il punto di partenza è stato l’acquisto di un podere da parte di un giornalista di Report, che avendo tra le pertinenze un piccolo vigneto ha provato a fare il vino e gli è venuto una schifezza. Così spiegava il casus belli Sigfrido Ranucci a Loredana Sottile del Gambero Rosso.

Intervistando i vicini, il giornalista vignaiolo aveva scoperto che il vino non gli era venuto perché non aveva usato le magiche polveri dei piccoli chimici, ovvero gli enologi, fautori dei trucchi prodotti dalle multinazionali. Nella puntata di stasera (18 febbraio), lo stesso giornalista intervista un ex collega che ora fa il vignaiolo e che gli spiega come i lieviti selezionati rendano uguali i vini in tutto il mondo annullando il ruolo del terroir.

Il Sassicaia a Capracotta, e altre sciocchezze

Si potrebbe subito osservare che allora, il vino ricavato dal podere dell’intervistatore, privo di ogni artifizio, non era venuto male, ma semplicemente rivelava il terroir. Trascurando la denegata ipotesi che fare il vino richieda competenze e quindi potrebbe essere stata fatale l’improvvisazione del neofito.

Rimanendo su un piano di comprensione esercitata verso tanta sicurezza, si potrebbe magari obbiettare che se davvero esistesse il lievito per fare Opus One a Capracotta o Sassicaia a Melbourne, come mai il mondo è pieno di vini mediocri e invece i vini di certi luoghi e cantine meritano allori internazionali?

E veniamo così al punto dell’ignoranza crassa che alimenta il pregiudizio. Nel mosto ci sono molteplici gruppi di batteri e di lieviti (funghi unicellulari). Quelli che trasformano lo zucchero in alcol efficientemente sono i saccharomyces cerevisiae. Quando questi si sviluppano bene e in fretta, gli altri microrganismi debbono cedere il passo e il vino non avrà problemi a concludere la fermentazione.

A partire dal secondo dopoguerra, il migliori ceppi di lieviti individuati in giro per il mondo sono stati isolati e riprodotti, per permettere, a chi lo desidera, di aggiungerli al mosto dopo averli reidratati, e avere così una fermentazione ordinata, prevedibile: una caratteristica desiderata specie in certe aree e certe annate. Ad esempio quando la cantina comincia ad essere troppo fredda o i mosti sono troppo zuccherini.

Teoria e tecnica dei lieviti

I lieviti non uniformano i vini: se così fosse trovato il lievito giusto, avremmo grandi vini dalla stessa uva ovunque. I lieviti giocano un ruolo molto molto limitato nell’aroma dei vini rossi, perché i precursori aromatici sono nelle bucce in quantità determinanti, mentre hanno più peso nelle fermentazioni “in bianco”, ovvero senza le bucce: in questi vini, gli esteri prodotti dai lieviti danno un corredo aromatico a vini che, proprio per l’assenza di bucce nel processo fermentativo, avrebbero meno caratteri propri da trasferire al vino.

Se non si usano lieviti selezionati, i vini fermentano con lieviti presenti essenzialmente in cantina, non sulle bucce (a meno che non si tratti di quelle lacerate dalle punture di vespe o calabroni) come pure si crede e naturalmente Report va ripetendo. Ovviamente, aumenta il rischio che altri microrganismi agiscano sul mosto prima che i saccaromiceti prendano il sopravvento e questo può incidere sul prodotto finito e il suo aroma. E non sempre quanto fanno i microrganismi diversi dai lieviti saccaromiceti è desiderabile.

Dunque, la base di partenza di Report è un assunto (i lieviti selezionati uniformano) e perpetua un equivoco (i lieviti sono sull’uva, mentre ciò non è vero). Il punto chiave però, e mi sembra giusto sottolinearlo, è che tutta questa filippica contro i lieviti selezionati e il mosto concentrato rettificato (MCR) dovrebbe contrapporre i piccoli (virtuosi, bravi, comunque migliori, secondo l’antica testardaggine di Veronelli) ai  grossi produttori industriali. E punta a dare l‘idea che comunque, MCR e lieviti selezionati se non sono reati sono comunque deprecabili.

Le scelte del mercato

In realtà, ci sono produttori da pochissime bottiglie che usano lieviti selezionati e MCR, mentre grandi produttori vi rinunciano più che volentieri. Perché? Perché legittimamente esistono diversi mercati del vino, in misura corrispondente a quanti diversi tipi di consumatori esistono. Se il mercato di un vino è fatto di consumatori quotidiani, simili alla maggioranza dei bevitori di vino del passato, l’uniformità tra le annate sarà un valore, perché il vino sarà una bevanda.

Viceversa, se il vino è puro piacere edonistico, fuori dall’abitudine di consumo, allora tanto maggiore è la varietà tanto migliore è la proposta al mercato. Si può giudicare uno metodo come migliore e soprattutto moralmente superiore all’altro, essendo entrambi ugualmente leciti e fondati in ugualmente legittime scelte aziendali? Ne dubito.

Le commissioni, il vero problema

Laddove Report fa centro è sulla critica delle commissioni di degustazione che oggi sono fatte in modo tale da premiare un modo di fare il vino, che raramente è quello meno standardizzato e interventista. Per correggere questa stortura, anni fa la FIVI propose che nelle commissioni di degustazione ci fosse sempre un vignaiolo produttore, con almeno dieci anni di esperienza.

Perché? Perché tra chi decide se un vino corrisponde a un modello definito in un disciplinare ci fosse anche chi rischiava le proprie risorse nel rapporto con il mercato, non solo enologi e assaggiatori. Questo perché, ancora una volta vale la pena ricordarlo, le commissioni di degustazione, con il potere di declassare i vini, sono state una battaglia (vinta) indovinate di chi… esatto, Luigi Veronelli, che le chiedeva con veemenza ne Il vino giusto (Rizzoli, 1971). Recuperare all’evoluzione del mercato, che ben conoscono i produttori, le commissioni di degustazione è l’unico modo di non gettare il bambino con l’acqua sporca.

Purtroppo, ancora una volta, Report perde la chance di ricordare che l’uso di MCR da quest’anno deve essere indicato in etichetta, come lo zucchero degli spumanti o il metabisolfito di potassio, perché così ha voluto l’Ue nel 2021: una piccola rivoluzione copernicana, che insieme all’etichetta nutrizionale potrà costituire una nuova forma di trasparenza.

Report e il telecomando

I tempi cambiano e certamente cambiano le esigenze. Quello che non cambia è il bisogno di avere contezza della multiformità del fenomeno vino, rinunciando a presentarsi come guru e giustizieri della notte, ché il comune destino è segnato, dallo sbadiglio e dal telecomando.

* Michele Antonio Fino è Professore Associato di Diritto Romano e Diritti dell’Antichità presso l'università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.

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